DISCONTINUA


Devo a La bloggastorie l’avermi spinta a far foto spogliandole dai colori. Nel farlo mi son ricordata che io vivo nel “bianco” e nel “nero”. Il grigio, nella vita, non lo vedo, ma amo le foto grigie. Danno spessore a particolari che, nei colori, si nascondono.

Ma, questa terra, la vivo attraverso i colori forti, intensi, decisi

Lasciandomi abbracciare dai colori della mia anima

Tutto questo per dire, ancora, anche oggi, che sono grata a questa vita. Anche in questo momento in cui il mio cuore vibra in maniera discontinua, ma grazie a questo, “sento” il mondo da un punto di vista diverso, lo vedo con la pelle e questo espande il mio vivere.

GLI STIVALI DI GOMMA ROSSA


Vorrei infilarmi un paio di stivali di gomma rossi da pioggia.
Rossi come quelli che mi comprarono quando ero in terza elementare, li indossai, saltellavo felice in casa, pensavo domani li metto.
Per due mesi non piovve.

Vorrei metterli e uscire da qui, passeggiare con il mio cappello da pioggia, senza ombrello, lungo le sponde di questo lago in cui acqua e cielo, oggi, si confondono nello stesso colore.

Ho sempre detestato gli ombrelli, li perdo, li dimentico, non fanno parte di me. La pioggia mi piace addosso se leggera, o vederla, appoggiata con il naso alla finestra, se è forte.

Ma divago, dicevo vorrei uscire da qui, passeggiare con il mio cappello da pioggia, i piedi caldi nei miei stivali rossi. Ho “pensieriemozioni” che premono per uscire, e non vogliono farlo rinchiusi in quattro mura, pretendono ampio spazio intorno a loro. Chissà se è per questo che ho questo mal di testa latente.

I primi freddi portano sempre in superficie la malinconia di cui sono intrisa. Quella che sente la mancanza e i vuoti, quella fatta di rosa antico, carta da zucchero e un filo di perle.

Se uscissi da qua con i miei stivali, mi notereste subito. Puntini rossi nel grigio.

Adagio il mio umore sul tempo e questo si nutre di pioggia e piange. Io no.
rain

TENSIONE EVOLUTIVA


Venerdì, mi è stato detta una cosa che già sapevo, ma sentirla dire a voce, da quella voce, è stata come l’ultima onda di uno tzunami, quella che si porta via tutto ciò che era vivo e dietro se lascia morte e macerie.
Ho guardato quello spettacolo di vuoto da ripulire, non è cosa da poco.
Del resto funziona così, per far arrivare il nuovo bisogna spazzare il vecchio, o almeno così dicono. Saperlo, in ogni caso, non mi ha fatto sentire meno amaro in bocca, per due giorni il pensiero tornava, mi lambiva la mente, anche di notte.  L’amaro è un sapore che resiste in bocca.

Sabato pranzo fuori, vetrata vista lago. Il cielo grigio, la pioggia, le nuvole cariche e il vento che fa muovere l’acqua del lago in piccole onde rabbiose. Osservo quel mondo freddo dal caldo del locale. Guardo quel paesaggio che conosco così bene, è casa, ma sento anche quella fitta che trapassa, è il tempo veloce che passa e che non è ben speso. Quella fitta ha un nome, rimpianto. Rimpianto di un tempo senza tempo, speso in sogni e progetti.

Cresce questa necessità di cambiare. Dovremmo ogni tot anni cambiare luogo, paese, abitudini, gente, lavoro. Perchè dove viviamo conosciamo, pian piano, tutto alla fine.  Questo ci toglie il piacere della scoperta, del tempo, del viver, del posto e delle persone.
In questo pezzo di terra, ci abito da una vita, so a memoria la pianta della città, so dietro ogni via cosa si cela, non c’è più vita e vivacità nel mio girare qui, tutto visto e rivisto. Ogni luogo ha un ricordo e una sua memoria che affiora, non lascia spazio a che se ne creino di nuovi.
Dovrei, vorrei andarmene, questo posto ormai mi consuma senza darmi niente in cambio. Mi blocca la paura, come sempre. Io e il mio bisogno di certezze, pur sapendo ormai, che di certezze la vita non da.

Sospiro, il mio oroscopo dice di portare pazienza, che arriverà l’estate. Non ho pazienza, ma so che nel mio mondo non ci sono solo splendidi papaveri rossi, ma anche giornate di pioggia che accompagnano e fanno scivolare in profondità.
Devo solo ricordarmi di aprire l’ombrello, quando la pioggia è troppo forte, se poi lo trovo del colore dei papaveri, ancora meglio.

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LUCCIOLE D’ACQUA


Esci tranquilla con gli amici dicendo “dai ci facciamo solo una birra, una cosa tranquilla” e ti ritrovi il sabato sera a vagare vestita da pedina da dama vivente per un borgo antico e a far parte del gioco.

Questo è quello che è accaduto nella prima parte di sabato sera, eccomi a giocare e a domandarmi perchè mai a tutte quante le altre la camicetta si chiude sulla cassa toracica e a me invece una distanza di circa 15 cm impedisce la chiusura della stessa. Per qualche secondo mi è sembrato di esser tornata ai miei quattordici anni, quella sensazione di disagio, quando andavo a scuola con i libri schiacciati sul petto cercando di nascondere la mia italianità, mentre nel mondo ormai il modello “Twiggy” aveva tracciato solchi di inumana stupidità femminile che perdura tutt’oggi.
Pochi secondi e poi un vaffanculo! Alla mente il detto di mia madre “Meglio far invidia che compassione”.

Forte della mia quarta, tendente alla quinta, capacità di far invidia, siamo passati da un borgo antico a monte a un borgo antico a lago. Una festa della birra artigianale dove due amici ci aspettano per proseguire nella serata “dai ci facciamo solo una birra, una cosa tranquilla“. Qui in mio onore mi son scelta la “red milf” una rossa di carattere, peccato che a differenza di molte rosse che son amare ma lasciano un retrogusto dolce in fondo, questa alla fine rimaneva acida. Ho sperato di non far la stessa fine.

Con queste premesse è partita una di quelle sere in cui tiri tardi senza far niente, quelle serate in cui nascono i tormentoni con cui ci si prenderà in giro nei mesi a venire (la parola cult nata sabato notte è brina). Una di quelle sere in cui, in questa estate, ho un rapporto viscerale con l’acqua del lago. Ogni volta l’istinto di buttarsi dentro è forte.
Stavamo per farlo ad un certo punto, ma poi la serata ha virato sul bicchiere della staffa su un’altra lacustre insenatura con il montenegro in mano, l’aria tiepida, la notte scura, lo sciabordio dell’acqua e le chiacchiere demenziali che proseguono.

In queste sere guardo il cielo, ascolto l’acqua e mi rendo conto di quanto io ami questa terra. Le mie radici non sono cresciute qua, ma hanno attecchito in riva a questo lago. Lo hanno fatto a mia insaputa mi dico, osservando con uno struggimento che non so spiegare, le luci riflettersi sull’acqua come fossero lucciole.

Son serate come queste che mi fanno capire, che lo star bene nasce dentro di noi e si espande all’esterno contagiando il fuori e gli altri. Se  in un gruppo di amici, nelle stessa sera, più di uno contagia il fuori così… ecco così nascono quelle notti estive in cui stai così bene senza far niente e vorresti non finissero, perchè temi che il domani porti via il sorriso che hai sulle labbra e questo tiepido e piacevole esser in pace con te e gli altri.