TOKYO: Arrivare a Akihabara senza finire a Sapporo.


Tokyo l’arrivo – giorno 1.

Willy è un mio amico che “sopporto” da più di vent’anni, è già questo dice parecchio. Viviamo a centinaia di chilometri di distanza, ma l’amicizia nel tempo è sopravvissuta anche alla distanza. Quando ha saputo che andavo in Giappone mi ha chiesto se poteva aggregarsi. Credo che viaggiare in compagnia sia, di solito, meglio che da farlo da soli. Si condividono momenti, quindi ho accettato con piacere.

Inoltre… Willy se mi leggi, ti ricordo che poiché ti sopporto da lunga data, per ricompensarmi, puoi sempre farlo comprandomi una casetta in Giappone!
(Sono mesi che lo tartasso con questa richiesta, lui nicchia, ma si sa la goccia scava la roccia).

A Roma abbiamo ingannato l’attesa del volo per Tokyo con un rilassante per il sonno: il luppolo. Così avremmo dormito meglio durante il volo. Questa era la teoria. In pratica sono stata sveglia come un gufo di notte.

Sono giunta in Giappone verso il mezzogiorno. Questa volta atterravo a Tokyo, mentre lo scorso anno ero partita e arrivata da Osaka. In aeroporto ci aspettava Rodi.1

Rodi è un ragazzo italiano che vive a Tokyo da diciotto anni, è stato il mio aggancio con la città il primo giorno. Questo viaggio lo avevo programmato in solitaria, avendo un solo terrore: “Usare la metro e i mezzi di Tokyo” senza perdermi e trovarmi da Tokyo a Sapporo.
Per questo, tramite un gruppo di chi si organizza da solo il proprio viaggio in Giappone, avevo conosciuto lui. Il suo compito principale era: “Insegnami a usare i mezzi e la metro di Tokyo”. Tutti mi dicevano: “Vedrai, è facile”, ma la metro di Tokyo un po’ mi spaventava.

Contattarlo è stata la scelta giusta. Carinamente, è venuto in aeroporto a prenderci, ci ha accompagnato subito al cambio dei contanti da euro in yen, ci ha aiutato con l’acquisto della Suica, tutto ciò in meno di 15 minuti. Lui parla giapponese, io no e avrei fatto la turista confusa davanti agli sportelli, impiegandoci il doppio del tempo (se non il triplo). Infine ci ha accompagnati all’albergo, dove abbiamo depositato le valigie e abbiamo iniziato un primo piccolo giro per apprendimento della metro “tokyese”.

Con Rodi ho avuto la strana sensazione di conoscerlo da sempre, e non lo dico per fare scena, con lui è stato così dalla prima telefonata in cui ci siamo sentiti mesi e mesi fa.
Rodi mi ha parlato anche della sua vita e del perché si trova in Giappone. Ho visto le foto della sua bimba, Nana. Insomma, ho iniziato a conoscere Tokyo attraverso una persona che la vive davvero.

Il primo quartiere che ho visto, escluso quello dell’albergo, è stato Akihabara. Avevo una missione: cercare due manga praticamente introvabili per un’amica. Neppure l’Animate di Akihabara ha compiuto il miracolo.

Momento cultura
Akihabara è chiamata anche Akihabara Electric Town. Questo quartiere è famoso in tutto il mondo, pare essere la più vasta area di vendita (per la sua concentrazione) di negozi di apparecchi elettronici, videogiochi, manga, anime e articoli per adulti.
Fine momento cultura

Ora che ne scrivo mi sono resa conto che non ho visto nessun negozio per adulti…
Mi toccherà tornarci.

Avevamo solo mezza giornata a disposizione e dopo aver assaggiato un dolce che ho visto millanta volte nei drama giapponesi e coreani, il tayaki, ci siamo diretti all’albergo, che era nel quartiere di Asakusa.

Momento cultura
Taiyaki vuol dire “orata al forno” è un dolce giapponese a forma di pesce. Il ripieno, solitamente, è composto dalla pasta di fagioli di azuki zuccherati. Ma, come si suol dire, quello che metti trovi. Quindi si possono trovare ripieni di crema, cioccolato, formaggio e così via. Il taiyaki nasce a Tokyo nel 1909. Lo si può trovare anche in Corea del Sud con il nome di Bungeo-ppang. Venne importato dal Giappone durante il periodo dell’occupazione giapponese.
Fine momento cultura

Tokyo quella sera ha deciso di farmi un regalo. Dalla finestra della mia camera vedevo la Skytree illuminarsi e cambiare colori come se stesse respirando. Questo mi ha reso sopportabile la microscopicità della camera. Le catene di alberghi giapponesi, a Tokyo, tendono al lillipuziano. In compenso sono pulite, accessoriate, vicine alle stazioni della metro e con personale gentile.

Il giorno seguente avrei iniziato a visitare un’altra parte di Tokyo.

  1. Se volete andare in Giappone, e anche voi vorreste un primo aggancio per Tokyo, cliccate qui sul suo nome RODI, vi porterà direttamente alla sua pagina di facebook, se voleste contattarlo su messenger. ↩︎

Infine solo per ricordare che non dimentico, e anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

KYOTO (The last day – Inari e Il gran maestro della scuola demoniaca )


Il quarto giorno a Kyoto sarebbe stato anche l’ultimo. La mattina dopo saremmo partite.
Ci siamo alzate presto, avevamo lasciato come ultimo luogo da vedere l’Inari.

Ci siamo dirette alla metro, qui c’era un bambino di circa otto anni disperato (intendo proprio disperato disperato) che frugava nel suo zainetto con i lucciconi agli occhi, agitatissimo. Mi sono bloccata, so che in Giappone la sicurezza è tale che anche i bambini possono andare in giro da soli, e che nella loro cultura si educano subito all’indipendenza, ma a me i lucciconi (di quel tipo, non quello dei capricci) di un bambino smuovono un istinto che di solito non ho, quello materno.

Ho capito che non trovava l’abbonamento, o i soldi per il biglietto, per andare a scuola. Agitatissimo, con il cellulare, deve aver chiamato a casa, ma la risposta non lo ha calmato, anzi, chiuso il telefono, ha svuotato del tutto lo zainetto per terra. Ha trovato delle monete, ha fatto il biglietto ed è corso via. Sono a quel punto sono riuscita ad andarmene.

Non so il motivo per cui ho ancor in mente quel bambino, il suo affrontare da solo le difficoltà e gli imprevisti della vita, in una metro (metro nella quale io, da adulta, non sono ancora capace di muovermi, per dire), così piccolo, così solo in mezzo a centinaia di persone me l’ha inciso nel cuore.

I treni, nell’orario in cui li abbiamo presi quella mattina, sono pieni di uomini e donne che vanno al lavoro e di ragazzi e ragazze con le loro divise scolastiche (quelle classiche da manga per capirci). Continuo a ripeterlo lo so, ma la sensazione di meraviglia è sempre stata quella, sembrava di essere in un manga o in un dorama.

Infine siamo giunte Santuario di Fushimi Inari-taisha. Per gli amici Inari.

Momento cultura. Inizio.
Il Fushimi Inari-taisha è il santuario principale dedicato al Kami Inari (Kami della fertilità, del riso, dell’agricoltura, delle volpi, dell’industria e del successo terreno). Il percorso inizia alla base di una montagna che porta lo stesso nome Inari (loro la chiamano montagna, ma è alta poco più di 230 metri). Bisogna attraversare 1000 torii per arrivare alla sua sommità.

Nel percorso si trovano molte statue che raffigurano delle volpi; sono considerate le messaggere divine del Kami Inari. Secondo la mitologia, alle volpi piace mangiare il tofu fritto (devo essere un po’ volpe dentro).

I torii sono portali, sono a migliaia in Giappone, sono simboli dello shintoismo, una religione molto legata alla natura. La loro presenza avvisa di un ingresso a un santuario o a un luogo sacro. Evidenzia il luogo che separa il regno degli umani dal regno dei Kami. Attraversandolo fai il primo atto/rito di purificazione per entrare nel luogo sacro.

L’origine dei torii è antica. La leggenda racconta che Amaterasu (Kami del sole) per sfuggire a suo fratello Susanoo (Kami delle tempeste), si rinchiuse all’interno di una caverna. Essendo la dea del sole, il suo nascondersi in una caverna, causò un’eclissi.

Gli altri Kami, preoccupati di non vedere mai più la luce del sole, posero davanti alla caverna in cui si era rinchiusa, dei trespoli giganteschi, in modo che degli uccelli dalla lunga coda cantassero per la dea.

Amaterasu incuriosita dal canto degli uccelli apri un varco per vedere. A quel punto un Kami si lancio all’interno della caverna, e lo aprì del tutto. Da quel momento il sole ritornò a splendere sul mondo.

I torii sono quei giganteschi trespoli. Discendenti dai primi trespoli posto dai Kami, dove si appoggiarono gli uccelli, che cantando attirarono Amaterasu.
Momento cultura. Fine

Potevano mancare i miei animaletti? (intendo quelli a destra, sia ben chiaro)

Nonostante la levataccia mattutina, l’Inari era già affollato, siamo riuscite a fare delle foto senza la folla, grazie alla pazienza di aspettare, nel punto che ci piaceva, che non passasse nessuno. Scese dalla montagna, comunque, la golden week colpiva ancora.
Prego la regia di mandare diapositiva della strada che porta al tempio.

Abbiamo fatto ancora qualche giro per templi e poi ci siamo ritornate a Kyoto città, e li ho conosciuto il male: Yodobashi.

Yodobashi non so descriverlo se non come il male, è nato come grande negozio di elettronica, man mano ha aperto delle filiali, e negli anni si è trasformato praticamente in un centro commerciale su più piani (quello di Kyoto) dove trovi di tutto, elettronica, cancelleria, libri, ristoranti, vestiti e cose assolutamente inutili che devi assolutamente comprare. Quindi un luogo dove compreresti di tutto, specialmente quello che non ti serve.

Anche il male, però, ha il suo lato buono, da Yodobashi all’ultimo piano nel settore libreria e manga, abbiamo trovato due cose interessanti.
La prima: una vera macchina italiana per fare il caffè espresso, dove fanno il caffè espresso vero, ed è pure buono!
La seconda: scaffali di manga bl, dove Paola ha avuto lo stesso momento di commozione che io ho avuto al Ponte Togetsukyo. Chiaramente ha fatto acquisti.

Io invece sono entrata in crisi mistica davanti alla foto qua sotto: Manga scritto in cinese, volume uno e due, doveva uscire ancora il terzo. Quest’ultima cosa mi ha impedito di comprarli perché pensavo: “Ma poi non riesco più a prendere il terzo, perché ritorno in Italia”. Classico esempio di quando ragioni male! Avrei dovuto pensare: “Il terzo? Devo ritornare, assolutamente qui in Giappone, quando esce, per compralo”.

Mo Dao Zu Shi (Il gran maestro della scuola demoniaca)
formato manga (in questo caso in cinese), tratto dal romanzo di Mo Xiang Tong Xiu

Il nostro ultimo giorno a Kyoto terminava così. Il giorno dopo saremmo partite per una nuova destinazione, con fermata programmata a metà di qualche ora, ma questo è un altro post.