OSAKA (Wei Wuxian e il romanticismo 2.0)


Il ritorno da Nara nella carrozza rosa dedicata alle donne, ci aveva riportato affamate a Osaka, però prima di riempire lo stomaco, abbiamo fatto un salto a Nipponbashi, il quartiere otaku.

Ho un’amica otaku, fin nella più profonda cellula interna, e ho commesso l’errore di farle conoscere, tempo fa, Wei Wuxian (leggasi Mo Dao Zu Shi ovvero Il gran maestro della scuola demoniaca). Nonostante lei abbia già comprato un’action figure che lo rappresenta, siamo andati alla disperata ricerca di un’altra action figure specifica. Ricerca infruttuosa, nonostante abbiamo fatto una ricerca in più negozi, ahimè (ma conoscendola so che non è finita, ci toccherà tornare in Giappone).

Lo stomaco reclamava la sua parte e quindi ci siamo decise di metterci alla ricerca di un localino per mangiare, la scelta è caduta su una “rameria”. Il locale era il classico izakaya*

Ed ecco a voi, il mio primo ramen, vegan, e stranamente una birra giapponese sullo sfondo. Era buonissimo (della birra neppure lo specifico) e mi dispiace di non esser più riuscita a mangiare ramen in Giappone, dovrò porci rimedio e ritornarci!

Post cena, decidiamo di ritornare all’albergo a piedi, nel camminare incrociamo più volte i negozi “acchiappa soldi”. Sono i Gashapon, negozi, letteralmente, ripieni di macchinette distributrici di gadget (di cui metto foto non mia), sono ovunque.

All’interno trovi anche le classiche macchinette che ci sono anche da noi, quelle con la pinza a tre punte, per cercare di acchiappare i peluche situati all’interno, che non riesci a prendere mai. Avrei voluto tanto prendere uno di questi peluche, ma saggiamente mi sono trattenuta, avrei speso tutti i soldi del viaggio lì!

Lo volevo tanto, ma tanto, uno di questi peluche, dovrò porci rimedio e ritornarci!

Superato il temibile pericolo della macchinetta dei peluche, ogni due per tre, incrociavo questi distributori di bevande (non scherzo sono ovunque e tantissimi), vuoi non prendere un buonissimo succo di mela? (Hirosaki ha lasciato il segno)
Ora non so voi, ma di notte, vedermi la città costellata di queste luci colorate ad altezza uomo, me la rendeva stranamente romantica.

romanticismo 2.0

Quella sarebbe stata la nostra ultima notte a Osaka (per il momento), il giorno dopo saremmo partite per Kyoto, dove ci saremmo fermate per qualche giorno. L’ultimo saluto alla città è stato, in notturna, con questa foto dalla camera dell’albergo.

La torre Tsutenkaku, simbolo di Osaka

*Izakaya = la parola è composta dalle parola “i” (sedersi), saka (bevanda alcolica) e ya (negozio). In pratica un locale dove sedersi per bere e mangiare qualcosa, usato dai giapponesi come cena post lavoro. Hanno quasi sempre, all’ingresso, quei tavoli, lunghi e stretti, fronte cuoco, quelli che ti fanno sembrare di essere in un dorama.

HIROSAKI (The First Day – Hanami)


A Hirosaki ci aspettava l’hanami e, anche se ancora non lo sapevamo, il festival della fioritura dei ciliegi della città.

Lasciate le valigie nell’hotel abbiamo preso un bus locale, che in pratica ci ha portato a fare il giro della cittadina e che ci ha lasciato a poca distanza dal Castello di Hirosaki, con il suo enorme e splendido parco pieno di ciliegi.

Siamo entrate nel parco a ora di pranzo, quindi dopo una piccola escursione nei giardini vicini, ci siamo fermate a mangiare a una delle tante bancarelle di cibo che ci sono all’ingresso. Ed è iniziata la magia di questo viaggio: le persone.

Nei piccoli centri, forse perché scoprivano che eravamo “itariahitodesu” (siamo italiane), siamo state accolte a braccia aperte. Ho scoperto che i giapponesi hanno una simpatia particolare per l’Italia.

Dopo aver mangiato, abbiamo iniziato a girare il parco, vi dico solo che ci siamo rimaste dal pranzo a sera inoltrata, grazie anche alla bellezza delle persone (poi vi spiego).

Ora, credetemi, ho fatto davvero fatica a scegliere tra le millanta foto, che ho fatto, quelle da postare. Ne ho scelte due, ma potrei aprire una galleria a parte.

Questa foto sotto, invece, la metto da sola per due motivi. Il primo è che di quel giorno, è quella che mi piace di più; il secondo è che mi ha insegnato a “sfruttare” al meglio anche le “situazioni negative”.

Come mi ha insegnato a sfruttare le situazioni negative questa foto?
Io volevo far la foto del ponte vuoto con il ramo del ciliegio, ma c’era questa tipa che si faceva fotografare dalla sua amica, a destra, a sinistra, in basso, in alto, fai la giravolta, falla un’altra volta, e non se ne andava mai!
Poi ho avuto l’illuminazione, la sfrutto anche io come modella. Ho scattato così una delle foto di Hirosaki che mi piacciono di più.

Due parole sul parco ve le dico, per farvi capire la sua bellezza. Il parco ha, più o meno, 2600 alberi di ciliegio, di varietà diverse, quindi con periodi di fioritura diversa. Questo fa sì che questo parco abbia una fioritura lunga, grazie a questo siamo riuscite a vederla.

Durante la notte il parco rimane illuminato e dà un’immagine ancora più suggestiva del tutto. Noi non lo sapevano, ma il Parco di Hirosaki è considerato uno dei migliori luoghi per vedere l’hanami in Giappone, e siamo capitate proprio nel periodo del festival.

All’interno del parco c’è anche il castello che è uno tra i più belli di tutto il Giappone, ed è uno dei pochi castelli originali. Il castello di Hirosaki è l’unico rimasto, del periodo Edo, integro. La maggior parte dei castelli nel tempo, tra guerre di shogunato e la fine dello stesso, oltre alla seconda guerra mondiale, sono rimasti distrutti negli incendi.

Chiusa parentesi “cultura”, riapro parentesi godimento. Il parco è davvero grande, a ogni angolo avevamo solo l’imbarazzo della scelta di cosa fotografare, ma non vi tedio, vi posto solo una foto fatta all’imbrunire, che amo particolarmente.

Poiché c’era il festival. All’interno del parco vi erano moltissime bancarelle di ogni tipo, dalle classiche di souvenir, ai vestiti, a quelle tipo luna park e chiaramente moltissime di cibo, così con il buio, io e Paola ci siamo fermate a mangiare.

Onigiri e birra giapponese, la morte mia!

Questa foto rappresenta due momenti importanti della mia vita “made in Japan”, ovvero: come io abbia da subito imparato a mangiare con le bacchette e, tenuta in mano dalla mia “partner in crime” Paola, la “biru” giapponese. La mia perdizione giapponese. Diversa da quella italiana, molto meno gasata e sempre fredda sempre al punto giusto, non ho mai bevuto così tanta birra in così poco tempo.

Il posto era frequentato dalla gente del luogo, quindi vedevi molte persone uscite dal lavoro (o dalla scuola) ancora vestite “seriamente” venire al parco, fare un giro, incontrarsi con gli amici, mangiare insieme in questi micro ristoranti, o fare dei picnic notturni nel parco. L’ingresso alla zona cibo era stupendo, un gigantesco torii capeggiava.

Come già detto, il parco era illuminato la notte, era favoloso. Ci siamo incantate a vedere un ciliegio bianco illuminato. Da quando riportato sul cartello alla base, era un ciliegio nato spontaneamente, come varietà, solo a Hirosaki. Vuoi non fotografarlo?

il ciliegio dai fiori bianchi, una varietà nata a Hirosaki

Ormai sera, ce ne stavano andando, dopo aver fotografato il ciliegio bianco, quando vediamo una signora giapponese che ci chiama e s’incammina veloce verso noi, muovendo la mano come per dirci: “Venite qua!”. Sono sincera ho pensato (e anche Paola) abbiamo combinato qualcosa, abbiamo fatto qualcosa che non va bene, e ora “ci sgridano”. Timorose abbiamo seguito la signora e… ci ha presentato ad altre due signore, che insieme con lei stavano facendo il picnic notturno.

Quando vi dico che la cosa più bella di questo viaggio sono state le persone, lo dico per proprio per quello che ci è accaduto durante tutto il viaggio, partendo da qua.

Yoko, così si chiamava la signora, insieme alle sue amiche, ci ha invitato a fare un picnic notturno sotto agli alberi di ciliegio insieme a loro. Non potete capire la nostra (felice) sorpresa. Loro non parlavano inglese (ma neppure io), noi non parlavamo giapponese (Paola lo sta studiando però). Nonostante questo, abbiamo passato ore a comunicare con loro, ridendo e scherzando (non ringrazierò mai abbastanza google traslate).

Ci hanno offerto il loro cibo, hanno stappato una bottiglia da un litro di sake, che dire buono era poco, alla fine eravamo tutte un po’ brille e sorridenti.
Posso dire che le ho amate e le amo?

Per avere un ricordo, Yoko e le altre, hanno chiesto a dei signori giapponesi che “picnicavano” non lontano da noi, di farci una foto. Siamo così diventate anche per questi signori “Itariahitodesu ka?” (Siete italiane?) mentre ci regalavano sorrisi e incredulità.

Quando è arrivato il momento di salutarci, ci hanno fatto ancora un regalo, con il cibo che ci era piaciuto, ci hanno fatto il bento (vedi foto) per il giorno dopo.
Mi ripeto: ” Posso dire che le ho amate e le amo?”

Ecco, questo è stato il nostro primo giorno in Giappone, ora capite perché soffro di “mal di Giappone”, perché li amo, e perché non vedo l’ora di ritornarci?