KAFKA SULLA SPIAGGIA


TRAMA

Tamura è un adolescente di quindici anni, è maturo per la sua età, fugge dalla casa paterna e dal padre, uno scultore geniale ma con qualcosa in sé di distorto e maligno. Nel fuggire si sceglie anche uno pseudonimo per non essere trovato, Kafka, si farà chiamare Tamura Kafka.

Nakata è un anziano con qualche problema, nonostante l’età ha il candore e l’ingenuità di un bambino, parla con i gatti, e a causa di un delitto, nel quale è stato coinvolto contro la sua volontà, fugge dal suo appartamento.

Che cosa hanno in comune i due?
Sono entrambi dello stesso quartiere di Tokyo ed entrambi si ritroveranno diretti a Takamatsu, una località del sud del Giappone.

I due si troveranno a seguire, lontani uno dall’altro, dei percorsi in qualche modo paralleli, che a un certo punto s’intersecheranno.

OPINIONE PERSONALE

Una trama ancorata alla realtà che man mano sfuma nell’onirico, una storia che si divide in due, ma che s’intreccia in continuazione, e che manda in confusione (come per i protagonisti) anche il lettore, perché non si capisce bene il confine tra realtà e onirico.

Un romanzo che parla del compimento del proprio destino, e allo stesso tempo alla scelta se compierlo o no. In alcuni punti è davvero inquietante.

Al solito, come mi è accaduto anche con letture più leggere tipo i manga (o visioni come gli anime), mi sorprendo sempre quanto gli scrittori (disegnatori, sceneggiatori, registi) giapponesi, abbiano una vasta conoscenza della cultura occidentale, e di come la intersecano nella loro, creando nuovi “mondi”.  Cosa che raramente accade al contrario.

Il libro di cui parlo in quest’articolo, vince (2006) il World Fantasy Award.

Qualche frase del libro che mi ha colpito in modo particolare:

“la vita umana è caratterizzata da un’estrema solitudine, ma in cui tutti siamo collegati dalla memoria archetipica” 

“La felicità è sempre uguale, ma l’infelicità può avere infinite variazioni, come ha detto anche Tolstoj.”

“Ma la ristrettezza di vedute, la rigidità di chi è privo di immaginazione ha una natura simile a quella dei parassiti. Si trasferiscono da un organismo all’altro, mutano di forma e continuano a vivere e a proliferare.” 

“Cerca di tenerlo a mente: alla maggior parte degli uomini la libertà non piace affatto.”

“Non sarà che ciò di cui ho piú paura è la mia ombra?”

TITOLO E DATI BIBLIOGRAFICI

Kafka sulla spiaggia
io ho letto la versione Kindle, prezzo € 7,99

Esiste anche:
la versione cartacea, Einaudi Super ET, del 2008, prezzo € 15,50
la versione ebook ibs, prezzo € 7,99
la versione Audible da ascolto (per chi la possiede)

AUTORE

Haruki Murakami è nato il 12.01.1949 a Fushimi Ward, Prefettura di Kyoto (Giappone).
È uno scrittore famoso in tutto il mondo, è stato tradotto in circa cinquanta lingue e i suoi best seller hanno venduto milioni di copie.

Dopo un periodo in cui ha vissuto in America del nord, dove ha insegnato in alcune università, agli inizi degli anni 2000 si trasferisce a Oiso (Giappone), dove attualmente ancora vive.

Ha lavorato anche come traduttore, per questo avendo letto scrittori occidentali, per sua stessa ammissione è stato influenzato da loro, in special modo dalle opere di Raymond Carver.

SFOGLIAMI


Se leggete solo i libri che stanno leggendo tutti gli altri, state pensando solo ciò che chiunque altro sta pensando.

E’ una frase tratta da un libro, Norwegian Wood, di uno scrittore giapponese che non conoscevo (e non conosco ancora, poiché l’unica cosa che ho letto è questa frase), Haruki Murakami.

Credo che questa frase mi abbia colpito per più di un motivo. Sicuramente uno di questi è che mi son resa conto di quanto tempo sprechiamo sui dispositivi elettronici, siano essi smartphone o smartv. Siamo un mercato formidabile per le loro pubblicità, mentre il nostro sistema neuronale muore d’inedia.

Un’altro è perché mi ha riportato ad un periodo lontanissimo della mia vita. Intorno ai nove anni, scoprii un luogo magico. La biblioteca pubblica. Fu amore. Un amore totalizzante. Io non giocavo con gli altri bambini, leggevo i libri.

Il mio uscire era diretto sempre alla biblioteca. Entravo in quell’edificio dalle mura altissime. Superate le prime due porte mi ritrovavo in una stanza con un tavolo e la bibliotecaria. Di fronte a lei, a un paio di metri di distanza, sulla parete gli schedari dei libri. Dei lunghissimi cassetti ricoprivano la parete ad altezza uomo.

Sorridevo alla bibliotecaria, le giravo le spalle e andavo davanti ai cassetti. Random li aprivo, tre diversi, e pescavo una scheda a caso.
Quei pezzetti di carta consunta scritta a mano erano il mio biglietto aereo per il mondo. Se il titolo mi piaceva lo tenevo, altrimenti pescavo ancora nello stesso cassetto. Quando ne avevo tre (il massimo consentito) tutta impettita e orgogliosa, andavo al tavolo e li consegnavo alla bibliotecaria. Lei spariva e poco dopo tornava con i libri. Non libri per bambini, ma i libri degli adulti, che a me delle figure colorate non importava nulla.

Davvero non so come potervi spiegare quel momento fatto d’intensità, eccitazione, desiderio, bramosia e felicità. Avevo ben tre libri da leggere tutti per me. Era come se davanti a me si dipanassero tutte le possibilità del mondo e io potessi pescarne a piacere. Solo a riscriverne mi risale quella sensazione dentro.

Io i libri non li leggevo, ci cadevo dentro.

Ho letto tanto, ma tanto, fino a che il lavoro non ha assorbito la maggior parte del mio tempo. La vita mi ha spintonato e fatto capire che quella realtà fuori dai libri dovevo affrontarla prima o poi. Lavoro, persone, esperienze, studio, riposo, figli, amore, tutto da stipare in sole 24 ore, e i libri sempre più in fondo, schiacciati dalla parola dovere.

Ho letto così tanto da bambina che l’oculista disse a mia madre che dovevo smettere di leggere, affaticavo troppo gli occhi. Mia madre mi proibì la lettura per un periodo, e io mi nascondevo sotto le coperte con una pila a leggere.

Avevo una media di tre libri ogni dieci giorni. Amavo i libri con tante pagine, così avevo molto più da leggere.
I nomi dei libri, dopo averli letti, sparivano dalla mia mente. I nomi degli scrittori, mi spiace per i loro ego, mi entravano dalla pupilla dell’occhio sinistro e uscivano immediatamente da quella dell’occhio destro. Ciò che contava era solo quel libro, quella carta con le parole scritte. E questo, tranne rare eccezioni accade anche oggi.

Non so da dove nascesse questo profondo amore per i libri, non appartengo a una famiglia di lettori, anzi.
So però, che sono fatta di pagine di carta lette negli anni, pagine come foglie autunnali, si sono depositate nella mia psiche accanto alla mia anima.
So però, che spesso vedo le persone come libri, a volte bellissimi, a volte un pò meno. Ma sono “libri” con storie che non conosco e che potrebbero farmi vedere mondi che altrimenti non vedrei mai.
So però, che a volte mi capita, mi si accende la speranza che qualcuno veda me come un libro, e che a quel qualcuno ho voglia di dire “sfogliami”.

PS: Ho detto sfogliami, non spogliami!
(che qualcuno di voi lo conosco)