FORMA


La città dove vivo ricomincia a starmi stretta.

Mi stanno strette le abitudini, il far e rifare le stesse cose.
L’aver organizzato, minuto per minuto, almeno venti ore delle mie ventiquattro.
La ripetitività, la mancanza di spazi, l’esaurirsi di possibilità e i discorsi sempre uguali.

Questo andare incontro alle giornate come un interminabile giorno della marmotta. Sette giorni su sette so l’orario in cui squilla la sveglia. Quando le persone mi raccontano che gli accade, già davanti agli occhi mi si dipana, come una gif inceppata, la dinamica successiva.

O forse è solo ancora questo perdermi nelle nuvole basse, confondermi con loro e disperdermi nel mio lato malinconico.

Lo sapete che ho un lato malinconico molto forte? Talmente forte che è per quello che rido e scherzo molto, cerco di nutrirlo con le risate, in modo che sazio e satollo, si addormenti e mi lasci vivere senza struggermi nel rimpianto delle grandi possibilità della mia vita osservate morire d’inedia.

E ora osservo ancora questa vita, la mia, che si accartoccia in queste tradizioni del nulla, consumate nel tempo, dispersa nell’inutile.

Ecco, ecco, la vedete la malinconia sveglia?! Come si attorciglia nelle parole che portano a niente? Si nutre delle catene da me stessa create, dalla costruzione delle situazioni rassicuranti che tendo a erigere, per poi ritrovarmi ingabbiata da sola.

La città dove vivo ricomincia a starmi stretta. E come ogni volta cercherò di farmi piccola per indossarla ancora, per “starci dentro”, almeno fino alla prossima volta che i bottoni scoppieranno.

Ogni volta che qualcosa mi va “stretto” è perché io sto cambiando “forma”.

illustration-by-nathan-martinez

CONSAPEVOLEZZE


illustration-by-elina-ellis

Sono un peso per me stessa
sono un vuoto a perdere
Sono diventata grande senza neanche accorgermene
e ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere
la mia cellulite le mie nuove
consapevolezze (consapevolezze)

Quanto tempo che è passato
senza che me ne accorgessi
quanti giorni sono stati
sono stati quasi eterni
quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente
quanta vita che ho buttato
che ho buttato via per niente
(che ho buttato via per niente)

Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
a cercare qualcosa
qualche cosa di più
che alla fine poi ti tocca di pagare

Sono un’altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene
ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere la mia cellulite le mie nuove consapevolezze (consapevolezze)

Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c’è più
perchè il tempo ha cambiato le persone
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c’è più
perchè il tempo ha cambiato le persone

Sono un’altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene.

Che poi sono solo queste giornate bigie, in cui il bianco è il grigio si fondono così tanto, che pensi di viver dentro una nuvola. Quei giorni che hai così tanto da dire da aver consumato le parole al solo pensarle, e ti escono così consunte che le vedi solo tu. Ti rimangono allora solo una canzone, le parole di Vasco e la voce di una rossa come te.

Mica lo sai che fine farai, ma sai che a oggi ci sei arrivata.

DI NASTRINI ROSA E OVAIE FUMANTI


Io ho un seno fibrocistico.

Che non vuol dire che sono malata, ma che ho un’alta percentuale di cisti benigne nel mio seno e alcune di loro tendono a diventar “grandi”.

Per i medici, le donne che hanno un seno fibrocistico, devono (non dovrebbero, proprio devono) sottoporsi a controlli frequenti. Io ogni due anni facevo il controllo, tenevo (devo tenere) sotto occhio una cisti in particolare, che ha sogni di espansione.

Oggi, mi ricordano, che ottobre è il mese della prevenzione contro il tumore al seno, e a me fumano le ovaie.

Abito in una regione che dicono abbia una sanità “eccellenza”(*), infatti, per fissare la data di controllo, devo prenotarla solo con un anno di anticipo all’ospedale della mia città. L’ultima volta anche anticipando un ticket di circa 60 euro. Ovvero oggi pago(**) e tra un anno (se esisti ancora) ti visitiamo.

Grazie a questi controlli due mie ex colleghe (nel luogo dove lavoravo una volta) si sono salvate. Ad entrambe hanno trovato una ciste “maligna” che è stata asportata. Entrambe sono ancora tra noi a raccontare che grazie a questo esame di controllo sono vive.

Detto questo, ringrazio di cuore il ministro Lorenzin, il ministero tutto e i loro dintorni, del grande favore che hanno fatto a noi donne. Eliminare dal servizio sanitario 203 prestazione sanitarie, tra le quali quell’inutile esame (biennale) chiamato “mammografia”(***), grazie al quale le due mie ex colleghe (e tantissime altre donne) sono vive.

Noto un filo conduttore tra l’allungamento degli anni in cui puoi sperare di andare in pensione e una sanità che fa in modo che in pensione tu ci arrivi morto.
pink-ribbon

Io amo il rosa, specialmente quello chiarissimo. E’ un colore che da sempre mi muove emozioni visive. Stamattina nel vederlo mi son fumate le ovaie. Il nastrino lo voglio da viva, non mentre svolazzo verso il cielo.(****)

(*) e pare che in raffronto ad altre regioni sia davvero una “eccellenza” quindi quasi mi sento in colpa a dover aspettare solo un anno.

(**) mi son sempre domandata se è legale farsi pagare con così tanto anticipo una prestazione medica. Al pagarla prima io non ho modo di scappare, se non pago, non mi prenotano l’appuntamento.

(***) ma del resto si sa è più importante far metter a disposizione fondi per il familyday e la procreazione che a cerca fondi per tener in vita le donne già nate.

(****)Perché, checché ne pensiate, c’è un sacco di gente che non può e non potrà permettersi di pagare interamente le prestazioni sanitarie (*****)

(*****)Ah non lo sapete? Nel 2016 l’aspettativa di vita degli italiani è calata per la prima volta, tra le cause i pochi fondi destinati alle spese sanitari non permettono alle persone di ricorrere a cure e esami.

MONSTER


Tu che ci fai con i tuoi mostri?

Io ci son scesa a patti sai. Eravamo sempre in lite, quando mi distraevo, mi squarciavo la pancia e spesso il cuore mi si fermava dallo spavento.
A volte fiotti di sangue mi uscivano dal naso e dalle labbra, per le botte che mi davano sulla bocca dello stomaco.

Ah, ma io non ero da meno, ero diventata così brava a incatenarli. Trappole messe un pò ovunque e poi li imprigionavo. Non avevo cuore di ucciderli però, ma a renderli inoffensivi sì. Tranne uno.

C’è n’era uno che ogni volta che lo incatenavo, ogni volta che lo rinchiudevo, in qualche modo tornava libero. E mi mordeva il cuore.
Mi avrebbe ucciso prima o poi, o io avrei ucciso lui.

Poi un giorno ci siamo trovati davanti, uno all’altro a scrutarci negli occhi. E’ stato allora che ho compreso. Anch’io ero un mostro. Ero il suo mostro. Quello che lo rinchiudeva, lo incatenava e ora cercava di eliminarlo.

Nelle nostre iridi la stessa domanda: “Se tu mi uccidi, uccidi te stesso. Vuoi morire? Io no e tu?”

E’ da allora che non rinchiudo più i miei mostri, ma ci parlo e scendo a patti, e la sera qualche volta gli racconto le fiabe. Certo loro preferiscono le storie dell’orrore, ma un pò li ho convertiti alle storie a lieto fine, in un mondo, dove l’amore abbraccia il suo lato oscuro.

monster

INTELLIGENZA SALTUARIA


Ogni volta che un uomo dice “Sei una donna impegnativa”, ti sta dicendo che ti vuole ma non si vuole impegnare.

cat

Soffro anche di intelligenza saltuaria ogni tanto.

NON IN MIO NOME


Quando ero piccola, guardavo film in bianco e nero, parlavano dei campi di concentramento nazisti, di uomini che soffrivano e di uomini che torturavano.
E io mi domandavo perché? Come può essere accaduto? Rimanevo in silenzio davanti a quelle immagini e pensavo meno male non accadrà mai più.

Quando ero piccola, ma un po’ di meno, il film era a colori, “Urla del silenzio”, sempre campi di concentramento ma in Cambogia, gli uomini soffrivano ancora e altri uomini stupidi uccidevano. Io sentivo dolore, profondo, intenso che risaliva fino al respiro trasformandosi in rabbia attraverso le domande. Perché? Come può essere ancora accaduto? Nessuno li ferma? Come possono gli uomini far questo? Forse non sanno di quello che hanno fatto i nazisti, non sanno che non porta a niente E nel buio del mio letto stemperavo rabbia e lacrime insieme. (Chi l’ha detto che l’empatia è sempre una bella cosa?)

Quando ero piccola, ma molto molto meno, non guardavo un film ma sfogliando una rivista, rimasi bloccata. Vedevo le foto delle persone dei campi di concentramento nazisti, uguali identiche, ma a colori. Come era possibile? La scritta “Campi di concentramento serbi in Bosnia” sotto le foto fu un colpo allo stomaco. Perché? Ancora?! Come era possibile? Come poteva ripetersi questo in europa mentre la cicatrice degli orrori nazisti era ancora pulsante? Come potevano ripetersi le stesse ferite in europa? Incredulità e rabbia, profonda. Come è possibile, che accada ancora?

E oggi vedo Aleppo, la Siria (ma in mezzo c’è un universo di guerre e dolori) e mi domando ancora “Ma come è possibile, come possono farlo, a che pro, secoli di guerra di sangue e di morte non insegnano niente”. I campi di concentramento non li vedo (ma so che ci sono) in compenso vedo i bombardamenti e sotto loro le persone, uomini, donne, bambini, animali, essere viventi come me.
COME CAZZO E’ POSSIBILE?! Io non mi capacito, non riesco, ci provo a dirmi è la natura umana, ma non riesco a crederci.

Perché, no, non è la natura umana, è una scelta di ogni singolo uomo.
Caino o Abele.
Abbiamo tutti nel dna i filamenti di entrambi, ma la scelta di chi essere è nostra. Io so di esser Caino, a volte sale prepotente, credo anche di esser capace di uccidere se costretta in alcune circostante, ma scelgo ogni volta di esser Abele.

Quindi no, sappiatelo voi che dirigete il mondo, spostando uomini e armamenti sulla carta, pensando che quella sbavatura sul foglio sia inchiostro e non sangue, voi non mi rappresentate.

Vittime che diventano carnefici e carnefici che diventano vittime, in una ruota perversa di dolore.

Quello che hanno fatto, quello che fanno, quello che faranno, sappiatelo NON è IN MIO NOME.

yesod by peter mohrbacher

Sarà un viaggio senza ritorno
Con un biglietto di sola andata
Ci sta chiamando la propaganda
Non in mio nome, non in mio nome.

Non ha insegnato il dolore
Più di una guerra mondiale
Non sarò io a farli andare
Non in mio nome, non in mio nome.

Contro un presunto nemico
Di civiltà e religione
Bocca che beve petrolio
Non in mio nome, non in mio nome.

Vogliono fare una nuova guerra
E noi dovremmo partire
Come animali al macello
Non in mio nome, non in mio nome.

Non certo in nome di mio fratello
Cuore migrante a lavorare
Nemmeno in nome di mio padre
Che mi ha insegnato a rispettare
Neanche in nome di mio nonno
Che dalle bombe dovette scappare
Perché mio figlio guarda sempre avanti
E noi avanti vogliamo andare.

Perché il mercato e l’economia
Contano più delle persone
Per i dollari e l’oro nero
Non in mio nome, non in mio nome.

Non partiranno i governanti
Né Sua Eccellenza, né il Parlamento
Ci manderanno giovani in armi
Non in mio nome, non in mio nome.

Non certo in nome dei bambini
Che vogliono solo giocare
Nemmeno in nome del vostro Dio
Che si è perso e non sa tornare
Neanche in nome dei soldati
Che la paura li fa tremare
Perché non sono pronto alla morte
Non ho bandiere da insanguinare.

Non in mio nome, non in mio nome…

Ma ti ricordi i fiori nei campi
Là dove un giorno cadevi in battaglia
Restano solo fiori tagliati
E un mare rosso impastato alla terra.

Il presidente sta vomitando
La sua bugia sulla nazione
Io non rispondo alla chiamata
Non in mio nome, non in mio nome.

Non in mio nome, non in mio nome…

(“Casa del vento” credits)

FORSE


Viviamo così male che cerchiamo di offuscarci.
Con il cibo, con il fumo, con l’alcool, con le partite, con la droga, con le chiacchiere, con la tv spazzatura, con i pettegolezzi che schizzano merda, con la rabbia e gli insulti agli altri, con la ricerca disperata di un amore di qualcuno perché noi non riusciamo amarci, ci riempiamo con il vuoto.

E questo vuoto è vorace.

Io credo che questo tipo di società imploderà su se stessa, ma i tempi della storia, della terra, non son i tempi umani, quindi noi se abbiamo culo riusciremo a passare abbastanza indenni… forse…
gabbie

GRAFITE


Ti incunei, comunque.

Mentre Morfeo, si volta a cercare la luna, tu arrivi a cercare me.
Nera Grafite, mi hai tatuato il cuore.
nera-grafite

DA GRANDE


Quando eri piccolo e ti domandavano “Tu da grande cosa vuoi fare?”, cosa rispondevi?

A dieci anni, quando mi ponevano questa domanda, tutta seria e convinta io rispondevo con “un mestiere” che lasciava perplessi gli adulti di fronte a me.

Io volevo far la suora.
suora

Mi vedevo così bene con quel vestito lungo, quel velo, l’esser assorta, il camminare piano nel chiostro, presa dal silenzio e dai miei pensieri. L’essere su un gradino che mi permetteva di esser più vicina a un mistero.

Oh, non ho mai detto di esser normale, né di esserla stata a dieci anni.

Oggi non ho 10 anni e la suora non la farei, perché è un abiurare la propria libertà, il proprio essere, mantenendo uno stato di sudditanza non verso “dio” (*) ma verso gli uomini che comandano la chiesa.
Però mantengo quelle caratteristiche interiori che a dieci anni mi facevano dire convinta “Io da grande faccio la suora”.

Non sono casta, non prego, spesso fanculizzo e la pazienza la riservo a pochi, ho una morale mia personalissima, ma mi rimane questa aspirazione interiore che non si sazia mai. Salire quel gradino che mi permette di esser un pò più vicina alla conoscenza.

PS: dopo suora, crescendo verso i 13 scelsi l’hostess perché viaggiava gratis e vedeva il mondo, non potendo verso i 14 dissi a mia madre che volevo far Perito Agrario, cosa che non mi permise e a quel punto smisi di scegliere. Non sapevo più cosa fare da grande.

(*) non sono religiosa, non ho una religione, non credo nelle religioni, ma ho un mio sentire e percepire.

LA DIFFERENZIATA


Abito in un piccolo palazzo a tre piani
In ogni piano ci sono tre appartamenti.
Ci vivono mediamente sei persone a piano.

Tre per tre uguale nove.
Se la matematica non è un’opinione, il giorno del ritiro dell’umido, fuori il palazzo ci dovrebbero essere 9 piccoli contenitori, contenenti la raccolta differenziata umida (detta volgarmente “l’umido“) di una media di 18 persone. Invece no.

Invece il giorno di raccolta, fuori, ci sono sempre e solo tre piccoli contenitori, uno è il mio.

Quindi vuol dire che 15 persone non fanno la raccolta differenziata dell’umido.

Quindi vuol dire che la responsabilità civica ed ecologica rasenta i tombini.

Ci lamentiamo di quelli “sopra noi”, quando nel nostro piccolo siamo i primi.
Fraccomodi, menefreghisti, egoisti, indifferenti, “cipenseràqualcunaltro”.

E niente, questo è solo un post, per visualizzare che tanti parlano e si lamentano, ma ovunque (anche nel piccolo) quelli che fanno sono pochi.

No eh? Non è possibile far la differenziata delle persone?

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