SHINGU – Verso Atashika (Wanted e Tsunami)


La mattina, a Shingu, ci siamo alzate presto con l’idea di visitare un santuario in città, prima di partire per Atashika. Abbiamo salutato il “nostro” monaco Sasaki, il quale è stato carinissimo, oltre a un selfie ricordo con lui, ci ha regalato il goshuin del suo tempio.

Il santuario da visitare, aveva 538 o 548 (non ricordo bene) scalini da salire per arrivare alla sommità della montagna, ed io non ero molto convinta (visto il poco tempo), poi abbiamo letto “attenzione vipere”, ma soprattutto abbiamo visto che tipologia di gradini erano (ovvero sassi, assemblati insieme, di diverse altezze e grandezze). Abbiamo cambiato programma, ci avremmo messo troppo tempo.

Ci toccherà tornare in Giappone per vederlo con calma (Vedete? Tutto ci riporta in Giappone).

Ci siamo avviate quindi a un altro santuario, il Kumano Hayatama Taisha, e questa volta qualche foto l’ho fatta, forse complice il suo colore e l’azzurro del cielo.

Ho fatto anche le mie solite foto a statuette e scorci di città vuota, che tanto amo.

Prima di prendere il treno, ci siamo concesse una seconda colazione fronte stazione, dove in un bar minuscolo, una signora gentilissima ci ha servito. Un bar di due metri per due, arredato come fosse una casa, con dei manga a disposizione per la lettura.

Davanti alla stazione, poco prima di partire ci aspettava una sorpresa, i ferrovieri con un ospite speciale. Ve l’ho già detto che amo i giapponesi?

Infine abbiamo preso il treno per Atashika e siamo giunte nel nostro appartamentino fronte oceano. Il ragazzo che lo gestiva è stato gentilissimo, socievole, parlava bene inglese. Ci ha dato delle dritte per i luoghi, dove mangiare, ci ha fatto trovare il frigo con la colazione pronta, succo di mandarini, mandarini, pane (quello vero!), formaggio e uova. Quando ha saputo che ero vegana, a me ha portato la marmellata di mandarini fatta da loro. Abbiamo così scoperto che in loco doveva esserci una zona di produzione di mandarini!

Dicono spesso che i giapponesi siano distanti, freddi, chiusi, che tengono a distanza. La mia esperienza è stata diversa. Tutti quelli che ho incontrato sono stati generosi, gentili, disponibili e accoglienti. Forse sono stata fortunata, o forse no, forse è usare un “trucco”.
Il “trucco” è: essere rispettosi delle loro leggi, delle loro usanze, dei loro luoghi e della loro persona, e loro aprono il cuore come un girasole al sole.

Atashika è davvero un puntino sulla costa dell’oceano pacifico. Non c’è nulla, a parte qualche abitazione, l’oceano e alcuni cartelli “inquietanti” che parlano di ricercati o di tsunami.

Quel puntino però, quel nulla, mi risuona dentro e l’ho amato.
Ma questo è un altro post.

SHINGU (Quando tutto il Giappone ha sospettato che la nostra fosse, un pochetto, una vacanza alcolica)


Siamo arrivate a Shingu con il buio. Avevano preso alloggio per un paio di notti presso un tempio a circa un chilometro dalla stazione, quindi la nostra opzione dopo un’intensa giornata e con quel buio è stata di prendere un taxi.

I taxi giapponesi sono davvero particolari, hanno i centrini della nonna sulla parte alta dei sedili, sia posteriormente sia anteriormente. I tassisti guidano con i guanti bianchi e ti fanno entrare (e uscire) solo dal lato sinistro dell’auto. Quando paghi in contanti, ti mettono il piattino dove appoggiare i soldi (ma questo un po’ ovunque). Non ho foto mie dei taxi che ho preso, metto quindi una foto presa in rete, per farvi capire meglio quello che ho scritto.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Il tassista ci ha portato a destinazione (pensavamo) e aprendo il portabagagli ha preso i nostri zaini, nel farlo dallo zaino di Paola è caduta una bottiglia da circa un litro che aveva messo a lato. Vedendola a terra il tassista, ridendo, ha esclamato: “Makgeolli!!”.
Credo che anche lui abbia pensato che, un pochetto, la nostra era una vacanza alcolica.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Ora non sto neppure a spiegarvi nei dettagli, sappiate che una volta partito il tassista, stavamo per entrare in un altro tempio (dove ci aveva lasciato) e che abbiamo visto arrivare dall’altro lato della strada il nostro monaco in ciabatte dicendo: “No, no… come me!” agitando la mano, e portandoci dall’altra parte della strada a pochi metri. Stavamo entrando in un tempio diverso, dove dal numero di scarpe esposte, probabilmente c’era una funzione.

Il nostro monaco (Sasaki) ci ha accompagnato alla nostra stanza fronte tempio (suo), questa volta giusto. Ha cominciato a farci vedere come usare le cose e dove erano i futon.

Il mio primo futon, ho dormito benissimo

Sasaki, poi aprendo il frigo e indicando sulla cucina delle bottiglie enormi ci ha detto: “Drink”. Paola, a quel punto, chiede (il monaco un po’ di inglese lo parlava) come facciamo a pagare, i bottiglioni erano davvero grandi e non avremmo bevuto tutto. Lui ci guarda stupido e risponde: “Free”.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Detto ciò, però devo anche sottolineare che comincio a sospettare che, in Giappone, si sia sparsa la voce che forse la nostra vacanza, era un pochetto alcolica. Se guardate la foto qua sotto, due bottiglioni di sakè, uno di prugna e un’altro di qualcosa di non ben identificato sul ripiano della cucina e nel frigo birre, lo sospettereste anche voi.

Al monaco Sasaki è andata bene, perché noi ormai eravamo cadute nel gorgo del makgeolli, e a parte un paio di birre, non abbiamo toccato nulla, la sera eravamo dedite al vino di riso coreano.

Questo è stato il nostro arrivo a Shingu, il giorno dopo ci aspettava una cascata e un po’ di templi, ma questo è un altro post.

SHIRAHAMA (Oceano pacifico e onsen)


Abbiamo salutato Kyoto con questo azzurro, la nostra meta finale era Shingu, ma avremmo fatto tappa a Shirahama, sull’oceano pacifico, e questo azzurro era l’ideale per quello che avevamo in mente.

Kyoto Tower

Arrivate a Shirahama stazione, abbiamo preso un bus che ci avrebbe portato qualche chilometro più avanti, dove ci aspettava un onsen a cielo aperto fronte oceano.
Non ho foto dell’onsen e/o all’interno perché (chiaramente) è vietato scattare foto, essendo tutti nudi come mamma ci fece. Noi siamo andate a un onsen pubblico, quindi con separazione uomini-donne. In particolare questo onsen era frequentato solo dagli abitanti del luogo (i posti migliori) e costava pochissimo, 500¥ che al cambio diventavano 3€.

Saki-no-Yu Onsen

Questo era il primo ingresso, si scendeva ancora una ventina di metri e ti trovavi fronte oceano, al vero ingresso dell’onsen.

L’onsen è una sorgente termale naturale d’acqua geotermale calda della terra (il lato positivo dei vulcani).  L’acqua degli onsen giapponesi è considerata tra le più curative al mondo.  Cosa fa? Tra le tante cose, migliora la circolazione sanguigna, abbassa lo stress, aiuta nei dolori articolari e fa diventare la pelle più sana e bella.

C’è un’etichetta per entrare negli onsen: lavarsi prima di entrare e una volta entrati essere rispettosi degli altri, quindi non parlare a voce alta, non nuotare, non fare spruzzi e tenere i capelli legati lunghi in modo che non entrino nell’acqua.

In alcuni onsen è vietato entrare con i tatuaggi. Io e Paola siamo portatrici sane di tatuaggi, prima di entrare abbiamo chiesto se potevamo farlo; in questo era possibile (ormai moltissimi permettono i tatuaggi).

Consigliano di non restare in acqua troppo a lungo (io non sarei mai uscita), perché immersioni prolungate possono disidratare (pare assurdo poiché si è in acqua). Le donne locali, di tutte le età dai pochi anni agli ottanta, infatti, rimanevano 10/15 minuti, e poi uscivano. Inoltre sarebbe meglio non lavarsi una volta terminato, così che i minerali contenuti nell’acqua termale continuino a lavorare sulla pelle.

Uscite dall’onsen abbiamo fatto un giretto lì intorno, anche alla ricerca di un kombini. Non avete idea di quanto io ami questi paesini, dove il decadente e il lussuoso, coabitano senza problemi a distanza di pochi metri.

Come la chiamano loro Wabi Sabi? La bellezza dell’imperfezione e della transitorietà.
Forse vi parrò strana, ma io trovo una poesia struggente in questo, forse complice anche un carattere con una vena varicosa di malinconia, fin dalla nascita.

Non solo, a volte trovi il kitsch, che ti domandi perché e trovi tombini che vorresti portarti a casa.

Alla fine siamo riuscite a trovare un 7-eleven dove comprarci la cena (saremmo arrivate tardi a Shingu, nel nostro hotel tempio) e la merenda. L’onsen ci aveva messo una fame incredibile. E lì ho trovato un pezzo di Italia, che mai avrei pensato di trovare in un paesino della prefettura di Wakayama.

Con la cena e la merenda nel sacchetto siamo ritornate alla stazione per prendere il treno che ci avrebbe condotto a Shingu. Non so se lo sapete, ma in Giappone non puoi mangiare camminando. Puoi solo nelle aree attrezzate (se ci sono, e non sempre ci sono) dei kombini o dei locali che vendono cibo. Quindi eravamo in stazione con una fame tremenda e la non possibilità di mangiare. Abbiamo visto delle panchine imboscate e abbiamo chiesto al capostazione se potevamo mangiare lì. Lui gentilissimo ci ha dato il permesso, praticamente eravamo accanto alla zona fumatori (è vietato anche fumare all’aria aperta se non nelle apposite zone).
Ragazzi, nonostante il permesso, mi sembrava di commettere un atto altamente illegale!

Finita la merenda, avendo ancora molto tempo prima dell’arrivo del treno, abbiamo deciso di fare un giro della zona, e siamo piombate in un anime di Makoto Shinkai.

Magliette appese alla finestra ad asciugare,
è stato un attimo sentirsi dentro un anime di Makoto Shinkai

Passeggiavamo in questo paesino di campagna nel nulla, silenzioso e solo con noi che camminavamo, con immagini davvero da anime.

All’improvviso, tra magliette stese al vento ad asciugare, distese di campagna verde e arance che maturavano lungo la strada, è partita in lontananza, ma ben udibile, la campanella della scuola.
Se non siete otaku (grandi o piccole che sia), se non avete visto almeno un anime, non potete capire la commozione di sentire quell’inconfondibile suono, la campanella della scuola (uguale in tutto il Giappone), quella che segna l’inizio e la fine della scuola (quindi noi sapevamo che erano le cinque del pomeriggio).
E niente… piombate del tutto nel mondo di Makoto Shinkai e Hayao Miyazaki!

Dopo esserci riprese dall’intenso momento di commozione della campanella, siamo ritornate alla stazione, dove ci aspettava il treno.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Questa era la stazione e il treno che in tarda serata ci avrebbe portato a Shingu, ma questo è un’altro post.