KUMANO KODO – ATASHIKA (quando il vuoto ti riempie)


Atashika fa parte del comune di Kumano e del Parco Nazionale Yoshino Kumano. E’ un puntino di poche case, con una piccola stazione, posta davanti all’oceano pacifico.
Non so come scriverlo per farvi capire quanto io abbia amato questo luogo.

Atashika è “vuota” non ha nulla, se passeggi, ti trovi circondato da silenzio e “vuoto”. Questo è il tipo di vuoto che a me riempie di sensazioni, di pace, mi sazia e mi da un senso sconfinato di appartenenza a un luogo.

E’ stato il nostro punto di appoggio, ma non solo, per visitare alcune zone lì intorno.
Il primo giorno avevamo deciso di vedere gli scogli di Onigajo e il Santuario di Hananoiwaya-jinja, una giornata piena di sole ci ha accompagnato in questi giri.

Gli scogli di Onigajo sono un’opera d’arte creata naturalmente dalla natura attraverso l’erosione del vento e dell’acqua. La scogliera è lunga circa un chilometro lungo il mare di Kumanonada, ed è considerato monumento nazionale.

Dopo aver visitato gli scogli per un breve tratto, abbiamo deciso di proseguire nel nostro programma e andare a vedere il Santuario. Qui sono sorti dei problemi, da cui però è nata una bellissima situazione.

Non riuscivamo a trovare la fermata del bus che ci avrebbe portato qualche chilometro più avanti, e non potevano percorrere la strada a piedi, perché per arrivare dovevamo attraversare un lungo tunnel dove passavano solo le auto. Andavamo un po’ avanti e un po’ indietro cercando di capire come arrivare dall’altra parte, o dove trovare la fermata del bus ma nulla.

Quando una signora giapponese, ci parla in inglese e ci indica un punto, anzi ci conduce proprio. Con lei c’è un ragazzo occidentale che la seguiva. La signora ci porta a una fermata del bus, però quel bus andava esattamente nella direzione contraria a quella che dovevamo prendere noi. Non c’erano fermate del bus, lì, per la direzione che volevamo prendere, potevamo solo a piedi. Cosa impossibile, attraversare il lungo tunnel trafficato dalle auto, troppo pericoloso.

Vi ho già detto che amo i giapponesi?

La signora, che poi scopriremo si chiama Matsu, insieme al ragazzo, che poi scopriremo chiamarsi Erez e venire dalla Scozia, ci ha accompagnato insieme al suo cane per stradine che mai avremmo trovato da sole, per oltre un chilometro. Nel frattempo la sua famiglia la cercava al telefono, e lei si è fatta raggiungere. Ci ha presentato il marito e i figli e ci ha indicato la strada da fare dicendoci: “Go, go, go” per andare al santuario.

Ci siamo lasciati, scambiandoci l’email per inviarci la foto di cui sopra, e abbiamo iniziato ad andare “Go, go, go” per arrivare al Santuario.

Prima di arrivare al Santuario, lungo la spiaggia (la strada costeggiava il mare) incappiamo in una sorpresa. Sapevamo che quel giorno era la festa dei bambini in Giappone, ma non avremmo mai immaginato di trovarci dentro al loro, bellissimo, festeggiamento.
Ci siamo fermate e abbiamo camminato, lungo la spiaggia, sotto quei bellissimi aquiloni a forma di pesce (simbolo della festa dei bambini), insieme alle famiglie e ai bambini presenti.

E’ stato davvero particolare, anche perché imprevisto, talmente bello che abbiamo chiamato, via whapp un paio di nostri amici, per fargli vedere, tramite la video chiamata, quello spettacolo.

Infine abbiamo ripreso la strada che ci avrebbe condotto al Santuario Hananoiwaya-jinja. Il Santuario è dedicato a una roccia imponente, alta 45 metri e larga 80. E’ uno dei santuari più antichi del Giappone.

Nei Santuari (che sono shintoisti, mentre i templi sono buddisti)* troverete sempre delle carte a forma di zigzag appese nei templi, sugli alberi, nelle rocce o altro. Si chiamano “shinto” e rappresentano “la bacchetta del fulmine”, uno strumento che è utilizzato nei riti di purificazione e benedizione.

Ormai la giornata era alla fine e siamo ritornate a piedi (non avete idea dei chilometri fatti quel giorno) alla stazione di Kumano-shi. Non avendo pranzato, ci siamo fermate a cenare, nonostante fosse presto (ma non presto per gli orari giapponesi); nel mentre ci arriva una email di Matsu che ci invita a casa sua a un barbecue.
Purtroppo stavamo già mangiando ma abbiamo usato l’occasione per invitarla a venire con noi, la mattina dopo, alle risaie Maruyama Senmaida.

Così è stato, abbiamo concordato un appuntamento alla stazione di Kumano-shi per la mattina dopo, per andare insieme alle risaie.

Ma questo è un altro post.

Santuari e Templi* = I santuari sono legati alla tradizione shintoista e hanno una porta torii all’ingresso. I templi invece sono legati alla religione tradizionale buddista e all’ingresso hanno una porta sanmon. Spesso in Giappone vedrete una combinazione dei due, perché le persone hanno “mescolato” le due tradizioni.

SHINGU – Verso Atashika (Wanted e Tsunami)


La mattina, a Shingu, ci siamo alzate presto con l’idea di visitare un santuario in città, prima di partire per Atashika. Abbiamo salutato il “nostro” monaco Sasaki, il quale è stato carinissimo, oltre a un selfie ricordo con lui, ci ha regalato il goshuin del suo tempio.

Il santuario da visitare, aveva 538 o 548 (non ricordo bene) scalini da salire per arrivare alla sommità della montagna, ed io non ero molto convinta (visto il poco tempo), poi abbiamo letto “attenzione vipere”, ma soprattutto abbiamo visto che tipologia di gradini erano (ovvero sassi, assemblati insieme, di diverse altezze e grandezze). Abbiamo cambiato programma, ci avremmo messo troppo tempo.

Ci toccherà tornare in Giappone per vederlo con calma (Vedete? Tutto ci riporta in Giappone).

Ci siamo avviate quindi a un altro santuario, il Kumano Hayatama Taisha, e questa volta qualche foto l’ho fatta, forse complice il suo colore e l’azzurro del cielo.

Ho fatto anche le mie solite foto a statuette e scorci di città vuota, che tanto amo.

Prima di prendere il treno, ci siamo concesse una seconda colazione fronte stazione, dove in un bar minuscolo, una signora gentilissima ci ha servito. Un bar di due metri per due, arredato come fosse una casa, con dei manga a disposizione per la lettura.

Davanti alla stazione, poco prima di partire ci aspettava una sorpresa, i ferrovieri con un ospite speciale. Ve l’ho già detto che amo i giapponesi?

Infine abbiamo preso il treno per Atashika e siamo giunte nel nostro appartamentino fronte oceano. Il ragazzo che lo gestiva è stato gentilissimo, socievole, parlava bene inglese. Ci ha dato delle dritte per i luoghi, dove mangiare, ci ha fatto trovare il frigo con la colazione pronta, succo di mandarini, mandarini, pane (quello vero!), formaggio e uova. Quando ha saputo che ero vegana, a me ha portato la marmellata di mandarini fatta da loro. Abbiamo così scoperto che in loco doveva esserci una zona di produzione di mandarini!

Dicono spesso che i giapponesi siano distanti, freddi, chiusi, che tengono a distanza. La mia esperienza è stata diversa. Tutti quelli che ho incontrato sono stati generosi, gentili, disponibili e accoglienti. Forse sono stata fortunata, o forse no, forse è usare un “trucco”.
Il “trucco” è: essere rispettosi delle loro leggi, delle loro usanze, dei loro luoghi e della loro persona, e loro aprono il cuore come un girasole al sole.

Atashika è davvero un puntino sulla costa dell’oceano pacifico. Non c’è nulla, a parte qualche abitazione, l’oceano e alcuni cartelli “inquietanti” che parlano di ricercati o di tsunami.

Quel puntino però, quel nulla, mi risuona dentro e l’ho amato.
Ma questo è un altro post.

SHIRAHAMA (Oceano pacifico e onsen)


Abbiamo salutato Kyoto con questo azzurro, la nostra meta finale era Shingu, ma avremmo fatto tappa a Shirahama, sull’oceano pacifico, e questo azzurro era l’ideale per quello che avevamo in mente.

Kyoto Tower

Arrivate a Shirahama stazione, abbiamo preso un bus che ci avrebbe portato qualche chilometro più avanti, dove ci aspettava un onsen a cielo aperto fronte oceano.
Non ho foto dell’onsen e/o all’interno perché (chiaramente) è vietato scattare foto, essendo tutti nudi come mamma ci fece. Noi siamo andate a un onsen pubblico, quindi con separazione uomini-donne. In particolare questo onsen era frequentato solo dagli abitanti del luogo (i posti migliori) e costava pochissimo, 500¥ che al cambio diventavano 3€.

Saki-no-Yu Onsen

Questo era il primo ingresso, si scendeva ancora una ventina di metri e ti trovavi fronte oceano, al vero ingresso dell’onsen.

L’onsen è una sorgente termale naturale d’acqua geotermale calda della terra (il lato positivo dei vulcani).  L’acqua degli onsen giapponesi è considerata tra le più curative al mondo.  Cosa fa? Tra le tante cose, migliora la circolazione sanguigna, abbassa lo stress, aiuta nei dolori articolari e fa diventare la pelle più sana e bella.

C’è un’etichetta per entrare negli onsen: lavarsi prima di entrare e una volta entrati essere rispettosi degli altri, quindi non parlare a voce alta, non nuotare, non fare spruzzi e tenere i capelli legati lunghi in modo che non entrino nell’acqua.

In alcuni onsen è vietato entrare con i tatuaggi. Io e Paola siamo portatrici sane di tatuaggi, prima di entrare abbiamo chiesto se potevamo farlo; in questo era possibile (ormai moltissimi permettono i tatuaggi).

Consigliano di non restare in acqua troppo a lungo (io non sarei mai uscita), perché immersioni prolungate possono disidratare (pare assurdo poiché si è in acqua). Le donne locali, di tutte le età dai pochi anni agli ottanta, infatti, rimanevano 10/15 minuti, e poi uscivano. Inoltre sarebbe meglio non lavarsi una volta terminato, così che i minerali contenuti nell’acqua termale continuino a lavorare sulla pelle.

Uscite dall’onsen abbiamo fatto un giretto lì intorno, anche alla ricerca di un kombini. Non avete idea di quanto io ami questi paesini, dove il decadente e il lussuoso, coabitano senza problemi a distanza di pochi metri.

Come la chiamano loro Wabi Sabi? La bellezza dell’imperfezione e della transitorietà.
Forse vi parrò strana, ma io trovo una poesia struggente in questo, forse complice anche un carattere con una vena varicosa di malinconia, fin dalla nascita.

Non solo, a volte trovi il kitsch, che ti domandi perché e trovi tombini che vorresti portarti a casa.

Alla fine siamo riuscite a trovare un 7-eleven dove comprarci la cena (saremmo arrivate tardi a Shingu, nel nostro hotel tempio) e la merenda. L’onsen ci aveva messo una fame incredibile. E lì ho trovato un pezzo di Italia, che mai avrei pensato di trovare in un paesino della prefettura di Wakayama.

Con la cena e la merenda nel sacchetto siamo ritornate alla stazione per prendere il treno che ci avrebbe condotto a Shingu. Non so se lo sapete, ma in Giappone non puoi mangiare camminando. Puoi solo nelle aree attrezzate (se ci sono, e non sempre ci sono) dei kombini o dei locali che vendono cibo. Quindi eravamo in stazione con una fame tremenda e la non possibilità di mangiare. Abbiamo visto delle panchine imboscate e abbiamo chiesto al capostazione se potevamo mangiare lì. Lui gentilissimo ci ha dato il permesso, praticamente eravamo accanto alla zona fumatori (è vietato anche fumare all’aria aperta se non nelle apposite zone).
Ragazzi, nonostante il permesso, mi sembrava di commettere un atto altamente illegale!

Finita la merenda, avendo ancora molto tempo prima dell’arrivo del treno, abbiamo deciso di fare un giro della zona, e siamo piombate in un anime di Makoto Shinkai.

Magliette appese alla finestra ad asciugare,
è stato un attimo sentirsi dentro un anime di Makoto Shinkai

Passeggiavamo in questo paesino di campagna nel nulla, silenzioso e solo con noi che camminavamo, con immagini davvero da anime.

All’improvviso, tra magliette stese al vento ad asciugare, distese di campagna verde e arance che maturavano lungo la strada, è partita in lontananza, ma ben udibile, la campanella della scuola.
Se non siete otaku (grandi o piccole che sia), se non avete visto almeno un anime, non potete capire la commozione di sentire quell’inconfondibile suono, la campanella della scuola (uguale in tutto il Giappone), quella che segna l’inizio e la fine della scuola (quindi noi sapevamo che erano le cinque del pomeriggio).
E niente… piombate del tutto nel mondo di Makoto Shinkai e Hayao Miyazaki!

Dopo esserci riprese dall’intenso momento di commozione della campanella, siamo ritornate alla stazione, dove ci aspettava il treno.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Questa era la stazione e il treno che in tarda serata ci avrebbe portato a Shingu, ma questo è un’altro post.