DALLA E ALLA F


EH

Due piccole lettere messe insieme possono contenere dei mondo. A me quelle due parole a volte creano confusione. Vogliono dire tutto e vogliono dire niente.

Il senso dipende sempre dalla modulazione della voce e dall’intenzione di chi le dice e la comprensione di chi le ascolta.
Queste due cose possono anche non collimare tra loro.

 

Rimproverare (Eh no! Non è così), esprimere stupore (Eh! ma è bellissimo), manifestare rassegnazione (Eh che ci vuoi fare), sollecitare: (Eh, suvvia),” dare speranza (Eh, potrebbe essere), affermativo (Eh già), essere una domanda (Eh?) o diventare una risata ironica (Eh eh)

Ammetto ogni tanto le uso anche io, e mentre le dico, mi fustigo da sola, perché le uso nel modo peggiore. A quelle due lettere aggiungo i puntini, e così diventa un “Eh…….” che forse ancora più ambiguo del semplice “Eh”.
Dal “E’ meglio che non te lo dico cosa penso”, al “Non so che cazzo dirti”, potendo anche attraversare le parole di Fabio Rovazzi, assumendo il significato “La vastità del cazzo che me ne frega.”
Il lato oscuro a volte si impossessa di me. Divento proprio una brutta persona.

 

FIDUCIA

La fiducia, nel mio mondo, è una cosa estremamente delicata. Elastica, ma delicata.

Elastica perché non si spezza facilmente, non basta un nonnulla, un gesto, un accadimento o una frase in un discorso, ma proprio per questo delicata. Poiché quando si lacera, non esiste colla al mondo che possa portarla alla sua forma originaria.

Vi è una sola fiducia, ma due punti di osservazione. Quello dove sei tu a guardare chi spezza la tua fiducia e quello dove sono gli altri a guardare te spezzare la loro.

Gli altri che guardano me.
Probabilmente qualche mio comportamento avrà fatto si che qualcuno abbia perso la fiducia in me (lo dico senza la certezza perché nessuno è venuto mai a dirmelo, ma so che nessuno è indenne a ciò). Se, e quando è accaduto, è stata colpa del difetto che ho avuto per lunghi anni. La mancanza della capacità di dire no. Volendo accontentare tutti alla fine, con qualcuno, avrò ottenuto esattamente l’effetto contrario.
Oggi so dire di no, benissimo, con determinazione e gentilezza.

Io che guardo gli altri.
La fiducia che io ho perso in persone, cose, situazioni. Negli anni si sono accumulate, ma al contempo ho imparato che a volte scambiamo la “fiducia persa” con le nostre “aspettative non corrisposte”.
Fatte le dovute differenza, quando si tratta veramente di fiducia infranta e non di aspettative infrante, di me ho appreso che son capace di perdonare davvero, ma non di ricostruire la fiducia allo stato originario.
Così accade che il mio personalissimo mondo sia abitato da persone cui voglio bene, ma in cui la fiducia originaria sia volata via, in un altro universo.

MONSTER


Tu che ci fai con i tuoi mostri?

Io ci son scesa a patti sai. Eravamo sempre in lite, quando mi distraevo, mi squarciavo la pancia e spesso il cuore mi si fermava dallo spavento.
A volte fiotti di sangue mi uscivano dal naso e dalle labbra, per le botte che mi davano sulla bocca dello stomaco.

Ah, ma io non ero da meno, ero diventata così brava a incatenarli. Trappole messe un pò ovunque e poi li imprigionavo. Non avevo cuore di ucciderli però, ma a renderli inoffensivi sì. Tranne uno.

C’è n’era uno che ogni volta che lo incatenavo, ogni volta che lo rinchiudevo, in qualche modo tornava libero. E mi mordeva il cuore.
Mi avrebbe ucciso prima o poi, o io avrei ucciso lui.

Poi un giorno ci siamo trovati davanti, uno all’altro a scrutarci negli occhi. E’ stato allora che ho compreso. Anch’io ero un mostro. Ero il suo mostro. Quello che lo rinchiudeva, lo incatenava e ora cercava di eliminarlo.

Nelle nostre iridi la stessa domanda: “Se tu mi uccidi, uccidi te stesso. Vuoi morire? Io no e tu?”

E’ da allora che non rinchiudo più i miei mostri, ma ci parlo e scendo a patti, e la sera qualche volta gli racconto le fiabe. Certo loro preferiscono le storie dell’orrore, ma un pò li ho convertiti alle storie a lieto fine, in un mondo, dove l’amore abbraccia il suo lato oscuro.

monster

TOMAHAWK


Credo che la cosa importante sia esserne consapevoli. Io credo di esserlo.
Lo dico perché nel momento stesso in cui accade, me ne rendo conto.

Ci sono persone che con la loro stessa presenza, anzi anche senza che vi sia necessariamente, basta che il loro pensiero aleggi tra le mie sinapsi, che subito, voilà, la parte peggiore di me, il lato oscuro, esplode dentro me.
Risale minacciosa, aggressiva, vestita di rabbia, in tenuta di guerra con il tomahawk in mano.

Ogni volta faccio un sospiro di quelli profondi e lunghi, le dico, “Per favore siediti qui, parliamone” e niente, iniziamo a trattare.

Non voglio la resa sia ben chiaro, io amo questa parte di me. E’ lei che mi salva il culo in alcune situazioni, diciamo che è “leggermente” trasbordante se le fai 10, lei ti restituisce 1000, con gli interessi, ed ha una pazienza che neppure vi immaginate. Capite dunque che è (molto) (molto molto) (moltissimo) (moltissimamente) pericolosa a volte. Però la amo lo stesso.

Abbiamo trattato anche questa volta. Io le do spazio, parlo di lei, faccio vedere che è viva e vegeta, che non esiste solo la me tutta “sole, cuore e amore” e lei si calma.

Il tomahawk non lo seppellisce, ma almeno non lo usa.
Credetemi, per come la conosco io, è un bene.

Maggiore è la luce, più profonda è l’oscurità.
Photo by Daniel Vazquez