OSAKA – Ultima notte in Giappone


Il viaggio per Osaka sarebbe stato lungo, avremmo preso più mezzi, e l’idea che eravamo agli sgoccioli della vacanza non aiutava il morale. La piccola stazione nel verde nulla di Atashika ci aspettava con il suo romanticismo made in Japan.

Il Giappone, però, aveva in serbo ancora dei regali per me, per esempio farmi sbirciare “nella sua vita quotidiana”.

Osaka ci ha accolto nel tardo pomeriggio, avevamo qualche ora a disposizione, e oltre a non riuscire più quasi a uscire dalla stazione metro di Osaka (l’uscita di Umeda), abbiamo visitato alcune librerie. Siamo poi andate a mangiare in un locale dove c’era Licia, Marrabbio vestito di nero e la nonnina di “Kiss me Licia”! (non sto scherzando, prego la regia di mandare diapositiva di conferma)

Stranamente vedete un bicchiere d’acqua e non la birra, ma non vi preoccupate, l’acqua loro la portano sempre free al tavolo, chiaramente ho ordinato il mio solito mezzo litro di birra giapponese. Prego la regia di mandare diapositiva, quale prova documentale.

La nonnina che citavo sopra, quando stavamo per uscire dal locale ci ha salutato con un “Ciao”. Alla nostra sorpresa ci ha fatto sapere che lei ama molto l’Italia (l’ha fatto sorridendo e citando: “Pasta, pizza, Venezia, Roma, Milano). Anni prima era stata in Italia, e le sarebbe piaciuto tornare.

Dopo cena abbiamo deciso di fare un ultimo giro della città. Molti dicono che a Osaka non c’è nulla o quasi, che meglio andar in altre città, io lo ribadisco, Osaka a me è piaciuta.
Ho amato i quartieri che ho visto: Nipponaschi, Umeda e Namba, così diversi tra di loro e ognuno con una sua bellezza.

Ho amato le sue centinaia di biciclette, ovunque, specialmente la sera.

Ho amato quella “puzza” di fritto che aleggia nell’aria a una certa ora, che tornavi in albergo neppure fossi stata in una delle peggiori pizzerie di Caracas…. ops… italiane. Quelle che ancora non hanno gli aspiratori, quelle in cui torni a casa e devi farti due docce per toglierti l’odore di fritto dal corpo e buttare i vestiti, ormai inutilizzabili.

Ho amato le luci, i suoi colori e i suoi kawaii.

Ho amato la sua sera piena di vita e di fermento. Osaka è una città giovane e si “sente”, si percepisce, in ogni cosa che incroci, e trovare anche qui (come a Shirahama il tavernello) un pezzettino di Italia con Intimissimi, la fa sentire più vicina.

Forse anche il pensiero che quella sarebbe stata la nostra ultima notte in Giappone (per il momento) me l’ha fatta amare anche di più. Il giorno dopo saremmo ripartite per l’Italia. Ma questo è un altro post.

OSAKA BY NIGHT (tra odore di fritto e neko)


Ho preso quattro aerei in due giorni, di cui uno intercontinentale, uno da uno stato all’altro e due voli interni, per ritrovarmi verso sera ancora a Osaka.

Avevamo appuntamento per cena con due amici di Paola, anche loro in transito a Osaka, nel loro viaggio in Giappone, ma prima, avendo un’amica otaku fino al midollo ed essendo l’ultimo giorno della Given exhibition a Osaka, vuoi che lei non sia andata di corsa (stava per chiudere) a vederla?

Io sinceramente no, io anelavo alla doccia della camera d’albergo, così ci siamo separate, ci saremmo ritrovate dopo per andare a cena con i suoi amici.

Paola è andata alla Given exhibition, ma mancando meno di dieci minuti alla chiusura, non volevano farla entrare. Questo fino a quando, visti i lucciconi (e suppongo la sua insistenza), non si sono mossi a pietà e l’hanno fatta entrare (con il suo massimo godimento, anche se ha dovuto vederla un po’ di corsa) e di cui abbiamo prova, grazie alla regia che ci manda diapositiva.

Given exhibition presso Animate Osakanipponbashi

Nel frattempo io ero nel bagno dell’albergo che litigavo con la doccia, non capendo come funzionava… finendo per fare il bagno, al suo posto, per disperazione (il giorno dopo ci siamo fatte dire come funzionava, e quindi mi sono sentita molto baka*, dopo la spiegazione da parte degli addetti).

In qualche modo siano arrivate all’appuntamento stabilito, sotto il Glico a Namba. Fino a quel momento io non sapevo che cosa fosse il Glico, e cosa rappresentava.
Il “Glico man” è un’insegna luminosa rappresentante un corridore con le braccia alzate che torreggia a Dotonbori, l’aerea commerciale di Namba, è divenuto il simbolo stesso della città.

In questo caso la foto non è mia, non sono riuscita a scattarla per la marea di gente, era per farvi vedere di cosa stavo parlando.

Osaka è una città molto viva e giovane, leggevo che a molti non era piaciuta, non “diceva molto”, io invece l’ho amata (lo so, mi direte ma tu cosa non hai amato del Giappone?!).
Ho amato la sua confusione ma con lo spazio vitale, ho amato tutte le sue luci, ho amato la popolazione così giovane e viva, ho amato tutte le sue biciclette, quei fili della corrente aggrovigliati e la puzza di fritto che aleggia la sera a Dotonbori, quella che t’impregna i vestiti anche se sei all’aria aperta.
L’ho amata. Punto.

Dotonbori – il “naviglio” di Osaka

Abbiamo passeggiato alla ricerca di un posto dove cenare, praticamente ogni metro c’è un locale dove mangiare. Mentre scegli sei circondato dagli odori del cibo e dalle luci colorate, insomma un luna park “mangiogodereccio”.

Dopo cena ci siamo incamminate verso l’albergo, incrociando anche un neko* che, da una via laterale accanto a un tempietto, osservala la città e le persone, facendosi coccolare da quest’ultime (chiaramente l’ho coccolato anche io).

Io amo i gatti (ne ho cinque), amo gli animali in genere, e ho notato che, diversamente da noi, il micio in piena città con la folla, non aveva paura degli umani.

La seconda serata a Osaka, ma effettivamente la prima, si concludeva così, con il cominciare a rendermi conto effettivamente, che sì, ero davvero in Giappone e non stavo sognando.

Il giorno dopo ci aspettava Nara, i suoi cervi e i suoi templi, ma quello è un altro post.

*baka = stupido, idiota
*neko = gatto

OSAKA (toccata e fuga verso Hirosaki)


Il primo giorno in Giappone è stato a Osaka, ma è stata una toccata e fuga, atterrate la sera prima, la mattina presto siamo ripartite subito.

Abbiamo preso il metro/treno locale che da Namba ci avrebbe portato all’aeroporto di Itami, da lì saremmo ripartite per arrivare all’aeroporto di Aomori con un volo interno, per andare a Hirosaki.

Prendere quel treno è stato come catapultarsi in un dorama: uomini in completo nero, giacca, cravatta e tracolla che andavano in ufficio; ragazzi e ragazze con le uniformi delle rispettive scuole, che si recavano a scuola. Il silenzio che avvolgeva tutto.

A Itami, nell’attesa della partenza sono riuscita a far colazione con il mio primo avocado tost, sono riuscita a prendere il pocket wifi, perché la scheda sim, acquistata mesi prima on line, ha avuto problemi di comunicazione con il mio cellulare.
Poi siamo volate verso il nord del Giappone.

Non ho foto di quella sera e mattina, a parte quello del panino che ho postato ieri. Era la mia prima volta in Giappone ed ero ancora avvolta nell’incredulità di essere lì. Per questo la foto che metto con questo post non è mia. In compenso, arrivate a destinazione a Hirosaki, da lì in poi, di foto ne ho fatte fin troppe.

Questo post, è brevissimo, è il preludio ai giorni in cui, io e Paola, zaino in spalla, abbiamo visitato una piccola parte del Giappone.