TOKYO TOWER


TOKYO TOWER
(Toukyou Tawaa)
2024 – Giappone – 9 episodi da circa 30m
Romantico, Drama
Su: Viki Rakuten

Attori:
Nagase Ren è Kojima Toru
Itaya Yuka è Asano Shifumi
Matsuda Genta è Ohara Koji
Megumi è Kawano Kimiko

Posso dire che avrei potuto fare la recensione di questo dorama, che amo profondamente, già dopo solo la prima puntata. Amato a livello vibrazionale cellulare, da subito.

Avere continuato la visione, prima di scrivere qua, ha solo confermato quello che ho appena scritto (ho questa “brutta abitudine” di recensire solo a fine visione). Tutti gli attori di una bravura intensa. Una regia, una sceneggiatura e una fotografia impeccabili, ne hanno fatto un prodotto di alta qualità.

Per farvi solo un esempio, sono stati capaci di rendere l’emozione di un personaggio solo con la fotografia di un primo piano di un bicchiere appoggiato sul tavolo.

I dialoghi interiori di Kojima Toru (Nagase Ren) mentre parla con se stesso, cercando di capire, le sue emozioni, coinvolgenti. Io ero lui, soffrivo insieme a lui.

La recitazione di Matsuda Genta ha reso perfettamente il personaggio di Ohara Koji, mentre la sua trasformazione avveniva.

Cito per ultima, ma non per questo ultima, Itaya Yuka che ha interpretato Asano Shifumi. Il suo raffigurarla così elegante e signorile, in una situazione che poteva cadere nel volgare, è davvero un piccolo bijou.

Del resto tutto il dorama è stato così, elegante, profondo, senza cadere nella volgarità, nonostante alcune scene. 

Lo ammetto, mi ha coinvolto così tanto a livello emozionale, che alcune volte ho dovuto posticipare la visione di un altro episodio per “riprendermi” dal coinvolgimento. Questo mi era successo solo un’altra volta con un drama.

Il sapore dolce amaro (che hanno tantissimi dorama giapponesi) della visione è rimasto con me, e credo mi accompagnerà ogni volta che penserò a questo dorama, che ho amato moltissimo per la storia, per la bellezza e bravura degli attori e perché, lo ammetto, io con la visione emotiva sentimentale giapponese ho un feeling, che neppure con la mia cultura ho (chissà forse in vite precedenti ho vissuto in quella terra).

Piccola curiosità: questo dorama è un remake di un Jdrama del 2005, dallo stesso titolo, con Okada Junichi nel ruolo di Kojima Toru e Kuroki Hitomi nel ruolo di Asano Shifumi. Nel 2014 anche i coreani ne hanno fatto un remake dal titolo Secret Love Affair con Yoo Ah In e Kim Hee Ae.
Non ho visto nessuno dei due (fortunatamente, altrimenti non avrei visto questo, tendo a non guardare i remake di quello che ho già visto), e non posso far quindi paragoni.

TRAMA

Kojima Toru è un giovane ragazzo, studia medicina e per avere un po’ d’indipendenza, lavora come guardiano notturno insieme al suo amico Ohara Koji, in un palazzo.

Toru è annoiato dalla sua vita, sempre uguale e ripetitiva, è insoddisfatto esente che gli manca qualcosa.

Un giorno incontra Asano Shifumi, e l’aiuta, scoprendo che è l’architetto che ha progettato il palazzo dove lui lavora la notte. Tra i due s’instaura subito un’affinità elettiva e in brevissimo tempo il ragazzo s’innamora della donna che ha il doppio dei suoi anni.

Nel frattempo il suo amico Ohara Koji, per spirito di emulazione, inizia a corteggiare la madre di una ragazzina cui dà ripetizione, convinto che una casalinga sia una “preda facile”.

Le due storie avanzano in maniera parallela, diverse tra loro, eppure con le stesse problematiche. Dovranno affrontare la complessità delle loro scelte, mentre la realtà sociale intorno a loro, li mette continuamente alla prova.

ANTI-HERO


ANTI-HERO
2024 – Giappone – 10 episodi ~ 50m
Genere: Legge, Giustizia, Thriller, Mistero
Su: Netflix

Attori: 
Hasegawa Hiroki è Akizumi Masaki
Kitamura Takumi è Akamine Shuto
Hotta Mayu è Shinomiya Asuka

Premetto subito, dorama della TBS ma rispetto a molti altri, nonostante gli stereotipi dei buoni buoni che combattono i cattivi cattivi, piacevole da vedere, con il suo pizzico di mistero. Gli ultimi episodi poi affrontano in modo serio un problema che in Giappone deve “sentirsi” molto, visto che non è la prima serie che ne parla e a lungo: il sistema giudiziario Giapponese con le sue dinamiche e mancanze di tutele.

E’ una miniserie di dieci episodi che scorrono veloci e tengono compagnia, risultando un momento di relax e di riflessione.

TRAMA

Il Giappone ha un sistema giudiziario che condanna il 99,9% degli imputati. In questo sistema, un ex procuratore, ora avvocato della difesa, Akizumi Masaki, cerca di combattere corruzione e collusione con i poteri, che il sistema giudiziario ha con la politica e la classe dirigente.

Mentre riesce a far assolvere i suoi clienti, ingiustamente accusati e incarcerati, cerca nel frattempo di far luce e giustizia su un mistero legato al suo passato. Ad aiutarlo in questo compito, l’intero suo staff legale. 

Matanē Giappone


Questa è l’ultima foto che ho fatto in Giappone, la mattina presto a Osaka dalla finestra dell’hotel, prima di avviarci all’aeroporto del Kansai.

Avevo già un amore irrazionale verso questa cultura, e queste due settimane in Giappone lo hanno reso più profondo e mi hanno fatto innamorare della sua gente, così diversa da me e allo stesso tempo così affine.

Questo brevissimo periodo mi ha fatto metter a fuoco il mio strano rapporto con il genere umano, di amore e “non vi reggo”, a prescindere dalla latitudine e longitudine.

Non che io non ami le persone, anzi, ma non amo la massa.

La massa diventa un corpo senza testa, questo fa sì che molti individui possano prenderne possesso, diventando loro la testa e veicolando quel corpo a loro piacimento.

Invece amo le persone, con le loro differenze, le loro unicità.

Per questo ho amato tanto questa vacanza in Giappone, che già amavo da lontano, perché ho vissuto le persone e la loro bellezza.

Lo so che mi ripeto, ne sono profondamente innamorata, consapevole che come ogni innamoramento, non vedo difetti e solo pregi del mio “amato”, o meglio i suoi difetti diventano pregi per me. So anche che arriverà il giorno in cui i difetti si paleseranno per quello che sono… ma questo non vuol dire smettere di amare.
Non lasci chi ami dopo il periodo d’innamoramento, passi solo al livello superiore, ami in maniera consapevole, nel bene e nel male. 

Quindi… Nihon matanē…

PS: Matanē è uno dei millanta saluti giapponesi, questo in particolare, riferito al Giappone, mi piace molto, perché vuol dire: “Ci vediamo dopo”, “Ci vediamo presto“.

OSAKA – Ultima notte in Giappone


Il viaggio per Osaka sarebbe stato lungo, avremmo preso più mezzi, e l’idea che eravamo agli sgoccioli della vacanza non aiutava il morale. La piccola stazione nel verde nulla di Atashika ci aspettava con il suo romanticismo made in Japan.

Il Giappone, però, aveva in serbo ancora dei regali per me, per esempio farmi sbirciare “nella sua vita quotidiana”.

Osaka ci ha accolto nel tardo pomeriggio, avevamo qualche ora a disposizione, e oltre a non riuscire più quasi a uscire dalla stazione metro di Osaka (l’uscita di Umeda), abbiamo visitato alcune librerie. Siamo poi andate a mangiare in un locale dove c’era Licia, Marrabbio vestito di nero e la nonnina di “Kiss me Licia”! (non sto scherzando, prego la regia di mandare diapositiva di conferma)

Stranamente vedete un bicchiere d’acqua e non la birra, ma non vi preoccupate, l’acqua loro la portano sempre free al tavolo, chiaramente ho ordinato il mio solito mezzo litro di birra giapponese. Prego la regia di mandare diapositiva, quale prova documentale.

La nonnina che citavo sopra, quando stavamo per uscire dal locale ci ha salutato con un “Ciao”. Alla nostra sorpresa ci ha fatto sapere che lei ama molto l’Italia (l’ha fatto sorridendo e citando: “Pasta, pizza, Venezia, Roma, Milano). Anni prima era stata in Italia, e le sarebbe piaciuto tornare.

Dopo cena abbiamo deciso di fare un ultimo giro della città. Molti dicono che a Osaka non c’è nulla o quasi, che meglio andar in altre città, io lo ribadisco, Osaka a me è piaciuta.
Ho amato i quartieri che ho visto: Nipponaschi, Umeda e Namba, così diversi tra di loro e ognuno con una sua bellezza.

Ho amato le sue centinaia di biciclette, ovunque, specialmente la sera.

Ho amato quella “puzza” di fritto che aleggia nell’aria a una certa ora, che tornavi in albergo neppure fossi stata in una delle peggiori pizzerie di Caracas…. ops… italiane. Quelle che ancora non hanno gli aspiratori, quelle in cui torni a casa e devi farti due docce per toglierti l’odore di fritto dal corpo e buttare i vestiti, ormai inutilizzabili.

Ho amato le luci, i suoi colori e i suoi kawaii.

Ho amato la sua sera piena di vita e di fermento. Osaka è una città giovane e si “sente”, si percepisce, in ogni cosa che incroci, e trovare anche qui (come a Shirahama il tavernello) un pezzettino di Italia con Intimissimi, la fa sentire più vicina.

Forse anche il pensiero che quella sarebbe stata la nostra ultima notte in Giappone (per il momento) me l’ha fatta amare anche di più. Il giorno dopo saremmo ripartite per l’Italia. Ma questo è un altro post.

KUMANO KODO – Maruyama Senmaida (Torte in lattina e neko)


Le risaie di Maruyama Senmaida ci aspettavano. La giornata era grigia e quindi le foto che ho fatto (nei miei limiti) non fanno risaltare la bellezza e particolarità del luogo. Ve ne metto, comunque, alcune.

Momento cultura. Inizio
Le risaie sono poste su una collina, su più livelli. Questo le rende davvero particolari. Il luogo è considerato, da parte dei Giapponesi, patrimonio nazionale.  Per la particolarità delle terrazze, la coltivazione è ancora manuale.
Una curiosità: Senmaida significa 1004 risaie.
Momento cultura. Fine

Su tutti i campi, troneggia un Kami a protezione della risaia.

Oltre aver fatto le foto panoramiche, abbiamo passeggiato tra le risaie inondate di acqua. Centinaia di girini nuotavano al loro interno. Alcune zone erano “ricolme” di fiori di loto.

E poi c’eravamo noi, gaikokujin*, in un selfie ricordo.

Durante la visita ci siamo seduti vicino al mulino ad acqua, e Matsu ha tirato fuori (a sorpresa) la merenda per noi: la torta in lattina!

Purtroppo avendo panna e uova, io ho guardato gli altri mangiarla, ma l’idea che Matsu avesse pensato a noi, mi riempiva di gratitudine.

Verso l’orario del pranzo, Matsu ci stava riportando alla stazione di Kumano Shi, quando abbiamo deciso di offrirle (almeno) il pranzo, per tutte le innumerevoli gentilezze che ci aveva fatto, e per la generosità che ci ha sempre dimostrato.

Lei ha reagito come una bambina, sorpresa e felice, dicendo che non era il caso che noi spendessimo soldi per lei. L’abbiamo convinta. Abbiamo fatto fatica invece a convincerla a portarci in un ristorante, aveva paura di farci spendere soldi, voleva condurci a uno di quei locali in cui spendi poco.

Usciti dal ristorante, non finiva più di ringraziarci per il pranzo offerto, quando invece eravamo noi in debito con lei e avremmo dovuto dirle “Arigatou” per dei giorni. Senza nulla volere, ci aveva aiutato il giorno prima, ci aveva scarrozzato con la sua auto, ci aveva condotto alle risaie facendoci risparmiare tempo e denaro, e nonostante questo lei mostrava gratitudine verso noi.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Era giunto il momento di tornare indietro. Matsu però ci ha riportato a casa sua, Erez (che avevano ospitato per la notte) doveva recuperare il suo zaino, prima di ripartire per il suo giro del Giappone.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Tutta la famiglia di Matsu ci ha riaccolto come se ci conoscessimo da sempre, e anche i loro cani, ormai, ci consideravano di famiglia.

Non è finita, prima di andarcene, Matsu entra in casa ed esce con due statuette in mano, una per me e una per Paola, due neko*, e fa lei un regalo a noi.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Infine, Matsu ha “caricato” in auto me, Paola e uno dei suoi cani, mentre il marito e i figli hanno fatto salire sull’altra auto Erez, e, tutti insieme, siamo andati alla fermata del bus. Abbiamo salutato Erez con la promessa “Se vieni in Italia, vieni da noi” e da parte sua “Se venite in Scozia venite da me”.

Matsu avrebbe dovuto accompagnarci alla stazione, invece l’ennesima gentilezza, ci ha portato direttamente a Atashika, davanti al nostro BB.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Abbiamo salutato Matsu con il cuore pieno di gratitudine, che ho ancora nei suoi confronti, con l’invito, se mai venisse in Italia, di essere nostra ospite, lei e tutta la famiglia.

Finiva così la giornata, un ultimo giro ad Atashika per prendere la cena, cercando di rimandare il rientro nel nostro appartamentino, come a non volere segnare la fine della giornata, perché il giorno dopo saremmo ripartite per Osaka.

Avremmo dormito la notte a Osaka e il giorno successivo saremmo ripartite per l’Italia.

Quasi a sentire la tristezza che avevamo nel cuore, il tempo ha iniziato a peggiorare e a “piangere” dal cielo, e l’ha fatto a scroscio per tutta la notte, regalandoci solo dieci minuti alla mattina, il tempo di andare in stazione, dove avremmo preso il primo di alcuni treni locali.

Ma questo è un altro post.

*gaikokujin = significa  “persona esterna” non nativa del Giappone, i giapponesi indicano con questo termine gli stranieri
*neko = gatto

KUMANO KODO – Kumano-Shi (Keicar e bambole)


La mattina mi sono svegliata presto, Paola dormiva ancora. Mi sono preparata una tazza di caffè (il caffè liofilizzato mi ha salvato la vita in Giappone), ho preso il mio libro (elettronico) e mi sono seduta fronte oceano, sul terrazzino, a leggere e gustarmi il momento.
Se non fosse che avevamo appuntamento alla stazione di Kumano-Shi con Matsu per andare alle risaie di Maruyama Senmaida, sarei rimasta così tutto il giorno, un silenzio assoluto, infranto solo dal rumore dell’oceano. Amo Atashika.

La giornata non era bellissima, ma questo non ci avrebbe fermato.
Quando Paola si è svegliata, era ancora presto, e dopo aver fatto colazione, abbiamo deciso di far un giro per Atashika, e poi di andare alla stazione.

Il Kumano Kodo è una zona dove i Santuari sono massicciamente presenti, a differenza della zona di Kyoto, dove si trovano più Templi. Personalmente amo di più i Santuari legati alla natura. Di questa vacanza ho un unico rimpianto, aver avuto poco tempo da passare nel Kumano, zona bellissima, montagna e oceano. Non escludo, che prima o poi, faccia il “Cammino del Kumano Kodo”, una specie di cammino di Santiago Giapponese.

Giunte in stazione abbiamo visto Matsu e con lei c’era anche Erez, il ragazzo scozzese di origini marocchine. Matsu e la sua famiglia lo avevano ospitato per la notte.

Matsu, persona splendida, era arrivata con la sua auto, dicendo che ci avrebbe accompagnato lei direttamente, senza usare i mezzi. Mi si riempie ancora il cuore di gratitudine al pensiero di Matsu.

L’auto di Matsu è un’auto che in Italia non esiste, l’auto dei “cartoni animati” (ne ho già parlato in un post precedente) e che io voglio avere assolutamente! Aveva anche la televisione. Sapete come è possibile averla in Italia? (senza vendere i due reni di questa vita, e ipotecarne uno della prossima)

Prima di avviarci verso le risaie, Matsu ci avvisa che dobbiamo far un salto a casa sua e ci porta dove abita. Arrivate, ci fa scendere, ci fa entrare in casa, dove ci sono i figli che ancora si stanno lavando i denti, con nostro grande imbarazzo (ci sembrava di entrare e disturbare), ma lei era tranquilla (credo i figli e il marito siano abituati) e ci porta in una stanza particolare.

Foto di Paola

Nella stanza, unica interdetta ai suoi due cani, c’erano esposte le bambole giapponesi, che rappresentano la corte imperiale di un periodo storico. Sono bambole particolari, di un certo valore. Lei aveva il set completo, detto hina-ningyo. Ha detto che alla sua morte le avrebbe regalate alla città.

Momento cultura. Inizio.
Queste bambole sono esposte il giorno della “Festa delle bambole” o “Festa delle bambine”, festa che cade il terzo giorno del terzo mese (3 marzo). E’ una tradizione giapponese, in cui le bambole raffiguranti l’imperatore, l’imperatrice e il loro seguito sono oggetto di preghiera. Si prega perché la sfortuna delle bambine passi alle bambole.
Questa tradizione è molto antica. Pensavano che le bambole potessero “contenere” gli spiriti maligni, allontanandoli dalle bambine.
Momento cultura. Fine

foto di Paola

Inoltre alla parete vi era uno stupendo kimono da nozze, che ha fatto provare sia a me, sia a Paola. Dopo questo siamo partite alla volta delle risaie di montagna.

Arrivate alle risaie, mentre Matsu si è fermata in un punto strategico per fare le prime foto, si ferma un’auto, scendono dall’auto alcune persone e parlano con lei. Il gruppo parla in giapponese (chiaramente) fino a che non percepisco un “Itarijin”, un italiane. Dopo un minuto Matsu arriva da noi e dice che sono un gruppo che viene da Osaka e chiedevano se potevano far una foto con noi (abbiano così scoperto di essere esotiche).

Dopo aver fatto parte dell’esotic time, siamo ripartite per le vicine risaie.

Ho fatto millanta foto quella mattina, anche se la giornata grigia non ha valorizzato il luogo, rimane lo stesso di una bellezza particolare, ma al solito, questo è un altro post.

SHINGU – Verso Atashika (Wanted e Tsunami)


La mattina, a Shingu, ci siamo alzate presto con l’idea di visitare un santuario in città, prima di partire per Atashika. Abbiamo salutato il “nostro” monaco Sasaki, il quale è stato carinissimo, oltre a un selfie ricordo con lui, ci ha regalato il goshuin del suo tempio.

Il santuario da visitare, aveva 538 o 548 (non ricordo bene) scalini da salire per arrivare alla sommità della montagna, ed io non ero molto convinta (visto il poco tempo), poi abbiamo letto “attenzione vipere”, ma soprattutto abbiamo visto che tipologia di gradini erano (ovvero sassi, assemblati insieme, di diverse altezze e grandezze). Abbiamo cambiato programma, ci avremmo messo troppo tempo.

Ci toccherà tornare in Giappone per vederlo con calma (Vedete? Tutto ci riporta in Giappone).

Ci siamo avviate quindi a un altro santuario, il Kumano Hayatama Taisha, e questa volta qualche foto l’ho fatta, forse complice il suo colore e l’azzurro del cielo.

Ho fatto anche le mie solite foto a statuette e scorci di città vuota, che tanto amo.

Prima di prendere il treno, ci siamo concesse una seconda colazione fronte stazione, dove in un bar minuscolo, una signora gentilissima ci ha servito. Un bar di due metri per due, arredato come fosse una casa, con dei manga a disposizione per la lettura.

Davanti alla stazione, poco prima di partire ci aspettava una sorpresa, i ferrovieri con un ospite speciale. Ve l’ho già detto che amo i giapponesi?

Infine abbiamo preso il treno per Atashika e siamo giunte nel nostro appartamentino fronte oceano. Il ragazzo che lo gestiva è stato gentilissimo, socievole, parlava bene inglese. Ci ha dato delle dritte per i luoghi, dove mangiare, ci ha fatto trovare il frigo con la colazione pronta, succo di mandarini, mandarini, pane (quello vero!), formaggio e uova. Quando ha saputo che ero vegana, a me ha portato la marmellata di mandarini fatta da loro. Abbiamo così scoperto che in loco doveva esserci una zona di produzione di mandarini!

Dicono spesso che i giapponesi siano distanti, freddi, chiusi, che tengono a distanza. La mia esperienza è stata diversa. Tutti quelli che ho incontrato sono stati generosi, gentili, disponibili e accoglienti. Forse sono stata fortunata, o forse no, forse è usare un “trucco”.
Il “trucco” è: essere rispettosi delle loro leggi, delle loro usanze, dei loro luoghi e della loro persona, e loro aprono il cuore come un girasole al sole.

Atashika è davvero un puntino sulla costa dell’oceano pacifico. Non c’è nulla, a parte qualche abitazione, l’oceano e alcuni cartelli “inquietanti” che parlano di ricercati o di tsunami.

Quel puntino però, quel nulla, mi risuona dentro e l’ho amato.
Ma questo è un altro post.

KUMANO KODO – TANABE (Torii, riso e Kami delle donne)


Il viaggio che mi ha portato dal santuario di Nachi al Santuario Kumano Hongo Taisha, mi ha regalato un’immagine che rappresenta perfettamente il Giappone (dal mio punto di vista): terra, acqua, cielo e lì in mezzo piccolo e in balia, qualcosa di umano.
Mondi attigui ma separati, mondi che attingono uno dall’altro ma mantengono la loro unicità (sì, me ne rendo conto, sono ancora perdutamente innamorata del Giappone), mentre l’umano vive, o sopravvive, in mezzo a loro.

Il Kumano Kodo regala grandi paesaggi, storia e immagini, dal mio punto di vista è un bel posto per viverci.
Arrivate a Tanabe siamo state accolte dal torii Oyunohara, impossibile non vederlo, è il torii più grande al mondo.

E’ chiamato, da alcuni, anche il Torii delle risaie, poiché si erge, enorme, dai campi di riso tutt’intorno. E’ considerato un luogo di grande forza energetica, che aiuta a ricaricarsi. Sarà vero, non sarà vero, non so. So che stare lì era bello, oserei dire maestoso come il suo torii. Nel cielo sorvolava continuamente un’aquila, anche a basse altezze, sembrava un guardiano del luogo.

A poca distanza c’era un santuario piccolo piccolo, dedicato a Ubutasha, il Kami delle donne.

Abbiamo visitato anche il famoso Santuario Kumano Hongu Taisha (di cui come al solito non ho foto), perché già sapete della mia passione per le statuine o per le persone. Qui ho fotografato le persone davanti al “saisenbako”.
Sì, se ve lo chiedete, l’ho fatto anche io.

Momento cultura. Inizio
Davanti all’altare ci si inchina di fronte al “saisenbako” (la cassetta devozionale), si fa l’offerta, e a quel punto si tira la corda per far suonare la campana che scaccerà le entità cattive. Si fanno due profondi inchini, due battiti di mano, mentalmente si recita una preghiera, un ultimo inchino e si va via.
Momento cultura. Fine

Tardo pomeriggio siamo ripartite alla volta di Shingu, dove nonostante non fosse tardissimo, la città sembrava deserta. Nei piccoli centri, per la cena e il pranzo, hanno orari diversi da noi.

Abbiamo acquistato a un kombini la cena e ci siamo ritirate a bere birra e makgeolli (vero che il sospetto che sia una vacanza un pochetto alcolica, diventa sempre più realtà?).
Il giorno saremmo partite verso Atashika, ma questo è un altro post.

KUMANO KODO – NACHI (e l’albero della rinascita)


Siamo partite la mattina presto dalla cittadina di Shingu per arrivare alla cascata di Nachi. Shingu è in un posto strategico, con i mezzi puoi arrivare al Koumano kodo (alle sue spalle) o sull’oceano pacifico (che è di fronte). Di quella mattina ho amato la città con i suoi spazi vuoti, la donna uscita da film e l’arrivo all’altra cittadina, anch’essa semivuota.

Abbiamo preso un altro bus e ci siamo dirette alla cascata di Nachi.
Imponente è ho detto tutto.

Il luogo è bellissimo, e capisco perché viene considerato un luogo dove vive un Kami. La cascata è considerata, insieme a tutto il Kumano kodo, patrimonio Unesco, e fa parte dei siti sacri. E’ la cascata più alta, a salto ininterrotto, del Giappone (ve ne sono altre più alte, ma con salto d’acqua interrotto). Al solito io non fotografo i santuari o templi, ma mi perdo con animaletti e statue.

Potrei scrivere molte cose di questo luogo, ma non renderebbero mai la sensazione, e quindi lascio fare alle foto. Foto che hanno anche loro limiti. Non possono farvi sentire il calore del sole tra gli alberi, il fruscio del vento, la pace che avvolgeva tutto, la camminata sotto gli alberi, gli scorci di paesaggio.

Posso capire il perché della nascita della religione shintoista dopo aver visto questi luoghi.

Prima di andarcene dal Santuario Kumano Nachi Taisha, io e Paola abbiamo attraversato l’albero della rinascita. Un albero cavo che attraversi da una parte, sali e riesci dall’altra. Se lo attraversi, ti assicuri un’altra nascita. Io ero indecisa se farlo, pensavo “Un altra vita… non so se ce la posso fare”. Paola mi ha convinta e lo abbiamo attraversato… quindi portate pazienza, dovreste subirmi ancora in un prossimo futuro, non ben definito, insomma prendetevela con lei!

Momento cultura. Inizio
L’albero di cui ho scritto sopra è nel santuario, e un grande albero di canfora. Quest’albero ha quasi un migliaio di anni ed è considerato sacro. Il suo tronco cavo (naturalmente) permette di entrare al suo interno.
Momento cultura. Fine

Andate via ci aspettava il Santuario Kumano Hongu Taisha e il suo imponente torii, ma questo è un altro post.

SHINGU (Quando tutto il Giappone ha sospettato che la nostra fosse, un pochetto, una vacanza alcolica)


Siamo arrivate a Shingu con il buio. Avevano preso alloggio per un paio di notti presso un tempio a circa un chilometro dalla stazione, quindi la nostra opzione dopo un’intensa giornata e con quel buio è stata di prendere un taxi.

I taxi giapponesi sono davvero particolari, hanno i centrini della nonna sulla parte alta dei sedili, sia posteriormente sia anteriormente. I tassisti guidano con i guanti bianchi e ti fanno entrare (e uscire) solo dal lato sinistro dell’auto. Quando paghi in contanti, ti mettono il piattino dove appoggiare i soldi (ma questo un po’ ovunque). Non ho foto mie dei taxi che ho preso, metto quindi una foto presa in rete, per farvi capire meglio quello che ho scritto.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Il tassista ci ha portato a destinazione (pensavamo) e aprendo il portabagagli ha preso i nostri zaini, nel farlo dallo zaino di Paola è caduta una bottiglia da circa un litro che aveva messo a lato. Vedendola a terra il tassista, ridendo, ha esclamato: “Makgeolli!!”.
Credo che anche lui abbia pensato che, un pochetto, la nostra era una vacanza alcolica.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Ora non sto neppure a spiegarvi nei dettagli, sappiate che una volta partito il tassista, stavamo per entrare in un altro tempio (dove ci aveva lasciato) e che abbiamo visto arrivare dall’altro lato della strada il nostro monaco in ciabatte dicendo: “No, no… come me!” agitando la mano, e portandoci dall’altra parte della strada a pochi metri. Stavamo entrando in un tempio diverso, dove dal numero di scarpe esposte, probabilmente c’era una funzione.

Il nostro monaco (Sasaki) ci ha accompagnato alla nostra stanza fronte tempio (suo), questa volta giusto. Ha cominciato a farci vedere come usare le cose e dove erano i futon.

Il mio primo futon, ho dormito benissimo

Sasaki, poi aprendo il frigo e indicando sulla cucina delle bottiglie enormi ci ha detto: “Drink”. Paola, a quel punto, chiede (il monaco un po’ di inglese lo parlava) come facciamo a pagare, i bottiglioni erano davvero grandi e non avremmo bevuto tutto. Lui ci guarda stupido e risponde: “Free”.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Detto ciò, però devo anche sottolineare che comincio a sospettare che, in Giappone, si sia sparsa la voce che forse la nostra vacanza, era un pochetto alcolica. Se guardate la foto qua sotto, due bottiglioni di sakè, uno di prugna e un’altro di qualcosa di non ben identificato sul ripiano della cucina e nel frigo birre, lo sospettereste anche voi.

Al monaco Sasaki è andata bene, perché noi ormai eravamo cadute nel gorgo del makgeolli, e a parte un paio di birre, non abbiamo toccato nulla, la sera eravamo dedite al vino di riso coreano.

Questo è stato il nostro arrivo a Shingu, il giorno dopo ci aspettava una cascata e un po’ di templi, ma questo è un altro post.