LIFE LOVE ON THE AIR


LIFE LOVE ON THE AIR
(Vita – Amore in riga)
(Love On The Line)
Anno 2020
Romantico, Vita, Crescita
4 episodi da circa 25 minuti
(esiste la versione movie con extra di 113 minuti)
Su: Viki Rakuten

TRAMA

Due ragazzi diciassettenni, Itou Akira (Shirasu Jin) e Nishi Yuuki (Raiku) non si conoscono, ma hanno in comune un gioco. Mentre vanno e tornano da scuola, cercano di camminare sulla riga bianca dipinta sulla strada immaginando dei mondi al di sotto della riga.

Itou è serio e cerca di accontentare sempre i “bisogni” della famiglia, Nishi invece è un ragazzo amichevole ma estremamente ingenuo. Un giorno i due s’incrociano sulla riga bianca in direzioni opposte, nessuno dei due vuole togliersi dalla riga, da questo avvenimento nascerà un legame tra i due ragazzi.

Itou s’innamora in un attimo di Nishi, del suo fare fanciullesco e ingenuo. Un giorno, non pago, dalla possibilità di vederlo solo su quella linea bianca, improvvisamente l’istinto lo porta a fare un gesto che non pensava.

Da questo episodio nascerà una storia che crescerà con i due ragazzi, insieme affronteranno il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, mentre saranno costretti a scontrarsi con le prove che il mondo farà loro incontrare.

Questa realtà in cui scontreranno, farà si che i sogni e l’amore cambieranno per adattarsi a ciò che la società vuole da due uomini?

OPINIONE PERSONALE

tra i BL giapponesi non rientra sicuramente tra i primi posti nella mia classifica, ma rimane un bl da vedere per due motivi:
a) al solito la poesia giapponese delle storie d’amore, di qualsiasi natura, è imperdibile;
b) è un bl che affronta in maniera esplicita il problema “dell’amore non accettato socialmente”. Di come influisce, a volte, sulla psiche dei diretti interessati.


Il personaggio di Nishi all’inizio l’ho trovato al limite del disturbo dello spettro autistico, credo sia perché il regista abbia voluto calcare la mano sul suo candore e ingenuità, ma proseguendo capisci che è la natura artistica fanciullesca di cui è intriso, quella che ha conquistato Itou.
il personaggio di Itou è più razionale, realistico, bisognoso di cose concrete, di zone comfort in cui vivere, e anche se all’inizio questo aspetto traina il rapporto, alla fine potrebbe rivelarsi un ostacolo.

CURIOSITA’

Esiste anche la versione movie con scene extra di circa 113 minuti, sempre su Rakuten Viki.

INTERPRETI

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Io e Mr. Fahrenheit


Quando sei un diverso, quando quello che ti piace non incontra il favore degli altri, quando la società intorno ti fa sentire quellə sbagliatə, quando a furia di nasconderti non ti trovi più, quando è legale ma la collettività intorno ti condanna e ti schernisce, quando ti fai domande per capire e non trovi risposte, perché le cerchi fuori e invece devi trovarle in te, da qualche parte insieme al coraggio di essere quello che sei.

Ho amato visceralmente questo jdrama, ho amato Daichi Kaneko e il suo personaggio, così realisticamente punitivo verso se stesso e il suo non trovare una collocazione nella società. Il suo cercare di trovarsi, di capire e la sensazione di essere, comunque e sempre “quello sbagliato” e per questo cercare di proteggere gli altri da se stesso, e non se stesso dagli altri.

Ho parteggiato per la fujoshi interpretata da Ryoko Fujino, il suo comprendere di amare cose che le persone considerano “sporco” e per questo, dopo esser stata ferita, cercare di nascondersi, ma portando avanti lo stesso la sua passione. Ho amato il suo amore incondizionato, il suo trovare un sorriso sempre, e di trovare sorrisi non solo per lei, ma anche per Andou Jun che di sorrisi non ne trova.

Mi sono trovata ad essere profondamente empatica con entrambi. Mi capita spesso con l’arte giapponese, sia che sia un film, un quadro, una serie o un libro, come se attraversassi una poesia dalle tinte forti. Ne rimango impregnata mentre porta parti di me in superficie.

So di esser di parte, con il Giappone (o con quello che di loro arriva qui in occidente) e il suo modo di percepire la vita, il mondo, la società e la parte più profonda di noi, ho un rapporto atavico fatale.

Fujoshi, Ukkari Gei ni Kokuru per noi occidentali “Io e Mr. Fahrenheit” è tratto da un romanzo, poi divenuto manga, è un Jdrama di 8 episodi di circa mezz’ora l’uno del 2019.

Daichi Kaneko interpreta il giovane ragazzo gay Andou Jun e da Ryoko Fujino da voce alla giovane fujoshi(*) Miura Sae.

Di sottofondo la musica dei Queen, una canzone diversa ad ogni episodio, accompagna il viaggio Andou Jun verso se stesso.

Voto 9 al Jdrama, voto 9 ai due attori principali e voto 9 a Tanihara Shosuke che interpreta un ruolo secondario, quello dell’amante maturo Sasaki Makoto.

Questa serie non termina bene e non termina male. Lascia tutte le possibilità aperte, per capire cosa intendo, dovete proprio vederlo.

Chi ama il Giappone e la sua atmosfera, chi rimane affascinato dal loro pensiero e dalla loro atroce delicatezza, non può perderlo.

(*) Una fujoshi è una ragazza (da 0 a 80 anni) con una passione per i Boys’ Love sia che si tratti di un manga o che siano personaggi reali dei film e/o dei drama.
La parola significa ragazza (o mela) marcia e questo dovrebbe già aiutarvi a far capire come sono state viste all’inizio.


UOMINI


Quelli che ho conosciuto e che mi hanno fatto conoscere il “buono” che c’era in loro e a quelli che mi hanno inflitto qualcosa di “cattivo”. Mi avete aiutato a crescere e a comprendere quello che non volevo essere.

Quelli che mi hanno amata e che io non ho amato, non come avrebbero voluto loro. Attraverso voi ho acquisito la capacità di accettare il rifiuto.

Quelli che ho amato e che mi hanno forgiato attraverso il dolore, anche grazie a loro, sono la persona che sono oggi.

Quelli che mi hanno compresa nell’anima e fatta sentire, per un attimo, meno sola in questo mondo. Voi avete riempito il mio cielo.

Quelli che mi hanno chiamata puttana, perché nel loro ferirmi mi hanno resa libera dal giudizio altrui.

Quelli che mi sono amici, quelli veri, che mi hanno fatto conoscere la bellezza, la profondità e la delicatezza del lato maschile.

Quelli che mi hanno resa così insicura, da determinarmi a trovarmi e con me, la mia sicurezza.

Quelli che non sanno neppure loro che vogliono da me, e spesso dalla vita, perché mi hanno dato la capacità di decisione.

Quelli che ho ferito, a volte per codardia a volte senza rendermene conto, perché mi hanno insegnato che a volte che è un attimo passare da vittima a carnefice.

Quelli che “Ci sono per te” e poi non ci sono mai. Mi hanno insegnato il valore di chi invece c’è.

A Voi regalo le parole di questa canzone che amo. Stamattina passava per radio e mi ha fatto venire in mente tutti voi.

Grazie. Sia che siate stati carezze o siate stati lame nella mia vita, mi avete dato il massimo di cui eravate capaci in quel momento.

La dedico anche a me, alla mia parte maschile. Oggi, scrivendo queste poche righe insieme alla mia parte femminile, mi ha fatto amare tutti voi, e così facendo, mi ha liberato.

PER – DONO


Io perdono per egoismo.

Ho appurato, negli anni, che il perdono non serve a chi è stato fallace e quindi lo cerca (non sempre), ma serve a chi ha subito il fallo (e non nel senso erotico del termine). Non subito, ma io perdono. A volte ci metto anni, a volte ore.

Perdono anche chi il perdono non me lo ha chiesto. Perdonare serve a me per andare oltre, per lasciarmi alle spalle l’accaduto, per creare nuovo spazio altrimenti occupato da rancore, rabbia, impotenza e acredine. Tutte emozioni che distruggono chi le prova.

Perdono è vero, ma non confondete il “mio perdono” con un “come se non fosse successo”.
Perdono per egoismo, e quindi sì, io vado oltre, non ci penso più, ma tu “fallace” che mi hai ferito volontariamente, non vieni con me nell’oltre.

Parlo di “volontariamente” perché a volte c’è un “involontariamente”, ma qui il discorso diventa troppo ampio. Con l’involontario sono più comprensiva, del resto riconosco la nostra umanità e l’errore fa parte del nostro vivere in questo mondo.

Perdono, anche se a volte il mio marte in scorpione vorrebbe vedere il sangue (copioso) e la sofferenza (atroce) condita da ampie spruzzate di vendetta (servita sia calda che fredda) di chi lo ha risvegliato.

Quando perdono, vado avanti, mi lascio il passato alle spalle e faccio mia una frase dettami anni fa: “Tieni l’insegnamento, abbandona il dolore”.

Io per-dono, mi faccio il dono di vivere bene.

IO MENTO?


Io mento?

Capita, è capitato, credo che capiterà ancora. Il problema è che poi mi faccio così tante seghe mentali per aver mentito, che alla fine è raro che lo faccia, e deve essere indispensabile per la mia sopravvivenza (in ogni settore).

Per questo tendo a essere sincera, non perché son brava, ma perché ho un censore interiore che mi fracassa le ovaie e mi sfinisce, se non lo sono.

Aggiungo che per me le bugie, le mezze verità e le omissioni di verità sono una cosa sola.

Le bugie più infide, sono quelle che ci diciamo da soli, quando ci “condiamo via” e non vogliamo vedere e capire. Alla fine non puoi neppure prenderla con gli altri per le cazzate che hai fatto e che fai mentendoti.

Preferisco la verità, consapevole che la verità ha molte sfaccettature, e io non detengo la verità assoluta, non ho neppure la capacità di visione (almeno in questa vita) per vederla nella sua interezza.

Preferisco la verità, anche se a volte mi ha ferito e ha ferito.

Preferisco la verità perché già di nostro sbagliamo e incespichiamo molto nella vita, se poi ci danno (o ci diamo) informazioni errate, sai che combo in caduta libera nelle complicazioni, confusioni e gomitoli di vita annodati?

La natura poi, mi ha dotato un sensore di bugie altrui le annuso e le riconosco (molte, non tutte, e non quando sono coinvolta emotivamente, lì invece sono un disastro), anche quelle che le persone dicono a se stesse.

Questo sensore mi ha salvato la vita molte volte.
Di solito non avviso mai “il mentitore consapevole” che ha perso la sua copertura, faccio finta di niente e mi metto solo in salvo.
Sarà una rogna sua i problemi che si attira.

Diverso è se, “il mentitore consapevole” mente a una persona che amo. Lì, mi parte lo scorpione in mercurio abbinato allo scorpione in marte che il mio tema natale mi ha regalato.

Con “il mentitore inconsapevole” quello che non sa di mentirsi, è diverso, vorrei poter fargli vedere quello che vedo io, ma porto rispetto per il suo tempo di accettazione delle cose, e quindi al massimo esprimo due tre input “teneri” sull’argomento.

Ognuno ha i suoi tempi. Anche io ho avuto i miei.

Nessuno nasce maestro, ci si diventa, e non sempre.

Nasciamo tutti bambini sinceri.
Cresciamo e impariamo a mentire.
L’evoluzione è diventare adulti sinceri.

NÒCCIOLI


Cugini.
Nòccioli.
Tutti futuri alberi.

Un nòcciolo vive tuttora lì. Un nòcciolo è diventato albero, ma poi non ha resistito. Le intemperie di questa terra l’hanno abbattuto. Un nòcciolo è come svanito nelle nebbie del tempo che passa, non ne so più nulla, se è vivo, se è morto. Un nòcciolo è stato trasportato lontano da quelle terre, dal vento, quel nòcciolo sono io.

Chissà che albero son diventata?

Mi scruto. Occhi di ora verso allora.
Il sorriso, anzi il ridere, la postura, quel rametto, la luce negli occhi. Mi vedo per chi ero. In verità, ne sono consapevole, sono la stessa oggi.

Nel profondo il mio “nòcciolo”, la mia anima, è la stessa. Ho gli stessi ideali, la stessa innocenza (o meglio oggi ho l’innocenza dei vecchi), lo stesso scopo, lo stesso sguardo sul mondo, soffro per le stesse emozioni, i miei punti deboli e quelli forti sono gli stessi, ma fuori, in superficie, nel mio vivere, sono così diversa oggi.

Questi anni, questo crescere, tutto questo tempo terrestre, hanno fatto sì che isolassi sempre più il “nòcciolo” dall’esterno. Forse per proteggerlo, o forse per paura, o forse per entrambe, chi può dirlo.

E’ accaduto. Non so di preciso il momento, ma è accaduto.
Da piccola e fino a qualche anno fa, facevo di tutto per dare vita a quel nòcciolo, per portarlo alla luce, perché tu, chiunque fossi, potessi vederlo. Poi è sopraggiunto il contrario. L’ho ricacciato in fondo da qualche parte, l’ho fatto così bene che il silenzio assordante della sua mancanza mi anestetizza.

Ma mi manco. A volte mi manco tremendamente.
Come gli innamorati distanti tra loro migliaia di chilometri, si struggono nel pensiero dell’altro lontano. Ecco, mi manco in quel modo, so che il mio nòcciolo c’è, che esiste, è vivo, ma mi ritrovo a vivere, nel quotidiano, con la parte migliore di me lontano. Ah, fossi stata meno brava a nasconderlo, con trabocchetti e labirinti, distante dall’albero che son diventata.

Eccoci allora qui, vicini e distanti, radici e rami, sappiamo che l’altro c’è, lo percepiamo, ma siamo separati.

STORDITA


Non so come, non quando e non so perché.

Mi sono stordita nel vivere.
Radicata su questo mondo.

Sono cambiata, ma non mi manco più.
Sono nuova, ma ancora non mi conosco.

Non ho più specchi in cui riflettermi.
Vado a tentoni in questa novella realtà.

Oscillo tra il candore e la scaltrezza.
Ossimoro di carne dal primo vagito.

Nel caos del mio non vivere, attendo un segnale da me stessa.

DALLA G ALLA G


 

GELOSIA
E’ un cane rabbioso che ti strappa il cuore a morsi.
E’ una lama sottile e affilata che ti trafigge il cuore.
E’ aria bollente che ti entra nei polmoni.
E’ la paura di sentire il dolore perché sai che nulla lo fermerà.

Non sono gelosa di natura, eppure queste quattro righe le scrissi io nel settembre del 2006. Un uomo riuscì a “rendermi” così. Fu un concorso in demerito, mio e suo.

Mi rese insicura, e su questa insicurezza creò il suo “potere”. In qualche modo mi ritrovai a pensare di essere la donna meno “meritevole d’amore” sulla terra. Credo che lo facesse in maniera inconscia, questo fu peggio, ma grazie a questo compresi (successivamente, molto successivamente) che ci sono persone che, pur amandoci o volendoci bene, ci fanno del male. Non per cattiveria, ma per incapacità.
Io lo permisi. Il non amarmi veramente e la “paura di non essere amata” permisero la distruzione delle mie sicurezze. Brutta roba.

Successivamente, proprio grazie a questa storia, ho recuperato alla grande sul senso di insicurezza. In fondo dovrei ringraziarlo, ho scoperto una forza che non sapevo di avere, e lo devo a quello che è accaduto tra noi. Ma di questo dovrei parlare alla lettera R, di resilienza.

Chiaramente a lui non feci trapelare nemmeno un briciolo di questa gelosia. Forse la intuì, o forse no.
Perché lo feci? Perché nascosi questa emozione? Perché non la consideravo, non la considero, un’emozione positiva. Umana si, positiva no.

Lo penso davvero, la gelosia non è un sentimento d’amore, ma di possesso. Credo che sia per questo che, a parte quel periodo, io tendenzialmente non sia gelosa. Ma se capita, è un attimo, una punta di lapis, poi cambio prospettiva. La gelosia oltre ad essere una emozione inutile, spesso scatena proprio i comportamenti che teme.

Nel mio mondo, la gelosia sta all’amore, come i ghiaccioli al forno.

CORDONI OMBELICALI


Il primo è stato con nostra madre, fisico, fatto di sangue e materia, non l’avremmo mai fatto, lo abbiamo subito. Era solo il primo che avremmo dovuto affrontare su questa terra.

Abbiano proseguito a staccarci, passo dopo passo. Abbiamo reciso altri cordoni ombelicali che ci tenevano legati a lei. Quelli eterici, fatti di emozioni ed energia, ma non per questo meno dolorosi.

Siamo cresciuti, convinti di esser finalmente liberi, e che nulla ci obbligava. Invece, nell’adolescenza, ci siamo scoperti imbrigliati ancora e abbiamo iniziato e recidere un altro grande cordone ombelicale, quello con la famiglia di origine, per determinarci e dire: “Io esisto anche senza di voi“. Pensavamo, recidendolo, di esser finalmente liberi. Pensavamo.

Neppure tanto tempo dopo, abbiamo scoperto che quando tagli un cordone ombelicale, dietro esso ve n’è un’altro. Così andando incontro al tuo tempo, sospetti che lo scopo stesso della tua vita, sia recidere cordoni ombelicali. Cosa che a volte indolore non è.

Recidiamo con la famiglia di sangue, con i nostri amici, con la famiglia che pensavi di volere, con le situazioni, con gli amori, con i nostri compagni. Recidiamo, consapevoli, che se così non fosse, rimarremmo intrappolati in decine di cordoni ombelicali. Si aggroviglierebbero tra loro, tirandoci da ogni parte, alla lunga moriremmo soffocati, e noi lo sappiamo, siamo nati per essere liberi.

Oh lo so pare una cosa tremenda tagliare i cordoni ombelicali.  Questi tagli a volte son dolorosi e capita che rimanga la cicatrice, ma è meno terribile di quello che sembra.

Tagliare il cordone ombelicale non vuol dire separarsi dagli altri. Vuol dire non dipendere dagli altri, e scegliere se rimanere.

Tagliare il cordone ombelicale non vuol dire non amare nessuno, vuol dire scegliere. Avere la percezione di amarsi e quindi amare l’altro in modo libero.

Tagliare il cordone ombelicale fisico con il proprio figlio, vuol dire dargli autonomia, da quel momento gli regali la vita, la sua.

Tagliare il cordone ombelicale energetico con i genitori, vuol dirsi darsi la possibilità di diventare quello cui siamo destinati.

Io lo vedo, so che lo vedete anche voi, cosa è accaduto a quelli che dai cordoni, non provano più a liberarsi.

JUĜO


Il sole mi abbraccia, accarezza le mie mani, avvolge gli avambracci poggiati sulla scrivania. Amo questo tepore, mi fa stare bene. Appoggio le dita sulla tastiera e inizio a scrivere, solo due righe a fissare.

Sono in un periodo strano della mia vita. Comprendo e amo maggiormente le persone e nel contempo sono diventata più intollerante verso il mondo. Del resto la mia vita è stata sempre un ossimoro costante.

Ho iniziato a recidere in profondità rami secchi. Tolgo attenzione a persone e numeri di telefono dal cellulare. Vorrei togliermi anche il giudizio strisciante che ogni tanto mi ritrovo davanti (il mio sia ben chiaro, che quello altrui ora lo recido insieme alla persona), sorpresa di non essere stata capace di rinunciare alla mia umana imperfezione, stupita di non essere perfetta e di non avere opinioni senza giudizio. Ma il saperlo, il rendermene conto, fa si che quel giudizio strisciante appena portato alla luce, tenda a dileguarsi lasciando aperta la porta al “giudizio sospeso”. Con una sola esclusione, quando io giudico me, qui di sospeso poco, grazie al mio giudice interiore.

Quante parole insieme riesco a generare. Mi blocco con lo sguardo a mezz’aria a vederle passare ancora sotto forma di pensiero. Son sempre stata un’incubatrice di pensieri, partorisco me stessa tra una M e una B, eppure vivo bene solo quando le parole le vivo, molto meno quando le penso.

Dovrei esser più propositiva, lo so, ma il sole ha abbandonato la mia scrivania, comincio a sentire freddo.