KYOTO (The first day – Obiettivi e makgeolli )


Il viaggio verso Kyoto è stato lungo, abbiamo preso tre treni, non che la cosa mi abbia disturbato. Nei viaggi lunghi leggevo o mi perdevo nell’osservare la “fauna” umana che li riempiva e svuotava a ogni stazione.

Una volta giunte a destinazione nel nostro bellissimo albergo, posate le valigie, siamo subito partite verso la zona templi. Vi tranquillizzo non parlerò di tutti i templi che abbiamo visitato (sono tanti e il mio goshuin ne è testimone), ma ogni tanto di qualcuno si.
Il primo tempio è stato il kinkaku-ji temple, conosciuto anche tempio del padiglione d’oro, e nonostante la giornata non fosse soleggiatissima, la foto che ho fatto, ne fa capire il motivo.

Il kinkaku-ji è chiamato anche tempio del padiglione d’oro

Momento culturale. Inizio
Il tempio inizialmente fu costruito nel 1397 come abitazione dello shogun Ashikaga Yoshimitsu. Dopo la sua morte, il figlio convertì la villa in un tempio zen.
Come quasi tutti i templi e i castelli in Giappone, essendo costruiti in legno, fu distrutto dagli incendi. Questo è il motivo per cui sono quasi tutti ricostruiti e ristrutturati.
Momento culturale. Fine

Nel parco del tempio, lungo il sentiero, ti trovi a lato queste incisioni su pietra (presumo rappresentino il Buddha). Dovevi lanciare una monetina e centrare le ciotole. Se ci riuscivi, avresti avuto dalla tua la fortuna (e i monaci molte monetine come offerta). Non ci crederete, ma al primo tiro ho centrato la ciotola di pietra. Credetemi non era facile ma questo viaggio, lo dico da quando ho deciso di farlo, era baciato dalla fortuna.

foto non mia, del resto non potevo, insieme, lanciare la moneta e fotografarmi

Altra particolarità che abbiamo trovato all’interno, ma che potete trovare ovunque, sono i secchi d’acqua, per strada, vicino alle case e i sekimori ishi in alcune zone.

I secchi d’acqua servono come prevenzione negli incendi. In Giappone, specialmente nei piccoli centri o nei quartieri più “antichi”, le case sono costruite in legno o parzialmente con esso, e i secchi d’acqua fuori alle case, servono per bloccare immediatamente un inizio incendio nella via.

Mentre i sekimori ishi, delle pietre con annodato un cordino nero, servono ad avvisare che di lì non si può passare, in pratica un divieto d’accesso antico.

Kyoto è l’antica capitale e quindi è piena di templi, zone d’interesse storico, santuari, giardini zen a secco e verdi. Ho fatto moltissime foto; a rappresentanza metto questo collage che “parla” della tomba di una principessa, del verde dei loro parchi e di un Kami*.

Il pomeriggio del primo giorno a Kyoto siamo andate all’Horin-ji temple (daruma-dera), il tempio dei Daruma di Kyoto (ne esiste uno più grande a Osaka).

I Daruma e un Daruma ricoperto di Ema

I Daruma, sono bambole votive giapponesi, rappresentano Bodhidharm, il fondatore e primo patriarca dello Zen. Usando un inchiostro nero, bisogna disegnare un solo occhio (o il cerchio dell’occhio), esprimendo un desiderio/obiettivo che si vuole raggiungere.
Quando l’obiettivo è realizzato, si deve disegnare anche il secondo occhio (o cerchio il dell’occhio) e riportarlo al tempio dove si è preso.  Se però entro un anno l’obiettivo non è raggiunto allora il Daruma deve essere bruciato.

Io ho preso un Daruma, non ho ancora espresso l’obiettivo, devo ponderare bene prima, cosicché si realizzi e sia obbligata a tornare in Giappone al tempio dove l’ho preso!

Il primo giorno a Kyoto volgeva al termine, e quindi vuoi non andare nuovamente in un *izakaya, fronte bancone, a mangiare? Stranamente vedete ancora della buonissima *nippon biru in foto.

Infine nota aggiuntiva dell’ulteriore dipendenza che ho creato a Paola. Anche se eravamo in Giappone, le ho fatto assaggiare il *makgeolli.

Inutile dirvi che è diventato il nostro rito serale la sera prima di dormire, mezzo litro in due, contenendoci, solo per non finire tutte le bottiglie acquistate, in una sera (Se continuate a sospettare che questa sia anche una vacanza alcolica, un pochetto, continuate, ad avere ragione).

*Kami = indica una divinità o uno spirito soprannaturale. È tradotta con la parola  “dio”, ma non esattamente questo, o meglio non solo.  E’ considerato anche come un principio, una forza della natura, uno spirito che alberga nelle e piante o nelle montagne (per esempio) e chiaramente anche come divinità.

*Izakaya = un locale dove sedersi per bere e mangiare qualcosa, usato dai giapponesi come cena post lavoro.

*nippon biru = letteralmente birra giapponese (credo di non aver mai bevuto così tanta birra in vita mia, come in questo viaggio)

*makgeolli = Il makgeolli è un vino di riso coreano, è l’alcolico più antico mai prodotto in Corea (Vi avviso, attenzione nella sua assunzione, crea dipendenza).

PS: La foto finale qua sotto è stata fatta per la sorpresa nel vederli.
Se vi domandate se sono impazzita, no, non lo sono. In Giappone, non esistono cestini in giro per le città, l’immondizia che produci la devi portare a casa e smaltirla lì. Quindi quando ho visto (all’interno di un complesso di templi) questi due cestini, ho pensato “Esistono!”

Esistono!

HIROSAKI (The second day – Come passare da un Tempio al Sidro)


Il mio secondo giorno in Giappone è stato sempre a Hirosaki, avevamo quasi tutta la giornata a disposizione, prima di riprendere l’aereo e lasciare il nord del paese.
La destinazione è stata il primo tempio dei tanti che avremmo visto in seguito. Abbiamo usato i mezzi locali (neppure vi dico dell’efficienza dei mezzi pubblici che abbiamo trovato in ogni luogo, sia esso sperduto o no) e ci siamo dirette al Saishoin Temple.

Breve momento culturale.
Il tempio è stato costruito per guardare dall’alto (e sorvegliare) il castello di Hirosaki, che si trova a poco più di un chilometro di distanza. La Pagoda a cinque piani è stata designata come bene culturale importante a livello nazionale.
Fine momento culturale.

Saishoin Temple e l’immancabile torii

E’ stata la mia prima esperienza in assoluto in un tempio buddista, non parlo da spirituale mistica, ma vi posso assicurare che entrare e sentirsi avvolti da un’aura particolare ed essere un tutt’uno con il posto, è stato un attimo. Forse perché il tempio non era affollato, era silenzioso, con una leggera brezza e il sole che alimentava i colori.

Nei limiti della mia conoscenza ho cercato di essere rispettosa delle loro usanze, di cosa si doveva fare. Ho scoperto quindi che la fontana con il “mestolo” ha un suo scopo ben preciso, prima di entrare devi purificarti e sciacquarti le mani e la bocca. Ammetto che con la bocca non l’ho fatta, ma a onor del vero non ho visto nessuno farlo mai, neppure degli abitanti del luogo, in nessun santuario o tempio.

La foto sopra, la amo particolarmente, la fontana purificatrice con petali di ciliegio che pigramente galleggiano. Un vero peccato che non possiate sentire il suono dell’acqua che lentamente scorre.
Quella sotto, invece, è una fontana con una struttura più facile da trovare nei templi.

Per entrare nel tempio vero e proprio, altra usanza è togliersi le scarpe, lasciarle all’ingresso e rimettersele quando esci.

Intorno al tempio si trovavano piante, fiori, “richieste” e “desideri” appesi (Ema), statue di Buddha e di animali. In questo tempio ho trovato dei fiori bellissimi, che non sfiguravano per nulla nel periodo dei ciliegi.

Le statue spesso hanno dei bavaglini rossi al collo. Da quel poco che so, alcune solo legate a protezione dei bambini (anche quelli mai nati, e in questo caso sono chiamati i bavaglini di Jizo, dove Jizo raffigura il nostro occidentale Virgilio, Jizo accompagna le anime dei bambini mai nati), altre legate alla fecondità, altre alla protezione dei viaggiatori, altre ancora sempre alla fecondità ma della terra, questo a seconda del tempio o santuario e di cosa raffigura la statua.

Quel giorno ho scoperto anche l’usanza del goshuin, quindi nel mio primo tempio l’ho comprato e ho iniziato questa bellissima pratica.

Il mio goshuin con esposti alcuni dei shuin fatti

Momento culturale serio:
Il Goshuin (letteralmente sigillo rosso) raccoglie gli shuin, cioè i timbri rossi che contraddistinguono il tempio o il santuario, e una scritta fatta a mano con il pennello dai monaci. In alcuni templi ho visto anche calligrafi non monaci farlo.

Nel goshuin il monaco (o chi per lui), con i pennelli di vario spessore traccia il nome del tempio, la data della visita e altre scritte che riguardano il dio del tempio o di buon augurio.

Il mio goshuin, a parte il nome del tempio (perché lo abbiamo segnato) è un mistero per me, ma lo considero una raccolta di benedizioni o di buon augurio, magari qualche augurio si avvera (chissà prima o poi riuscirò a leggerli).
Fine momento culturale serio.

Momento profano
Il fatto poi che avessi trovato un goshuin con i coniglietti bianchi è stato motivo di immediata scelta per me. Chi ha visto il cdrama “The Untamed”, o ha visto il donghua “Il Gran Maestro Della Scuola Demoniaca”, oppure ha letto il libro “Mo Dao Zu Shi”, saprà il perché della mia scelta, che da buona fujoshi, ho considerato un segno del destino.
Per chi non ha visto nessuno dei tre, è difficile spiegare in poche righe, quindi consideratemi solo una donna con l’adolescenza tardiva.
Fine momento profano.

Terminata la visita al tempio Saishoin, siamo andate alla ricerca di un tempio a circa un chilometro di distanza. Lo abbiamo trovato, ma stavano officiando un funerale, il tempio era davvero piccolo e abbiamo deciso di andarcene.

Camminare sotto il caldo e il sole ci ha fatto venire voglia di una birra fresca (ve l’ho detto che la birra giapponese è la morte mia vero?), ma eravamo “sperdute” in un luogo dove vi erano solo abitazioni, e non trovavamo nulla fino a quando, compare alla nostra destra un piccolo bar (non so se in Giappone lo chiamano così, o hanno un altro nome) molto particolare. L’interno moderno, ben curato, e con una varietà infinità di sidro (abbiamo poi scoperto che Hirosaki è famosa e ha una grande produzione di mele. Fanno di tutto con loro, dalle torte, ai succhi di frutta, alle mele essiccate, al sidro, ad altro che non ricordo).

Il locale era vuoto, si capiva che era un locale che si animava la sera. Madre e figlio lo gestivano. La signora molto gentile si è avvicinata e ci ha portato davanti a degli scaffali pieni di bottiglie facendoci capire le varietà di sidro. Io e Paola parlavamo in italiano tra di noi chiedendoci “Lo vuoi secco? O dolce? Meglio questo o quello?”, quando ci siano accorte che il ragazzo con il cellulare in mano, volto in linea orizzontale verso noi, ci stava ascoltando.
In pratica non riusciva a capire da dove venissimo, ed era curioso di saperlo, così aveva aperto “google traslate microfono” per capire che lingua parlavamo. Lo abbiamo aiutato dicendolo noi “itariahitodesu”. Ve lo già detto vero? Vi ho detto che i Giapponesi amano gli italiani? (o almeno tutti quelli che abbiamo incontrato noi).

Alla fine ci hanno stappato una bottiglia di sidro di produzione locale, che vi giuro, mai bevuto un sidro così buono, mai!

Lo so potreste pensare a una vacanza alcolizzata tra birra e sidro, e un pochetto avreste ragione.

Abbandonati madre e ragazzo, siamo ritornate in “centro” Hirosaki. Abbiamo deciso di pranzare lì, prima di prendere il bus che ci avrebbe portato all’aeroporto di Aomori, che a sua volta ci avrebbe riportato a Osaka.

A pranzo ho mangiato per la prima volta il famoso natto giapponese, e nonostante quello che dicono sull’aspetto e odore, io l’ho trovato buonissimo, tanto che poi è stata anche la mia colazione per alcune mattine.

Il mio primo natto (con tofu fritto) giapponese e ops…
…stranamente una birra Kirin giapponese accanto

Terminato il pranzo, abbiamo recuperato le valigie in albergo e con il bus siamo ripartite verso l’aroporto di Aomori, durante il tragitto (sia all’andata sia al ritorno) le strade erano piene di queste macchine “cartone animato”. Io le chiamo così, perché così squadrate mi sembrano quelle disegnate dai bambini. Ve ne sono tantissime.

Hirosaki mi ha rubato cellule del miocardio.
Hirosaki, per me, sarà sempre Yoko e le sue amiche, il sidro, le persone che gestivano il locale, l’hanami, il festival della cittadina con le sue persone “normali”, e chiaramente, le sue mele.

PS: la foto che ho messo come copertina sono le “Ema Giapponesi”. Piccole tavolette di legno nelle quali i fedeli scrivono desideri e/o preghiere. Vengono poi appese all’interno della zona del santuario, così che i Kami, le divinità Shintoiste, possano leggerli ed aiutare le persone.