KUMANO KODO – TANABE (Torii, riso e Kami delle donne)


Il viaggio che mi ha portato dal santuario di Nachi al Santuario Kumano Hongo Taisha, mi ha regalato un’immagine che rappresenta perfettamente il Giappone (dal mio punto di vista): terra, acqua, cielo e lì in mezzo piccolo e in balia, qualcosa di umano.
Mondi attigui ma separati, mondi che attingono uno dall’altro ma mantengono la loro unicità (sì, me ne rendo conto, sono ancora perdutamente innamorata del Giappone), mentre l’umano vive, o sopravvive, in mezzo a loro.

Il Kumano Kodo regala grandi paesaggi, storia e immagini, dal mio punto di vista è un bel posto per viverci.
Arrivate a Tanabe siamo state accolte dal torii Oyunohara, impossibile non vederlo, è il torii più grande al mondo.

E’ chiamato, da alcuni, anche il Torii delle risaie, poiché si erge, enorme, dai campi di riso tutt’intorno. E’ considerato un luogo di grande forza energetica, che aiuta a ricaricarsi. Sarà vero, non sarà vero, non so. So che stare lì era bello, oserei dire maestoso come il suo torii. Nel cielo sorvolava continuamente un’aquila, anche a basse altezze, sembrava un guardiano del luogo.

A poca distanza c’era un santuario piccolo piccolo, dedicato a Ubutasha, il Kami delle donne.

Abbiamo visitato anche il famoso Santuario Kumano Hongu Taisha (di cui come al solito non ho foto), perché già sapete della mia passione per le statuine o per le persone. Qui ho fotografato le persone davanti al “saisenbako”.
Sì, se ve lo chiedete, l’ho fatto anche io.

Momento cultura. Inizio
Davanti all’altare ci si inchina di fronte al “saisenbako” (la cassetta devozionale), si fa l’offerta, e a quel punto si tira la corda per far suonare la campana che scaccerà le entità cattive. Si fanno due profondi inchini, due battiti di mano, mentalmente si recita una preghiera, un ultimo inchino e si va via.
Momento cultura. Fine

Tardo pomeriggio siamo ripartite alla volta di Shingu, dove nonostante non fosse tardissimo, la città sembrava deserta. Nei piccoli centri, per la cena e il pranzo, hanno orari diversi da noi.

Abbiamo acquistato a un kombini la cena e ci siamo ritirate a bere birra e makgeolli (vero che il sospetto che sia una vacanza un pochetto alcolica, diventa sempre più realtà?).
Il giorno saremmo partite verso Atashika, ma questo è un altro post.

KUMANO KODO – NACHI (e l’albero della rinascita)


Siamo partite la mattina presto dalla cittadina di Shingu per arrivare alla cascata di Nachi. Shingu è in un posto strategico, con i mezzi puoi arrivare al Koumano kodo (alle sue spalle) o sull’oceano pacifico (che è di fronte). Di quella mattina ho amato la città con i suoi spazi vuoti, la donna uscita da film e l’arrivo all’altra cittadina, anch’essa semivuota.

Abbiamo preso un altro bus e ci siamo dirette alla cascata di Nachi.
Imponente è ho detto tutto.

Il luogo è bellissimo, e capisco perché viene considerato un luogo dove vive un Kami. La cascata è considerata, insieme a tutto il Kumano kodo, patrimonio Unesco, e fa parte dei siti sacri. E’ la cascata più alta, a salto ininterrotto, del Giappone (ve ne sono altre più alte, ma con salto d’acqua interrotto). Al solito io non fotografo i santuari o templi, ma mi perdo con animaletti e statue.

Potrei scrivere molte cose di questo luogo, ma non renderebbero mai la sensazione, e quindi lascio fare alle foto. Foto che hanno anche loro limiti. Non possono farvi sentire il calore del sole tra gli alberi, il fruscio del vento, la pace che avvolgeva tutto, la camminata sotto gli alberi, gli scorci di paesaggio.

Posso capire il perché della nascita della religione shintoista dopo aver visto questi luoghi.

Prima di andarcene dal Santuario Kumano Nachi Taisha, io e Paola abbiamo attraversato l’albero della rinascita. Un albero cavo che attraversi da una parte, sali e riesci dall’altra. Se lo attraversi, ti assicuri un’altra nascita. Io ero indecisa se farlo, pensavo “Un altra vita… non so se ce la posso fare”. Paola mi ha convinta e lo abbiamo attraversato… quindi portate pazienza, dovreste subirmi ancora in un prossimo futuro, non ben definito, insomma prendetevela con lei!

Momento cultura. Inizio
L’albero di cui ho scritto sopra è nel santuario, e un grande albero di canfora. Quest’albero ha quasi un migliaio di anni ed è considerato sacro. Il suo tronco cavo (naturalmente) permette di entrare al suo interno.
Momento cultura. Fine

Andate via ci aspettava il Santuario Kumano Hongu Taisha e il suo imponente torii, ma questo è un altro post.

SHINGU (Quando tutto il Giappone ha sospettato che la nostra fosse, un pochetto, una vacanza alcolica)


Siamo arrivate a Shingu con il buio. Avevano preso alloggio per un paio di notti presso un tempio a circa un chilometro dalla stazione, quindi la nostra opzione dopo un’intensa giornata e con quel buio è stata di prendere un taxi.

I taxi giapponesi sono davvero particolari, hanno i centrini della nonna sulla parte alta dei sedili, sia posteriormente sia anteriormente. I tassisti guidano con i guanti bianchi e ti fanno entrare (e uscire) solo dal lato sinistro dell’auto. Quando paghi in contanti, ti mettono il piattino dove appoggiare i soldi (ma questo un po’ ovunque). Non ho foto mie dei taxi che ho preso, metto quindi una foto presa in rete, per farvi capire meglio quello che ho scritto.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Il tassista ci ha portato a destinazione (pensavamo) e aprendo il portabagagli ha preso i nostri zaini, nel farlo dallo zaino di Paola è caduta una bottiglia da circa un litro che aveva messo a lato. Vedendola a terra il tassista, ridendo, ha esclamato: “Makgeolli!!”.
Credo che anche lui abbia pensato che, un pochetto, la nostra era una vacanza alcolica.

Ci siamo fatte riconoscere subito. Ora non sto neppure a spiegarvi nei dettagli, sappiate che una volta partito il tassista, stavamo per entrare in un altro tempio (dove ci aveva lasciato) e che abbiamo visto arrivare dall’altro lato della strada il nostro monaco in ciabatte dicendo: “No, no… come me!” agitando la mano, e portandoci dall’altra parte della strada a pochi metri. Stavamo entrando in un tempio diverso, dove dal numero di scarpe esposte, probabilmente c’era una funzione.

Il nostro monaco (Sasaki) ci ha accompagnato alla nostra stanza fronte tempio (suo), questa volta giusto. Ha cominciato a farci vedere come usare le cose e dove erano i futon.

Il mio primo futon, ho dormito benissimo

Sasaki, poi aprendo il frigo e indicando sulla cucina delle bottiglie enormi ci ha detto: “Drink”. Paola, a quel punto, chiede (il monaco un po’ di inglese lo parlava) come facciamo a pagare, i bottiglioni erano davvero grandi e non avremmo bevuto tutto. Lui ci guarda stupido e risponde: “Free”.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Detto ciò, però devo anche sottolineare che comincio a sospettare che, in Giappone, si sia sparsa la voce che forse la nostra vacanza, era un pochetto alcolica. Se guardate la foto qua sotto, due bottiglioni di sakè, uno di prugna e un’altro di qualcosa di non ben identificato sul ripiano della cucina e nel frigo birre, lo sospettereste anche voi.

Al monaco Sasaki è andata bene, perché noi ormai eravamo cadute nel gorgo del makgeolli, e a parte un paio di birre, non abbiamo toccato nulla, la sera eravamo dedite al vino di riso coreano.

Questo è stato il nostro arrivo a Shingu, il giorno dopo ci aspettava una cascata e un po’ di templi, ma questo è un altro post.

SHIRAHAMA (Oceano pacifico e onsen)


Abbiamo salutato Kyoto con questo azzurro, la nostra meta finale era Shingu, ma avremmo fatto tappa a Shirahama, sull’oceano pacifico, e questo azzurro era l’ideale per quello che avevamo in mente.

Kyoto Tower

Arrivate a Shirahama stazione, abbiamo preso un bus che ci avrebbe portato qualche chilometro più avanti, dove ci aspettava un onsen a cielo aperto fronte oceano.
Non ho foto dell’onsen e/o all’interno perché (chiaramente) è vietato scattare foto, essendo tutti nudi come mamma ci fece. Noi siamo andate a un onsen pubblico, quindi con separazione uomini-donne. In particolare questo onsen era frequentato solo dagli abitanti del luogo (i posti migliori) e costava pochissimo, 500¥ che al cambio diventavano 3€.

Saki-no-Yu Onsen

Questo era il primo ingresso, si scendeva ancora una ventina di metri e ti trovavi fronte oceano, al vero ingresso dell’onsen.

L’onsen è una sorgente termale naturale d’acqua geotermale calda della terra (il lato positivo dei vulcani).  L’acqua degli onsen giapponesi è considerata tra le più curative al mondo.  Cosa fa? Tra le tante cose, migliora la circolazione sanguigna, abbassa lo stress, aiuta nei dolori articolari e fa diventare la pelle più sana e bella.

C’è un’etichetta per entrare negli onsen: lavarsi prima di entrare e una volta entrati essere rispettosi degli altri, quindi non parlare a voce alta, non nuotare, non fare spruzzi e tenere i capelli legati lunghi in modo che non entrino nell’acqua.

In alcuni onsen è vietato entrare con i tatuaggi. Io e Paola siamo portatrici sane di tatuaggi, prima di entrare abbiamo chiesto se potevamo farlo; in questo era possibile (ormai moltissimi permettono i tatuaggi).

Consigliano di non restare in acqua troppo a lungo (io non sarei mai uscita), perché immersioni prolungate possono disidratare (pare assurdo poiché si è in acqua). Le donne locali, di tutte le età dai pochi anni agli ottanta, infatti, rimanevano 10/15 minuti, e poi uscivano. Inoltre sarebbe meglio non lavarsi una volta terminato, così che i minerali contenuti nell’acqua termale continuino a lavorare sulla pelle.

Uscite dall’onsen abbiamo fatto un giretto lì intorno, anche alla ricerca di un kombini. Non avete idea di quanto io ami questi paesini, dove il decadente e il lussuoso, coabitano senza problemi a distanza di pochi metri.

Come la chiamano loro Wabi Sabi? La bellezza dell’imperfezione e della transitorietà.
Forse vi parrò strana, ma io trovo una poesia struggente in questo, forse complice anche un carattere con una vena varicosa di malinconia, fin dalla nascita.

Non solo, a volte trovi il kitsch, che ti domandi perché e trovi tombini che vorresti portarti a casa.

Alla fine siamo riuscite a trovare un 7-eleven dove comprarci la cena (saremmo arrivate tardi a Shingu, nel nostro hotel tempio) e la merenda. L’onsen ci aveva messo una fame incredibile. E lì ho trovato un pezzo di Italia, che mai avrei pensato di trovare in un paesino della prefettura di Wakayama.

Con la cena e la merenda nel sacchetto siamo ritornate alla stazione per prendere il treno che ci avrebbe condotto a Shingu. Non so se lo sapete, ma in Giappone non puoi mangiare camminando. Puoi solo nelle aree attrezzate (se ci sono, e non sempre ci sono) dei kombini o dei locali che vendono cibo. Quindi eravamo in stazione con una fame tremenda e la non possibilità di mangiare. Abbiamo visto delle panchine imboscate e abbiamo chiesto al capostazione se potevamo mangiare lì. Lui gentilissimo ci ha dato il permesso, praticamente eravamo accanto alla zona fumatori (è vietato anche fumare all’aria aperta se non nelle apposite zone).
Ragazzi, nonostante il permesso, mi sembrava di commettere un atto altamente illegale!

Finita la merenda, avendo ancora molto tempo prima dell’arrivo del treno, abbiamo deciso di fare un giro della zona, e siamo piombate in un anime di Makoto Shinkai.

Magliette appese alla finestra ad asciugare,
è stato un attimo sentirsi dentro un anime di Makoto Shinkai

Passeggiavamo in questo paesino di campagna nel nulla, silenzioso e solo con noi che camminavamo, con immagini davvero da anime.

All’improvviso, tra magliette stese al vento ad asciugare, distese di campagna verde e arance che maturavano lungo la strada, è partita in lontananza, ma ben udibile, la campanella della scuola.
Se non siete otaku (grandi o piccole che sia), se non avete visto almeno un anime, non potete capire la commozione di sentire quell’inconfondibile suono, la campanella della scuola (uguale in tutto il Giappone), quella che segna l’inizio e la fine della scuola (quindi noi sapevamo che erano le cinque del pomeriggio).
E niente… piombate del tutto nel mondo di Makoto Shinkai e Hayao Miyazaki!

Dopo esserci riprese dall’intenso momento di commozione della campanella, siamo ritornate alla stazione, dove ci aspettava il treno.

Ve l’ho già detto che amo i Giapponesi vero?

Questa era la stazione e il treno che in tarda serata ci avrebbe portato a Shingu, ma questo è un’altro post.

KYOTO (The last day – Inari e Il gran maestro della scuola demoniaca )


Il quarto giorno a Kyoto sarebbe stato anche l’ultimo. La mattina dopo saremmo partite.
Ci siamo alzate presto, avevamo lasciato come ultimo luogo da vedere l’Inari.

Ci siamo dirette alla metro, qui c’era un bambino di circa otto anni disperato (intendo proprio disperato disperato) che frugava nel suo zainetto con i lucciconi agli occhi, agitatissimo. Mi sono bloccata, so che in Giappone la sicurezza è tale che anche i bambini possono andare in giro da soli, e che nella loro cultura si educano subito all’indipendenza, ma a me i lucciconi (di quel tipo, non quello dei capricci) di un bambino smuovono un istinto che di solito non ho, quello materno.

Ho capito che non trovava l’abbonamento, o i soldi per il biglietto, per andare a scuola. Agitatissimo, con il cellulare, deve aver chiamato a casa, ma la risposta non lo ha calmato, anzi, chiuso il telefono, ha svuotato del tutto lo zainetto per terra. Ha trovato delle monete, ha fatto il biglietto ed è corso via. Sono a quel punto sono riuscita ad andarmene.

Non so il motivo per cui ho ancor in mente quel bambino, il suo affrontare da solo le difficoltà e gli imprevisti della vita, in una metro (metro nella quale io, da adulta, non sono ancora capace di muovermi, per dire), così piccolo, così solo in mezzo a centinaia di persone me l’ha inciso nel cuore.

I treni, nell’orario in cui li abbiamo presi quella mattina, sono pieni di uomini e donne che vanno al lavoro e di ragazzi e ragazze con le loro divise scolastiche (quelle classiche da manga per capirci). Continuo a ripeterlo lo so, ma la sensazione di meraviglia è sempre stata quella, sembrava di essere in un manga o in un dorama.

Infine siamo giunte Santuario di Fushimi Inari-taisha. Per gli amici Inari.

Momento cultura. Inizio.
Il Fushimi Inari-taisha è il santuario principale dedicato al Kami Inari (Kami della fertilità, del riso, dell’agricoltura, delle volpi, dell’industria e del successo terreno). Il percorso inizia alla base di una montagna che porta lo stesso nome Inari (loro la chiamano montagna, ma è alta poco più di 230 metri). Bisogna attraversare 1000 torii per arrivare alla sua sommità.

Nel percorso si trovano molte statue che raffigurano delle volpi; sono considerate le messaggere divine del Kami Inari. Secondo la mitologia, alle volpi piace mangiare il tofu fritto (devo essere un po’ volpe dentro).

I torii sono portali, sono a migliaia in Giappone, sono simboli dello shintoismo, una religione molto legata alla natura. La loro presenza avvisa di un ingresso a un santuario o a un luogo sacro. Evidenzia il luogo che separa il regno degli umani dal regno dei Kami. Attraversandolo fai il primo atto/rito di purificazione per entrare nel luogo sacro.

L’origine dei torii è antica. La leggenda racconta che Amaterasu (Kami del sole) per sfuggire a suo fratello Susanoo (Kami delle tempeste), si rinchiuse all’interno di una caverna. Essendo la dea del sole, il suo nascondersi in una caverna, causò un’eclissi.

Gli altri Kami, preoccupati di non vedere mai più la luce del sole, posero davanti alla caverna in cui si era rinchiusa, dei trespoli giganteschi, in modo che degli uccelli dalla lunga coda cantassero per la dea.

Amaterasu incuriosita dal canto degli uccelli apri un varco per vedere. A quel punto un Kami si lancio all’interno della caverna, e lo aprì del tutto. Da quel momento il sole ritornò a splendere sul mondo.

I torii sono quei giganteschi trespoli. Discendenti dai primi trespoli posto dai Kami, dove si appoggiarono gli uccelli, che cantando attirarono Amaterasu.
Momento cultura. Fine

Potevano mancare i miei animaletti? (intendo quelli a destra, sia ben chiaro)

Nonostante la levataccia mattutina, l’Inari era già affollato, siamo riuscite a fare delle foto senza la folla, grazie alla pazienza di aspettare, nel punto che ci piaceva, che non passasse nessuno. Scese dalla montagna, comunque, la golden week colpiva ancora.
Prego la regia di mandare diapositiva della strada che porta al tempio.

Abbiamo fatto ancora qualche giro per templi e poi ci siamo ritornate a Kyoto città, e li ho conosciuto il male: Yodobashi.

Yodobashi non so descriverlo se non come il male, è nato come grande negozio di elettronica, man mano ha aperto delle filiali, e negli anni si è trasformato praticamente in un centro commerciale su più piani (quello di Kyoto) dove trovi di tutto, elettronica, cancelleria, libri, ristoranti, vestiti e cose assolutamente inutili che devi assolutamente comprare. Quindi un luogo dove compreresti di tutto, specialmente quello che non ti serve.

Anche il male, però, ha il suo lato buono, da Yodobashi all’ultimo piano nel settore libreria e manga, abbiamo trovato due cose interessanti.
La prima: una vera macchina italiana per fare il caffè espresso, dove fanno il caffè espresso vero, ed è pure buono!
La seconda: scaffali di manga bl, dove Paola ha avuto lo stesso momento di commozione che io ho avuto al Ponte Togetsukyo. Chiaramente ha fatto acquisti.

Io invece sono entrata in crisi mistica davanti alla foto qua sotto: Manga scritto in cinese, volume uno e due, doveva uscire ancora il terzo. Quest’ultima cosa mi ha impedito di comprarli perché pensavo: “Ma poi non riesco più a prendere il terzo, perché ritorno in Italia”. Classico esempio di quando ragioni male! Avrei dovuto pensare: “Il terzo? Devo ritornare, assolutamente qui in Giappone, quando esce, per compralo”.

Mo Dao Zu Shi (Il gran maestro della scuola demoniaca)
formato manga (in questo caso in cinese), tratto dal romanzo di Mo Xiang Tong Xiu

Il nostro ultimo giorno a Kyoto terminava così. Il giorno dopo saremmo partite per una nuova destinazione, con fermata programmata a metà di qualche ora, ma questo è un altro post.

KYOTO (The second day – trovarsi per un attimo in un BL)


Il secondo giorno a Kyoto piovigginava a intervalli, ma questo non ci ha minimamente fermato. Prima una veloce colazione. Paola con il suo matcha latte e il dolce preferito alla mattina, il *Baumkuchen giapponese. Nel frattempo io m’illudevo, ancora, ordinando l’ennesimo caffè small, ma arrivava sempre una tazza grande di brodaglia bollente (questo fino a quando non ho imparato a far colazione direttamente in stanza, in altro modo).

Il giorno era dedicato alla foresta di bambù di Arashiyama, al sentiero del filosofo e a qualche tempio.

La foresta di bambù era una delle cose che volevo assolutamente vedere nel mio viaggio in Giappone. Sinceramente non è una foresta di bambù, è un corridoio di bambù. Carino per carità, ma le foto che vedete numerose in rete, riguardano quasi esclusivamente quel corridoio.

Mi sono divertita molto di più nel passeggiare nella foresta intorno, e ho scoperto la mia grande passione di questo Japan tour 2024, fotografare statuette di animaletti vari.

Quell’animaletto con il cappellino che vedete, rappresenta Tanuki, un cane procione, porta fortuna. In una mano tiene una bottiglia di sake e una lettera di credito, simboli della buona fortuna nella vita, compresa quella negli affari. Il gufo a lato porta sempre fortuna e in più protegge dalle avversità.

Dopo aver fatto anche una mini passeggiata sul sentiero del filosofo (ahimè la fioritura era ormai un ricordo e quindi in una giornata bigia era meno poetico), ci siamo avviate alla fermata del bus, quando mi si è parato davanti uno scenario che mi ha fatto quasi scendere la lacrimuccia, ho visto il Ponte Togetsukyo.

Lo so a voi non dirà niente, ma a me, consumatrice di lunga data di bl giapponesi, è stato come entrare per un attimo nel dorama. Su quel ponte è stata girata una scena emozionante di Kimi ni wa Todokanai (I can’t reach you).

Preso il bus, ci diamo dirette al tempio Tenryu-ji, considerato dall’unesco patrimonio dell’umanità, con dei bellissimi giardini zen. Tranquille non vi tedio con i momenti culturali, perché ormai ero caduta nella mia nuova passione: fotografare statuette di animali.

In Giappone la parola per dire rana è “kaeru” che significa anche “ritorno”. La rana quindi è diventata il portafortuna di chi viaggia, così si assicura un ritorno sicuro. Il senso “ritorno” va oltre ai viaggiatori, è il ritorno di denaro e di fortuna. Mi dovevo comprare una rana in Giappone e non l’ho fatto.  
Ragazzi, mi tocca tornare là per comprarla!

Il tragitto con il bus verso il santuario di Nyan Nyan-ji (il santuario dove i monaci sono gatti) ci dondolava e ci faceva appisolare, quando all’improvviso Paola mi dice: “Eva! Scendiamo a vederla da fuori!?”. Stavamo passando, per caso, davanti al Toei Kyoto Studio Park, dove da poco avevano messo l’installazione “Evangelion Kyoto Base”.
Ve l’ho detto vero che ho un’amica otaku da almeno 10 vite precedenti?

Siamo scese, ma che fai, se lì, non entri? Quindi siamo entrate al Toei Kyoto Studio Park, ci siamo fatte la foto sull’evangelion e abbiamo girato per tutto il Toei.

Evangelion Kyoto Base

Dopo aver speso, nel parco, soldi in cose assolutamente inutili ma irrinunciabili, abbiamo proseguito verso la nostra destinazione, il santuario dei gatti.

Questo Santuario dedicato ai gatti ha aperto abbastanza recentemente, nel 2016.  Solo nel 2022 ha ordinato monaco un gatto, non loro, che veniva sempre al santuario: Mayo. Dicono che Mayo adempiva i suoi doveri di monaco, accogliendo i visitatori e raccogliendo i loro “desideri” (gli ema giapponesi). Purtroppo Mayo non fa più parte di questo mondo.

Ora, sono sincera, a me è piaciuto (del resto coabito con cinque gatti), ma dal “percepire” veramente questo luogo come santuario a vederlo come posto per acchiappare turisti, è un attimo.

Gli unici gatti che ho visto in giro, sono quelli delle foto, statue. Poi magari siamo state sfortunate e quel giorno tutti i gatti erano a dormire in altri posti, chi può dirlo?

Il lungo viaggio di ritorno ci ha riporto verso Kyoto città. Una volta arrivate abbiamo deciso di cenare fuori, e di farlo a Nishiki, il mercato di Kyoto.

Nishiki, il mercato di Kyoto

Momento cultura. Inizio
Il mercato di Nishiki è stato fondato 400 anni fa, quello di oggi è diverso da quello originario, che era un mercato di pesce all’aperto.
Oggi è una lunga galleria di circa 400 metri di lunghezza e poco meno di 4 di larghezza, dove sono stipati 130 venditori. Vendono quasi di tutto, vestiti, te, bacchette, sakè, utensili, stoviglie, scarpe, pesce fresco, timbri, dolci, e così via, insomma un po’ di tutto.  Ci sono anche tantissimi ristorantini.
Il mercato è molto frequentato (si vede dalla foto, in quel momento non era neppure molto pieno) dai turisti, ma anche dagli abitanti di Kyoto.
Momento cultura. Fine

La fine del secondo, intenso, giorno a Kyoto era giunto alla fine e l’ho terminata davanti alla mia prima tempura di verdure made in Japan. Il fatto che ci siano due birre insieme al cibo è del tutto casuale (credeteci…).

Kyoto – Nishiki – Tempura di verdure

Dopo questo saremmo andate a riposare. Il terzo giorno a Kyoto ci aspetta.

*Baumkuchen giapponese = Il Baumkuchen è un dolce di origini tedesche. I giapponesi lo hanno fatto proprio. Il nome del dolce (in tedesco) significa “torta albero”, deriva dal fatto che ha strati concentrici interni che lo fanno assomigliare alla sezione di un tronco d’albero tagliato.

KYOTO (The first day – Obiettivi e makgeolli )


Il viaggio verso Kyoto è stato lungo, abbiamo preso tre treni, non che la cosa mi abbia disturbato. Nei viaggi lunghi leggevo o mi perdevo nell’osservare la “fauna” umana che li riempiva e svuotava a ogni stazione.

Una volta giunte a destinazione nel nostro bellissimo albergo, posate le valigie, siamo subito partite verso la zona templi. Vi tranquillizzo non parlerò di tutti i templi che abbiamo visitato (sono tanti e il mio goshuin ne è testimone), ma ogni tanto di qualcuno si.
Il primo tempio è stato il kinkaku-ji temple, conosciuto anche tempio del padiglione d’oro, e nonostante la giornata non fosse soleggiatissima, la foto che ho fatto, ne fa capire il motivo.

Il kinkaku-ji è chiamato anche tempio del padiglione d’oro

Momento culturale. Inizio
Il tempio inizialmente fu costruito nel 1397 come abitazione dello shogun Ashikaga Yoshimitsu. Dopo la sua morte, il figlio convertì la villa in un tempio zen.
Come quasi tutti i templi e i castelli in Giappone, essendo costruiti in legno, fu distrutto dagli incendi. Questo è il motivo per cui sono quasi tutti ricostruiti e ristrutturati.
Momento culturale. Fine

Nel parco del tempio, lungo il sentiero, ti trovi a lato queste incisioni su pietra (presumo rappresentino il Buddha). Dovevi lanciare una monetina e centrare le ciotole. Se ci riuscivi, avresti avuto dalla tua la fortuna (e i monaci molte monetine come offerta). Non ci crederete, ma al primo tiro ho centrato la ciotola di pietra. Credetemi non era facile ma questo viaggio, lo dico da quando ho deciso di farlo, era baciato dalla fortuna.

foto non mia, del resto non potevo, insieme, lanciare la moneta e fotografarmi

Altra particolarità che abbiamo trovato all’interno, ma che potete trovare ovunque, sono i secchi d’acqua, per strada, vicino alle case e i sekimori ishi in alcune zone.

I secchi d’acqua servono come prevenzione negli incendi. In Giappone, specialmente nei piccoli centri o nei quartieri più “antichi”, le case sono costruite in legno o parzialmente con esso, e i secchi d’acqua fuori alle case, servono per bloccare immediatamente un inizio incendio nella via.

Mentre i sekimori ishi, delle pietre con annodato un cordino nero, servono ad avvisare che di lì non si può passare, in pratica un divieto d’accesso antico.

Kyoto è l’antica capitale e quindi è piena di templi, zone d’interesse storico, santuari, giardini zen a secco e verdi. Ho fatto moltissime foto; a rappresentanza metto questo collage che “parla” della tomba di una principessa, del verde dei loro parchi e di un Kami*.

Il pomeriggio del primo giorno a Kyoto siamo andate all’Horin-ji temple (daruma-dera), il tempio dei Daruma di Kyoto (ne esiste uno più grande a Osaka).

I Daruma e un Daruma ricoperto di Ema

I Daruma, sono bambole votive giapponesi, rappresentano Bodhidharm, il fondatore e primo patriarca dello Zen. Usando un inchiostro nero, bisogna disegnare un solo occhio (o il cerchio dell’occhio), esprimendo un desiderio/obiettivo che si vuole raggiungere.
Quando l’obiettivo è realizzato, si deve disegnare anche il secondo occhio (o cerchio il dell’occhio) e riportarlo al tempio dove si è preso.  Se però entro un anno l’obiettivo non è raggiunto allora il Daruma deve essere bruciato.

Io ho preso un Daruma, non ho ancora espresso l’obiettivo, devo ponderare bene prima, cosicché si realizzi e sia obbligata a tornare in Giappone al tempio dove l’ho preso!

Il primo giorno a Kyoto volgeva al termine, e quindi vuoi non andare nuovamente in un *izakaya, fronte bancone, a mangiare? Stranamente vedete ancora della buonissima *nippon biru in foto.

Infine nota aggiuntiva dell’ulteriore dipendenza che ho creato a Paola. Anche se eravamo in Giappone, le ho fatto assaggiare il *makgeolli.

Inutile dirvi che è diventato il nostro rito serale la sera prima di dormire, mezzo litro in due, contenendoci, solo per non finire tutte le bottiglie acquistate, in una sera (Se continuate a sospettare che questa sia anche una vacanza alcolica, un pochetto, continuate, ad avere ragione).

*Kami = indica una divinità o uno spirito soprannaturale. È tradotta con la parola  “dio”, ma non esattamente questo, o meglio non solo.  E’ considerato anche come un principio, una forza della natura, uno spirito che alberga nelle e piante o nelle montagne (per esempio) e chiaramente anche come divinità.

*Izakaya = un locale dove sedersi per bere e mangiare qualcosa, usato dai giapponesi come cena post lavoro.

*nippon biru = letteralmente birra giapponese (credo di non aver mai bevuto così tanta birra in vita mia, come in questo viaggio)

*makgeolli = Il makgeolli è un vino di riso coreano, è l’alcolico più antico mai prodotto in Corea (Vi avviso, attenzione nella sua assunzione, crea dipendenza).

PS: La foto finale qua sotto è stata fatta per la sorpresa nel vederli.
Se vi domandate se sono impazzita, no, non lo sono. In Giappone, non esistono cestini in giro per le città, l’immondizia che produci la devi portare a casa e smaltirla lì. Quindi quando ho visto (all’interno di un complesso di templi) questi due cestini, ho pensato “Esistono!”

Esistono!

OSAKA (Wei Wuxian e il romanticismo 2.0)


Il ritorno da Nara nella carrozza rosa dedicata alle donne, ci aveva riportato affamate a Osaka, però prima di riempire lo stomaco, abbiamo fatto un salto a Nipponbashi, il quartiere otaku.

Ho un’amica otaku, fin nella più profonda cellula interna, e ho commesso l’errore di farle conoscere, tempo fa, Wei Wuxian (leggasi Mo Dao Zu Shi ovvero Il gran maestro della scuola demoniaca). Nonostante lei abbia già comprato un’action figure che lo rappresenta, siamo andati alla disperata ricerca di un’altra action figure specifica. Ricerca infruttuosa, nonostante abbiamo fatto una ricerca in più negozi, ahimè (ma conoscendola so che non è finita, ci toccherà tornare in Giappone).

Lo stomaco reclamava la sua parte e quindi ci siamo decise di metterci alla ricerca di un localino per mangiare, la scelta è caduta su una “rameria”. Il locale era il classico izakaya*

Ed ecco a voi, il mio primo ramen, vegan, e stranamente una birra giapponese sullo sfondo. Era buonissimo (della birra neppure lo specifico) e mi dispiace di non esser più riuscita a mangiare ramen in Giappone, dovrò porci rimedio e ritornarci!

Post cena, decidiamo di ritornare all’albergo a piedi, nel camminare incrociamo più volte i negozi “acchiappa soldi”. Sono i Gashapon, negozi, letteralmente, ripieni di macchinette distributrici di gadget (di cui metto foto non mia), sono ovunque.

All’interno trovi anche le classiche macchinette che ci sono anche da noi, quelle con la pinza a tre punte, per cercare di acchiappare i peluche situati all’interno, che non riesci a prendere mai. Avrei voluto tanto prendere uno di questi peluche, ma saggiamente mi sono trattenuta, avrei speso tutti i soldi del viaggio lì!

Lo volevo tanto, ma tanto, uno di questi peluche, dovrò porci rimedio e ritornarci!

Superato il temibile pericolo della macchinetta dei peluche, ogni due per tre, incrociavo questi distributori di bevande (non scherzo sono ovunque e tantissimi), vuoi non prendere un buonissimo succo di mela? (Hirosaki ha lasciato il segno)
Ora non so voi, ma di notte, vedermi la città costellata di queste luci colorate ad altezza uomo, me la rendeva stranamente romantica.

romanticismo 2.0

Quella sarebbe stata la nostra ultima notte a Osaka (per il momento), il giorno dopo saremmo partite per Kyoto, dove ci saremmo fermate per qualche giorno. L’ultimo saluto alla città è stato, in notturna, con questa foto dalla camera dell’albergo.

La torre Tsutenkaku, simbolo di Osaka

*Izakaya = la parola è composta dalle parola “i” (sedersi), saka (bevanda alcolica) e ya (negozio). In pratica un locale dove sedersi per bere e mangiare qualcosa, usato dai giapponesi come cena post lavoro. Hanno quasi sempre, all’ingresso, quei tavoli, lunghi e stretti, fronte cuoco, quelli che ti fanno sembrare di essere in un dorama.

NARA (come farsi pizzicare il sedere da un cervo)


Goshuin dentro lo zaino, quest’ultimo in spalla, ci siamo dirette ai trasporti pubblici per andare in direzione Nara.

A proposito di trasporti pubblici (efficientissimi in qualsiasi posto siamo andate), in questa sede faccio un sentito ringraziamento a Paola, che ha fatto da “public transport navigator”. Senza lei, sarei riuscita a spostarmi lo stesso (forse), ma avrei impiegato almeno il triplo del tempo, prendendo bus sbagliati e/o direzioni della metro errate.

Nara è grande, molti sono i suoi templi, e noi ne abbiamo visitati alcuni, tra cui il Kohfuku-ji, Todai-Ji, Nigatsu-do (il momento cultura lo rimando alla fine del post) e il Santuario Tamukeyama Hachimangu. Di quest’ultimo vi parlo subito, perché per me rimarrà il santuario shintoista delle colombe.
Sappiate che se fossi vissuta ai quei tempi sarei stata shintoista (ma anche parzialmente buddista).

Il Tamukeyama Hachimangu Shrine è il santuario dedicato all’adorazione del kami Hachiman, dio della guerra, dei samurai e protettore del popolo giapponese.
Gli ema* in questo santuario non sono di legno, ma sono dei cerchi di carta con stampato due colombe che tubano e formano un cuore. Ora come un dio della guerra abbia come simbolo un cuore e due colombe che tubano, è una cosa che solo in Giappone e il suo sincretismo può accadere (ve lo già detto quanto li amo?).

Gli ema del Tamukeyama Hachimangu Shrine

Chiaramente qui ho espresso il desiderio e appeso l’ema, e no, non lo trovate nella foto, l’ho opportunamente ritagliata. I desideri per realizzarsi devono rimanere segreti fino alla loro realizzazione.

Nara ha un’estensione territoriale importante, e al suo interno vi è un parco dove i cervi girano liberi. Sono cervi ormai addomesticati dalla continua presenza dei turisti e abituati al contatto umano…. a volte fin troppo.

All’interno troverete dei venditori di “biscotti per cervi”, in modo da potergli dare da mangiare senza dargli del cibo nocivo per loro. Se voi farete l’inchino di saluto e rispetto, loro lo faranno a voi, poi, però dovrete dargli un pezzo di biscotto!

Come ho scritto sopra a volte son troppo abituati al contatto umano, tanto che un cervo avendo capito che ero “un’umana detentrice di biscotti nella borsa”, mi ha seguito e pizzicato con la bocca, almeno un paio di volte, il sedere.

Momento del reciproco rispettoso inchino e quello dove il cervo mi ha pizzicato il sedere

Momento cultura. Inizio
Sapete perchè Nara è pieno di cervi? I cervi, nello shintoismo, sono considerati messaggeri di Dio, e quindi intoccabili.
Momento cultura. Fine

All’interno del parco e dei templi abbiamo girovagato a lungo prima di andarcene e nel farlo, ho letto che il complesso dei templi e santuari di Nara è gemellato con il cammino di Santiago. Come amo queste fusioni oriente/occidente.

Spesso all’interno dei templi buddisti potete trovare delle stoffe colorate appese, esse rappresentano i cinque tipi di Buddha Dhyani, e ogni colore ha un significato:
BLU – la compassione verso tutti gli esseri senzienti e lo spirito di pace;
GIALLO – la Via di mezzo dell’insegnamento del Buddha Shakyamuni, lontana da qualsiasi estremo;
ROSSO – i doni della pratica spirituale e meditativa;
BIANCO – la purezza e la liberazione;
ARANCIONE – la saggezza dell’insegnamento del Buddha.

Non sono una grande “fotografatrice” di templi e monumenti, a parte qualcuno. Come avrete notato sono altre le cose che mi colpiscono e attirano la mia attenzione, ma ci sono scorci che mi piacciono, questa foto sotto, è uno di questi.

Al ritorno, verso la nostra ultima sera/notte a Osaka, abbiamo incontrato un mercatino in una piazza, una specie di piccolo bio mercatino, ed io da vegana mi sono “commossa” (perché oggi non è così semplice essere vegani in Giappone) davanti a una bancarella di dolci vegan.

Momento veganesimo che è in me. Inizio.
Il Giappone è stato per secoli un paese vegetariano (dopo l’arrivo dei buddisti), o quasi, il pesce era consentito. Successivamente nel 675 l’imperatore Tenmu emise una legge imperiale in cui si proibiva il consumo di carne animale. Nel decreto era illegale consumare carne di manzo, cavallo, cane, pollo e scimmia, ed era punita severamente la sua inosservanza. Secoli e secoli dopo, con l’arrivo dei gesuiti portoghesi, e successivamente con gli inglesi, e la loro cocciutaggine (gli occidentali e i loro tentativi di colonizzazione esportano sempre il peggio), si ruppe questo tabù e da allora il consumo di carne è stato un continuo incremento, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, e con esso l’aumento delle malattie legate all’eccessivo consumo di carni e grassi animali.
Momento veganesimo che è in me. Fine

Nella metro di ritorno a Osaka ho scoperto l’esistenza in Giappone dei vagoni rosa della metro, in cui in determinate ore possono salire solo donne (di solito orari di punta e dopo una certa ora). La foto non è mia, ma recuperata dalla rete.

Questa iniziativa è partita nel 2005 quando vengono istituite. Questo a causa del triplicarsi, dal 1996 al 2004, dei casi molestie sessuali sui mezzi, con la scusa del sovrappopolamento.

Ora dovrei parlarvi dell’ultima mia sera a Osaka prima di partire per Kyoto, ma sono stanca io di scrivere, figuratevi voi di leggere. Farò un breve post domani per quello.

Ora invece come scritto all’inizio…

Momento cultura. Inizio
Kohfuku-ji Temple: era il principale tempio buddista del clan Fujiwara, rimase un centro importante per tutto il tempo in cui il clan prosperò. Il tempio non solo era un importante centro per la religione buddista, ma manteneva anche l’influenza e controllo sul governo imperiale, spesso anche con “mezzi aggressivi”.
Sappiate che a quei tempi i monaci buddhisti erano molto meno pacifici di quelli attuali.

Todai-Ji Temple: era un centro per rituali per la pace della nazione e la prosperità del popolo, al suo interno formavano monaci eruditi che studiavano la dottrina buddista.

Nigatsu-do Temple: è una delle strutture importanti all’interno del complesso del Tōdai-ji, comprende, il Nigatsu-do a sua volta comprende diversi edifici.
Momento cultura. Fine

Ema Giapponesi = Piccole tavolette di legno nelle quali i fedeli scrivono desideri e/o preghiere. Vengono poi appese all’interno della zona del santuario, così che i Kami, le divinità Shintoiste, possano leggerli ed aiutare le persone.

OSAKA BY NIGHT (tra odore di fritto e neko)


Ho preso quattro aerei in due giorni, di cui uno intercontinentale, uno da uno stato all’altro e due voli interni, per ritrovarmi verso sera ancora a Osaka.

Avevamo appuntamento per cena con due amici di Paola, anche loro in transito a Osaka, nel loro viaggio in Giappone, ma prima, avendo un’amica otaku fino al midollo ed essendo l’ultimo giorno della Given exhibition a Osaka, vuoi che lei non sia andata di corsa (stava per chiudere) a vederla?

Io sinceramente no, io anelavo alla doccia della camera d’albergo, così ci siamo separate, ci saremmo ritrovate dopo per andare a cena con i suoi amici.

Paola è andata alla Given exhibition, ma mancando meno di dieci minuti alla chiusura, non volevano farla entrare. Questo fino a quando, visti i lucciconi (e suppongo la sua insistenza), non si sono mossi a pietà e l’hanno fatta entrare (con il suo massimo godimento, anche se ha dovuto vederla un po’ di corsa) e di cui abbiamo prova, grazie alla regia che ci manda diapositiva.

Given exhibition presso Animate Osakanipponbashi

Nel frattempo io ero nel bagno dell’albergo che litigavo con la doccia, non capendo come funzionava… finendo per fare il bagno, al suo posto, per disperazione (il giorno dopo ci siamo fatte dire come funzionava, e quindi mi sono sentita molto baka*, dopo la spiegazione da parte degli addetti).

In qualche modo siano arrivate all’appuntamento stabilito, sotto il Glico a Namba. Fino a quel momento io non sapevo che cosa fosse il Glico, e cosa rappresentava.
Il “Glico man” è un’insegna luminosa rappresentante un corridore con le braccia alzate che torreggia a Dotonbori, l’aerea commerciale di Namba, è divenuto il simbolo stesso della città.

In questo caso la foto non è mia, non sono riuscita a scattarla per la marea di gente, era per farvi vedere di cosa stavo parlando.

Osaka è una città molto viva e giovane, leggevo che a molti non era piaciuta, non “diceva molto”, io invece l’ho amata (lo so, mi direte ma tu cosa non hai amato del Giappone?!).
Ho amato la sua confusione ma con lo spazio vitale, ho amato tutte le sue luci, ho amato la popolazione così giovane e viva, ho amato tutte le sue biciclette, quei fili della corrente aggrovigliati e la puzza di fritto che aleggia la sera a Dotonbori, quella che t’impregna i vestiti anche se sei all’aria aperta.
L’ho amata. Punto.

Dotonbori – il “naviglio” di Osaka

Abbiamo passeggiato alla ricerca di un posto dove cenare, praticamente ogni metro c’è un locale dove mangiare. Mentre scegli sei circondato dagli odori del cibo e dalle luci colorate, insomma un luna park “mangiogodereccio”.

Dopo cena ci siamo incamminate verso l’albergo, incrociando anche un neko* che, da una via laterale accanto a un tempietto, osservala la città e le persone, facendosi coccolare da quest’ultime (chiaramente l’ho coccolato anche io).

Io amo i gatti (ne ho cinque), amo gli animali in genere, e ho notato che, diversamente da noi, il micio in piena città con la folla, non aveva paura degli umani.

La seconda serata a Osaka, ma effettivamente la prima, si concludeva così, con il cominciare a rendermi conto effettivamente, che sì, ero davvero in Giappone e non stavo sognando.

Il giorno dopo ci aspettava Nara, i suoi cervi e i suoi templi, ma quello è un altro post.

*baka = stupido, idiota
*neko = gatto