KUMANO KODO – Maruyama Senmaida (Torte in lattina e neko)


Le risaie di Maruyama Senmaida ci aspettavano. La giornata era grigia e quindi le foto che ho fatto (nei miei limiti) non fanno risaltare la bellezza e particolarità del luogo. Ve ne metto, comunque, alcune.

Momento cultura. Inizio
Le risaie sono poste su una collina, su più livelli. Questo le rende davvero particolari. Il luogo è considerato, da parte dei Giapponesi, patrimonio nazionale.  Per la particolarità delle terrazze, la coltivazione è ancora manuale.
Una curiosità: Senmaida significa 1004 risaie.
Momento cultura. Fine

Su tutti i campi, troneggia un Kami a protezione della risaia.

Oltre aver fatto le foto panoramiche, abbiamo passeggiato tra le risaie inondate di acqua. Centinaia di girini nuotavano al loro interno. Alcune zone erano “ricolme” di fiori di loto.

E poi c’eravamo noi, gaikokujin*, in un selfie ricordo.

Durante la visita ci siamo seduti vicino al mulino ad acqua, e Matsu ha tirato fuori (a sorpresa) la merenda per noi: la torta in lattina!

Purtroppo avendo panna e uova, io ho guardato gli altri mangiarla, ma l’idea che Matsu avesse pensato a noi, mi riempiva di gratitudine.

Verso l’orario del pranzo, Matsu ci stava riportando alla stazione di Kumano Shi, quando abbiamo deciso di offrirle (almeno) il pranzo, per tutte le innumerevoli gentilezze che ci aveva fatto, e per la generosità che ci ha sempre dimostrato.

Lei ha reagito come una bambina, sorpresa e felice, dicendo che non era il caso che noi spendessimo soldi per lei. L’abbiamo convinta. Abbiamo fatto fatica invece a convincerla a portarci in un ristorante, aveva paura di farci spendere soldi, voleva condurci a uno di quei locali in cui spendi poco.

Usciti dal ristorante, non finiva più di ringraziarci per il pranzo offerto, quando invece eravamo noi in debito con lei e avremmo dovuto dirle “Arigatou” per dei giorni. Senza nulla volere, ci aveva aiutato il giorno prima, ci aveva scarrozzato con la sua auto, ci aveva condotto alle risaie facendoci risparmiare tempo e denaro, e nonostante questo lei mostrava gratitudine verso noi.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Era giunto il momento di tornare indietro. Matsu però ci ha riportato a casa sua, Erez (che avevano ospitato per la notte) doveva recuperare il suo zaino, prima di ripartire per il suo giro del Giappone.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Tutta la famiglia di Matsu ci ha riaccolto come se ci conoscessimo da sempre, e anche i loro cani, ormai, ci consideravano di famiglia.

Non è finita, prima di andarcene, Matsu entra in casa ed esce con due statuette in mano, una per me e una per Paola, due neko*, e fa lei un regalo a noi.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Infine, Matsu ha “caricato” in auto me, Paola e uno dei suoi cani, mentre il marito e i figli hanno fatto salire sull’altra auto Erez, e, tutti insieme, siamo andati alla fermata del bus. Abbiamo salutato Erez con la promessa “Se vieni in Italia, vieni da noi” e da parte sua “Se venite in Scozia venite da me”.

Matsu avrebbe dovuto accompagnarci alla stazione, invece l’ennesima gentilezza, ci ha portato direttamente a Atashika, davanti al nostro BB.

Ve lo già detto che amo i giapponesi?

Abbiamo salutato Matsu con il cuore pieno di gratitudine, che ho ancora nei suoi confronti, con l’invito, se mai venisse in Italia, di essere nostra ospite, lei e tutta la famiglia.

Finiva così la giornata, un ultimo giro ad Atashika per prendere la cena, cercando di rimandare il rientro nel nostro appartamentino, come a non volere segnare la fine della giornata, perché il giorno dopo saremmo ripartite per Osaka.

Avremmo dormito la notte a Osaka e il giorno successivo saremmo ripartite per l’Italia.

Quasi a sentire la tristezza che avevamo nel cuore, il tempo ha iniziato a peggiorare e a “piangere” dal cielo, e l’ha fatto a scroscio per tutta la notte, regalandoci solo dieci minuti alla mattina, il tempo di andare in stazione, dove avremmo preso il primo di alcuni treni locali.

Ma questo è un altro post.

*gaikokujin = significa  “persona esterna” non nativa del Giappone, i giapponesi indicano con questo termine gli stranieri
*neko = gatto

KUMANO KODO – TANABE (Torii, riso e Kami delle donne)


Il viaggio che mi ha portato dal santuario di Nachi al Santuario Kumano Hongo Taisha, mi ha regalato un’immagine che rappresenta perfettamente il Giappone (dal mio punto di vista): terra, acqua, cielo e lì in mezzo piccolo e in balia, qualcosa di umano.
Mondi attigui ma separati, mondi che attingono uno dall’altro ma mantengono la loro unicità (sì, me ne rendo conto, sono ancora perdutamente innamorata del Giappone), mentre l’umano vive, o sopravvive, in mezzo a loro.

Il Kumano Kodo regala grandi paesaggi, storia e immagini, dal mio punto di vista è un bel posto per viverci.
Arrivate a Tanabe siamo state accolte dal torii Oyunohara, impossibile non vederlo, è il torii più grande al mondo.

E’ chiamato, da alcuni, anche il Torii delle risaie, poiché si erge, enorme, dai campi di riso tutt’intorno. E’ considerato un luogo di grande forza energetica, che aiuta a ricaricarsi. Sarà vero, non sarà vero, non so. So che stare lì era bello, oserei dire maestoso come il suo torii. Nel cielo sorvolava continuamente un’aquila, anche a basse altezze, sembrava un guardiano del luogo.

A poca distanza c’era un santuario piccolo piccolo, dedicato a Ubutasha, il Kami delle donne.

Abbiamo visitato anche il famoso Santuario Kumano Hongu Taisha (di cui come al solito non ho foto), perché già sapete della mia passione per le statuine o per le persone. Qui ho fotografato le persone davanti al “saisenbako”.
Sì, se ve lo chiedete, l’ho fatto anche io.

Momento cultura. Inizio
Davanti all’altare ci si inchina di fronte al “saisenbako” (la cassetta devozionale), si fa l’offerta, e a quel punto si tira la corda per far suonare la campana che scaccerà le entità cattive. Si fanno due profondi inchini, due battiti di mano, mentalmente si recita una preghiera, un ultimo inchino e si va via.
Momento cultura. Fine

Tardo pomeriggio siamo ripartite alla volta di Shingu, dove nonostante non fosse tardissimo, la città sembrava deserta. Nei piccoli centri, per la cena e il pranzo, hanno orari diversi da noi.

Abbiamo acquistato a un kombini la cena e ci siamo ritirate a bere birra e makgeolli (vero che il sospetto che sia una vacanza un pochetto alcolica, diventa sempre più realtà?).
Il giorno saremmo partite verso Atashika, ma questo è un altro post.

KYOTO (The last day – Inari e Il gran maestro della scuola demoniaca )


Il quarto giorno a Kyoto sarebbe stato anche l’ultimo. La mattina dopo saremmo partite.
Ci siamo alzate presto, avevamo lasciato come ultimo luogo da vedere l’Inari.

Ci siamo dirette alla metro, qui c’era un bambino di circa otto anni disperato (intendo proprio disperato disperato) che frugava nel suo zainetto con i lucciconi agli occhi, agitatissimo. Mi sono bloccata, so che in Giappone la sicurezza è tale che anche i bambini possono andare in giro da soli, e che nella loro cultura si educano subito all’indipendenza, ma a me i lucciconi (di quel tipo, non quello dei capricci) di un bambino smuovono un istinto che di solito non ho, quello materno.

Ho capito che non trovava l’abbonamento, o i soldi per il biglietto, per andare a scuola. Agitatissimo, con il cellulare, deve aver chiamato a casa, ma la risposta non lo ha calmato, anzi, chiuso il telefono, ha svuotato del tutto lo zainetto per terra. Ha trovato delle monete, ha fatto il biglietto ed è corso via. Sono a quel punto sono riuscita ad andarmene.

Non so il motivo per cui ho ancor in mente quel bambino, il suo affrontare da solo le difficoltà e gli imprevisti della vita, in una metro (metro nella quale io, da adulta, non sono ancora capace di muovermi, per dire), così piccolo, così solo in mezzo a centinaia di persone me l’ha inciso nel cuore.

I treni, nell’orario in cui li abbiamo presi quella mattina, sono pieni di uomini e donne che vanno al lavoro e di ragazzi e ragazze con le loro divise scolastiche (quelle classiche da manga per capirci). Continuo a ripeterlo lo so, ma la sensazione di meraviglia è sempre stata quella, sembrava di essere in un manga o in un dorama.

Infine siamo giunte Santuario di Fushimi Inari-taisha. Per gli amici Inari.

Momento cultura. Inizio.
Il Fushimi Inari-taisha è il santuario principale dedicato al Kami Inari (Kami della fertilità, del riso, dell’agricoltura, delle volpi, dell’industria e del successo terreno). Il percorso inizia alla base di una montagna che porta lo stesso nome Inari (loro la chiamano montagna, ma è alta poco più di 230 metri). Bisogna attraversare 1000 torii per arrivare alla sua sommità.

Nel percorso si trovano molte statue che raffigurano delle volpi; sono considerate le messaggere divine del Kami Inari. Secondo la mitologia, alle volpi piace mangiare il tofu fritto (devo essere un po’ volpe dentro).

I torii sono portali, sono a migliaia in Giappone, sono simboli dello shintoismo, una religione molto legata alla natura. La loro presenza avvisa di un ingresso a un santuario o a un luogo sacro. Evidenzia il luogo che separa il regno degli umani dal regno dei Kami. Attraversandolo fai il primo atto/rito di purificazione per entrare nel luogo sacro.

L’origine dei torii è antica. La leggenda racconta che Amaterasu (Kami del sole) per sfuggire a suo fratello Susanoo (Kami delle tempeste), si rinchiuse all’interno di una caverna. Essendo la dea del sole, il suo nascondersi in una caverna, causò un’eclissi.

Gli altri Kami, preoccupati di non vedere mai più la luce del sole, posero davanti alla caverna in cui si era rinchiusa, dei trespoli giganteschi, in modo che degli uccelli dalla lunga coda cantassero per la dea.

Amaterasu incuriosita dal canto degli uccelli apri un varco per vedere. A quel punto un Kami si lancio all’interno della caverna, e lo aprì del tutto. Da quel momento il sole ritornò a splendere sul mondo.

I torii sono quei giganteschi trespoli. Discendenti dai primi trespoli posto dai Kami, dove si appoggiarono gli uccelli, che cantando attirarono Amaterasu.
Momento cultura. Fine

Potevano mancare i miei animaletti? (intendo quelli a destra, sia ben chiaro)

Nonostante la levataccia mattutina, l’Inari era già affollato, siamo riuscite a fare delle foto senza la folla, grazie alla pazienza di aspettare, nel punto che ci piaceva, che non passasse nessuno. Scese dalla montagna, comunque, la golden week colpiva ancora.
Prego la regia di mandare diapositiva della strada che porta al tempio.

Abbiamo fatto ancora qualche giro per templi e poi ci siamo ritornate a Kyoto città, e li ho conosciuto il male: Yodobashi.

Yodobashi non so descriverlo se non come il male, è nato come grande negozio di elettronica, man mano ha aperto delle filiali, e negli anni si è trasformato praticamente in un centro commerciale su più piani (quello di Kyoto) dove trovi di tutto, elettronica, cancelleria, libri, ristoranti, vestiti e cose assolutamente inutili che devi assolutamente comprare. Quindi un luogo dove compreresti di tutto, specialmente quello che non ti serve.

Anche il male, però, ha il suo lato buono, da Yodobashi all’ultimo piano nel settore libreria e manga, abbiamo trovato due cose interessanti.
La prima: una vera macchina italiana per fare il caffè espresso, dove fanno il caffè espresso vero, ed è pure buono!
La seconda: scaffali di manga bl, dove Paola ha avuto lo stesso momento di commozione che io ho avuto al Ponte Togetsukyo. Chiaramente ha fatto acquisti.

Io invece sono entrata in crisi mistica davanti alla foto qua sotto: Manga scritto in cinese, volume uno e due, doveva uscire ancora il terzo. Quest’ultima cosa mi ha impedito di comprarli perché pensavo: “Ma poi non riesco più a prendere il terzo, perché ritorno in Italia”. Classico esempio di quando ragioni male! Avrei dovuto pensare: “Il terzo? Devo ritornare, assolutamente qui in Giappone, quando esce, per compralo”.

Mo Dao Zu Shi (Il gran maestro della scuola demoniaca)
formato manga (in questo caso in cinese), tratto dal romanzo di Mo Xiang Tong Xiu

Il nostro ultimo giorno a Kyoto terminava così. Il giorno dopo saremmo partite per una nuova destinazione, con fermata programmata a metà di qualche ora, ma questo è un altro post.

KYOTO (The first day – Obiettivi e makgeolli )


Il viaggio verso Kyoto è stato lungo, abbiamo preso tre treni, non che la cosa mi abbia disturbato. Nei viaggi lunghi leggevo o mi perdevo nell’osservare la “fauna” umana che li riempiva e svuotava a ogni stazione.

Una volta giunte a destinazione nel nostro bellissimo albergo, posate le valigie, siamo subito partite verso la zona templi. Vi tranquillizzo non parlerò di tutti i templi che abbiamo visitato (sono tanti e il mio goshuin ne è testimone), ma ogni tanto di qualcuno si.
Il primo tempio è stato il kinkaku-ji temple, conosciuto anche tempio del padiglione d’oro, e nonostante la giornata non fosse soleggiatissima, la foto che ho fatto, ne fa capire il motivo.

Il kinkaku-ji è chiamato anche tempio del padiglione d’oro

Momento culturale. Inizio
Il tempio inizialmente fu costruito nel 1397 come abitazione dello shogun Ashikaga Yoshimitsu. Dopo la sua morte, il figlio convertì la villa in un tempio zen.
Come quasi tutti i templi e i castelli in Giappone, essendo costruiti in legno, fu distrutto dagli incendi. Questo è il motivo per cui sono quasi tutti ricostruiti e ristrutturati.
Momento culturale. Fine

Nel parco del tempio, lungo il sentiero, ti trovi a lato queste incisioni su pietra (presumo rappresentino il Buddha). Dovevi lanciare una monetina e centrare le ciotole. Se ci riuscivi, avresti avuto dalla tua la fortuna (e i monaci molte monetine come offerta). Non ci crederete, ma al primo tiro ho centrato la ciotola di pietra. Credetemi non era facile ma questo viaggio, lo dico da quando ho deciso di farlo, era baciato dalla fortuna.

foto non mia, del resto non potevo, insieme, lanciare la moneta e fotografarmi

Altra particolarità che abbiamo trovato all’interno, ma che potete trovare ovunque, sono i secchi d’acqua, per strada, vicino alle case e i sekimori ishi in alcune zone.

I secchi d’acqua servono come prevenzione negli incendi. In Giappone, specialmente nei piccoli centri o nei quartieri più “antichi”, le case sono costruite in legno o parzialmente con esso, e i secchi d’acqua fuori alle case, servono per bloccare immediatamente un inizio incendio nella via.

Mentre i sekimori ishi, delle pietre con annodato un cordino nero, servono ad avvisare che di lì non si può passare, in pratica un divieto d’accesso antico.

Kyoto è l’antica capitale e quindi è piena di templi, zone d’interesse storico, santuari, giardini zen a secco e verdi. Ho fatto moltissime foto; a rappresentanza metto questo collage che “parla” della tomba di una principessa, del verde dei loro parchi e di un Kami*.

Il pomeriggio del primo giorno a Kyoto siamo andate all’Horin-ji temple (daruma-dera), il tempio dei Daruma di Kyoto (ne esiste uno più grande a Osaka).

I Daruma e un Daruma ricoperto di Ema

I Daruma, sono bambole votive giapponesi, rappresentano Bodhidharm, il fondatore e primo patriarca dello Zen. Usando un inchiostro nero, bisogna disegnare un solo occhio (o il cerchio dell’occhio), esprimendo un desiderio/obiettivo che si vuole raggiungere.
Quando l’obiettivo è realizzato, si deve disegnare anche il secondo occhio (o cerchio il dell’occhio) e riportarlo al tempio dove si è preso.  Se però entro un anno l’obiettivo non è raggiunto allora il Daruma deve essere bruciato.

Io ho preso un Daruma, non ho ancora espresso l’obiettivo, devo ponderare bene prima, cosicché si realizzi e sia obbligata a tornare in Giappone al tempio dove l’ho preso!

Il primo giorno a Kyoto volgeva al termine, e quindi vuoi non andare nuovamente in un *izakaya, fronte bancone, a mangiare? Stranamente vedete ancora della buonissima *nippon biru in foto.

Infine nota aggiuntiva dell’ulteriore dipendenza che ho creato a Paola. Anche se eravamo in Giappone, le ho fatto assaggiare il *makgeolli.

Inutile dirvi che è diventato il nostro rito serale la sera prima di dormire, mezzo litro in due, contenendoci, solo per non finire tutte le bottiglie acquistate, in una sera (Se continuate a sospettare che questa sia anche una vacanza alcolica, un pochetto, continuate, ad avere ragione).

*Kami = indica una divinità o uno spirito soprannaturale. È tradotta con la parola  “dio”, ma non esattamente questo, o meglio non solo.  E’ considerato anche come un principio, una forza della natura, uno spirito che alberga nelle e piante o nelle montagne (per esempio) e chiaramente anche come divinità.

*Izakaya = un locale dove sedersi per bere e mangiare qualcosa, usato dai giapponesi come cena post lavoro.

*nippon biru = letteralmente birra giapponese (credo di non aver mai bevuto così tanta birra in vita mia, come in questo viaggio)

*makgeolli = Il makgeolli è un vino di riso coreano, è l’alcolico più antico mai prodotto in Corea (Vi avviso, attenzione nella sua assunzione, crea dipendenza).

PS: La foto finale qua sotto è stata fatta per la sorpresa nel vederli.
Se vi domandate se sono impazzita, no, non lo sono. In Giappone, non esistono cestini in giro per le città, l’immondizia che produci la devi portare a casa e smaltirla lì. Quindi quando ho visto (all’interno di un complesso di templi) questi due cestini, ho pensato “Esistono!”

Esistono!

HIROSAKI (The second day – Come passare da un Tempio al Sidro)


Il mio secondo giorno in Giappone è stato sempre a Hirosaki, avevamo quasi tutta la giornata a disposizione, prima di riprendere l’aereo e lasciare il nord del paese.
La destinazione è stata il primo tempio dei tanti che avremmo visto in seguito. Abbiamo usato i mezzi locali (neppure vi dico dell’efficienza dei mezzi pubblici che abbiamo trovato in ogni luogo, sia esso sperduto o no) e ci siamo dirette al Saishoin Temple.

Breve momento culturale.
Il tempio è stato costruito per guardare dall’alto (e sorvegliare) il castello di Hirosaki, che si trova a poco più di un chilometro di distanza. La Pagoda a cinque piani è stata designata come bene culturale importante a livello nazionale.
Fine momento culturale.

Saishoin Temple e l’immancabile torii

E’ stata la mia prima esperienza in assoluto in un tempio buddista, non parlo da spirituale mistica, ma vi posso assicurare che entrare e sentirsi avvolti da un’aura particolare ed essere un tutt’uno con il posto, è stato un attimo. Forse perché il tempio non era affollato, era silenzioso, con una leggera brezza e il sole che alimentava i colori.

Nei limiti della mia conoscenza ho cercato di essere rispettosa delle loro usanze, di cosa si doveva fare. Ho scoperto quindi che la fontana con il “mestolo” ha un suo scopo ben preciso, prima di entrare devi purificarti e sciacquarti le mani e la bocca. Ammetto che con la bocca non l’ho fatta, ma a onor del vero non ho visto nessuno farlo mai, neppure degli abitanti del luogo, in nessun santuario o tempio.

La foto sopra, la amo particolarmente, la fontana purificatrice con petali di ciliegio che pigramente galleggiano. Un vero peccato che non possiate sentire il suono dell’acqua che lentamente scorre.
Quella sotto, invece, è una fontana con una struttura più facile da trovare nei templi.

Per entrare nel tempio vero e proprio, altra usanza è togliersi le scarpe, lasciarle all’ingresso e rimettersele quando esci.

Intorno al tempio si trovavano piante, fiori, “richieste” e “desideri” appesi (Ema), statue di Buddha e di animali. In questo tempio ho trovato dei fiori bellissimi, che non sfiguravano per nulla nel periodo dei ciliegi.

Le statue spesso hanno dei bavaglini rossi al collo. Da quel poco che so, alcune solo legate a protezione dei bambini (anche quelli mai nati, e in questo caso sono chiamati i bavaglini di Jizo, dove Jizo raffigura il nostro occidentale Virgilio, Jizo accompagna le anime dei bambini mai nati), altre legate alla fecondità, altre alla protezione dei viaggiatori, altre ancora sempre alla fecondità ma della terra, questo a seconda del tempio o santuario e di cosa raffigura la statua.

Quel giorno ho scoperto anche l’usanza del goshuin, quindi nel mio primo tempio l’ho comprato e ho iniziato questa bellissima pratica.

Il mio goshuin con esposti alcuni dei shuin fatti

Momento culturale serio:
Il Goshuin (letteralmente sigillo rosso) raccoglie gli shuin, cioè i timbri rossi che contraddistinguono il tempio o il santuario, e una scritta fatta a mano con il pennello dai monaci. In alcuni templi ho visto anche calligrafi non monaci farlo.

Nel goshuin il monaco (o chi per lui), con i pennelli di vario spessore traccia il nome del tempio, la data della visita e altre scritte che riguardano il dio del tempio o di buon augurio.

Il mio goshuin, a parte il nome del tempio (perché lo abbiamo segnato) è un mistero per me, ma lo considero una raccolta di benedizioni o di buon augurio, magari qualche augurio si avvera (chissà prima o poi riuscirò a leggerli).
Fine momento culturale serio.

Momento profano
Il fatto poi che avessi trovato un goshuin con i coniglietti bianchi è stato motivo di immediata scelta per me. Chi ha visto il cdrama “The Untamed”, o ha visto il donghua “Il Gran Maestro Della Scuola Demoniaca”, oppure ha letto il libro “Mo Dao Zu Shi”, saprà il perché della mia scelta, che da buona fujoshi, ho considerato un segno del destino.
Per chi non ha visto nessuno dei tre, è difficile spiegare in poche righe, quindi consideratemi solo una donna con l’adolescenza tardiva.
Fine momento profano.

Terminata la visita al tempio Saishoin, siamo andate alla ricerca di un tempio a circa un chilometro di distanza. Lo abbiamo trovato, ma stavano officiando un funerale, il tempio era davvero piccolo e abbiamo deciso di andarcene.

Camminare sotto il caldo e il sole ci ha fatto venire voglia di una birra fresca (ve l’ho detto che la birra giapponese è la morte mia vero?), ma eravamo “sperdute” in un luogo dove vi erano solo abitazioni, e non trovavamo nulla fino a quando, compare alla nostra destra un piccolo bar (non so se in Giappone lo chiamano così, o hanno un altro nome) molto particolare. L’interno moderno, ben curato, e con una varietà infinità di sidro (abbiamo poi scoperto che Hirosaki è famosa e ha una grande produzione di mele. Fanno di tutto con loro, dalle torte, ai succhi di frutta, alle mele essiccate, al sidro, ad altro che non ricordo).

Il locale era vuoto, si capiva che era un locale che si animava la sera. Madre e figlio lo gestivano. La signora molto gentile si è avvicinata e ci ha portato davanti a degli scaffali pieni di bottiglie facendoci capire le varietà di sidro. Io e Paola parlavamo in italiano tra di noi chiedendoci “Lo vuoi secco? O dolce? Meglio questo o quello?”, quando ci siano accorte che il ragazzo con il cellulare in mano, volto in linea orizzontale verso noi, ci stava ascoltando.
In pratica non riusciva a capire da dove venissimo, ed era curioso di saperlo, così aveva aperto “google traslate microfono” per capire che lingua parlavamo. Lo abbiamo aiutato dicendolo noi “itariahitodesu”. Ve lo già detto vero? Vi ho detto che i Giapponesi amano gli italiani? (o almeno tutti quelli che abbiamo incontrato noi).

Alla fine ci hanno stappato una bottiglia di sidro di produzione locale, che vi giuro, mai bevuto un sidro così buono, mai!

Lo so potreste pensare a una vacanza alcolizzata tra birra e sidro, e un pochetto avreste ragione.

Abbandonati madre e ragazzo, siamo ritornate in “centro” Hirosaki. Abbiamo deciso di pranzare lì, prima di prendere il bus che ci avrebbe portato all’aeroporto di Aomori, che a sua volta ci avrebbe riportato a Osaka.

A pranzo ho mangiato per la prima volta il famoso natto giapponese, e nonostante quello che dicono sull’aspetto e odore, io l’ho trovato buonissimo, tanto che poi è stata anche la mia colazione per alcune mattine.

Il mio primo natto (con tofu fritto) giapponese e ops…
…stranamente una birra Kirin giapponese accanto

Terminato il pranzo, abbiamo recuperato le valigie in albergo e con il bus siamo ripartite verso l’aroporto di Aomori, durante il tragitto (sia all’andata sia al ritorno) le strade erano piene di queste macchine “cartone animato”. Io le chiamo così, perché così squadrate mi sembrano quelle disegnate dai bambini. Ve ne sono tantissime.

Hirosaki mi ha rubato cellule del miocardio.
Hirosaki, per me, sarà sempre Yoko e le sue amiche, il sidro, le persone che gestivano il locale, l’hanami, il festival della cittadina con le sue persone “normali”, e chiaramente, le sue mele.

PS: la foto che ho messo come copertina sono le “Ema Giapponesi”. Piccole tavolette di legno nelle quali i fedeli scrivono desideri e/o preghiere. Vengono poi appese all’interno della zona del santuario, così che i Kami, le divinità Shintoiste, possano leggerli ed aiutare le persone.