INNAMORATA


Tra il runner in palestra e il divano (copertina annessa), Coelho dopo molto è tornato a far parte del mio spazio.

Mentre leggevo il suo ultimo libro, la domanda che continuava a infilarsi tra una pagina e l’altra e che mi riproponevo di fargli era “Ma perché lo hai scritto?”.

E’ uno dei miei autori preferiti. Il mio amore per lui credo sia dipeso dal primo libro che mi arrivò tra le mani. Letto in pochissimo tempo, con una grande illuminazione sulla mia vita alla fine.

Lo ammetto, io quello scrittore più che leggerlo, lo uso. Lo uso per leggere me stessa.

In fondo la domanda vera, ora lo so, è “Ma perché l’ho letto io?”

Nel frattempo che mi do una risposta, che credo già in parte di sapere, sappiate che ieri mi hanno domandato: “Ma che bel sorriso! Ma sei innamorato di un uomo o della vita?”.

Qui la mia risposta è stata senza esitazione: “Della vita”.

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A 4 anni arrivai in questa regione non parlando una parola di italiano.
Parlavo solo triestino, allora si usava così. In quelle terre il dialetto è lingua e appartenenza e lo usi, perché  sei fatto della terra che calpesti e dell’acqua che bevi.

A 6 anni arrivai alla scuola elementare, parlando una lingua straniera e fui catapultata a dover apprendere una nuova lingua: l’italiano.
Ancora oggi mi domando come posso essermela cavata, pensate per un attimo di parlare italiano e trovarvi di colpo a dover lavorare in un altro stato con persone che parlano in una lingua a voi sconosciuta e pretendono che tu scriva e parli nella loro lingua. Dovevo capirlo da lì che la vita è sopravvivenza.

A 8 anni a scuola ero fuori norma, più alta della media, più robusta della media, diversa fisicamente.  Mi ricordo ancora la mia maestra indicarmi e parlottare piano ad altre insegnanti al mio passaggio e il suo bisbiglio: “E’ friulana”.
I loro occhi su di me, li sentivo sulle spalle,  mi osservavano mentre camminavo verso l’uscita della classe. La mia vergogna, il sentirmi diversa, sbagliata, brutta, fuori posto, non ero come loro. Non ero minuta, non ero piccola, non ero esile, non ero lombarda.

A 10 anni leggevo talmente tanto che l’oculista impose a mia madre di impedirmi di leggere. Ma io leggevo di nascosto. Andavo alla biblioteca comunale, aprivo quei lunghissimi e stretti cassettini e prendevo tre schede a caso, ogni settimana.
Romanzi, scritti di tutti i tipi e generi, senza distinzione per ragazzi e non. Non guardavo né autori, né titoli. Ero fuori le dinamiche dei nomi, l’importante era conoscere. Io non leggevo i libri, io ero nei libri.

Sono cresciuta così, da figlia unica, in solitudine umana ma non in solitudine, perché io già “sentivo” e “sapevo” che la solitudine è uno stato mentale.
Sono diventata grande chiusa nel mio mondo, fatto di libri, di sogni e di pensieri. Una parte di me aveva paura del dolore. Il dolore di un dito e sei occhi puntati sulla schiena. Sono diventata adulta parlando poco con l’esterno ma ascoltando tanto.

Chi mi conosce ora, non lo direbbe mai che ero chiusa, timida e insicura. Oggi parlo tanto, mi espongo ancora di più;  ora dammi un “palcoscenico” ed io diverrò una buffona. Se qualcuno bisbiglia al mio passaggio, non abbasso gli occhi e proseguo, ma mi fermo torno indietro, chiedo se ha qualcosa da dirmi.

I libri mi hanno aiutato a crescere, i libri mi hanno fatto capire, i libri mi hanno fatto pensare, i libri mi hanno educata, i libri mi hanno fatto sognare, i libri mi hanno fatto viaggiare, i libri mi hanno spinto ad amare gli altri, i libri sono stati i mattoni di quella che sono io oggi.

I libri mi hanno fatto capire che ogni essere umano è un libro da leggere.