SE I GATTI SCOMPARISSERO DAL MONDO


Ancora a Milano, stavolta in tre, per un pomeriggio all’insegna dello shopping nella “Chinatown Milanese” con puntata finale al ristorante coreano. Tra i due, ancora, un salto da Mondadori, ça va sans dire!

Io, Paola e Giulia siamo entrate e al solito siamo state sommerse dal desiderio di comprare tutto! Vi dico solo che, nel breve lasso di tempo di quindici minuti, mi stavo avviando alla cassa con sei libri in mano. Sei libri, due autori e la “disperazione” di averne lasciati almeno altri quattro sugli scaffali.

Mi sono fermata solo perché la somma in euro che ho fatto mentalmente mentre mi avvicinavo alla cassa, mi ha fatto pensare se vendere il rene destro o quello sinistro.

Dopo molti tentennamenti ho deciso che i sei libri di due autori, li avrei presi nella versione ebook più avanti (cosicché il prezzo sarebbe drasticamente sceso), invece in quel luogo avrei scelto un solo libro.
Ho adottato la tecnica del “libro chiamami”. E il libro mi ha chiamato.

Quel libro sapeva cosa volevo, e ve lo posso dire con sicurezza grazie al fatto che l’ho acquistato sabato pomeriggio, e domenica sera avevo terminato di leggerlo.

Sappiate che anche le altre due mie amiche hanno avuto una storia simile alla mia. Siamo uscite da quel luogo di perdizione, ognuna con il suo unico libro in mano, e la felicità negli occhi.


Il libro che mi ha chiamato è “Se i gatti scomparissero dal mondo”.

In queste pagine troverete la storia di un postino il cui tempo è diventato importante, di un diavolo dal nome strano e dalle camicie sgargianti, che si presenta a lui per proporgli uno strano patto, e di un gatto con il nome di una verdura.

Questi personaggi mettono, in maniera scorrevole e godibile, il focus su molti aspetti della vita moderna, in entrambe le due prospettive, sia negative sia positive.

L’autore lancia lo sguardo su cosa può essere davvero importante per ognuno di noi. Ci sono molti pezzi che danno spunto di riflessione nel libro, oltre alla curiosità di sapere come andrà a finire.

 “A pensarci bene, ogni cosa si trovava in sottile equilibrio tra l’utile e il superfluo”

“Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo”
(questa frase è tratta da Matrix e l’autore la usa nel libro citando il film)

Insomma questo libro lo dice chiaramente, siamo noi gli artefici della nostra vita, e “Le persone possono scegliere di esser felici o infelici. Dipende dalla prospettiva con cui osservano le cose”

Ho davvero amato questo libro, per diversi motivi, e ho trovato la lettura molto scorrevole. Il fatto che l’autore sia anche regista e sceneggiatore si vede (dal mio punto di vista) dalla fluidità del racconto. Ho scoperto questo autore per caso, quando il libro mi ha “chiamato”, ma credo che acquisterò anche gli altri suoi libri tradotti in italiano.

TITOLO E DATI BIBLIOGRAFICI
Se i gatti scomparissero dal mondo
Io ho preso la versione cartacea, Super ET (Einaudi), prezzo € 10,00 copertina flessibile.

Esiste anche:
la versione Kindle, prezzo € 7,99.
la versione ebook ibs, prezzo € 7,99

AUTORE
Genki Kawamura nato Yokohama (Giappone) il 12.03.1979, oltre a scrivere libri è produttore cinematografico, regista e sceneggiatore. Dopo la laurea in lettere, inizia collaborare alla produzione di film di successo, tra cui “Your Name”.

“Se i gatti scomparissero dal mondo” è il suo primo romanzo, ed è stato un successo di vendita in tutto il mondo. La Sony Pictures sta sviluppando un adattamento cinematografico di questo romanzo.

Quest’anno (2023), la serie Netflix “The Makanai: Cooking for the Maiko House” (titolo originale “Maiko-sanchinomakanai-san”), da lui ideata e prodotta con Hirokazu Kore Eda, è stata distribuita a livello globale.

Tradotto in italiano, troviamo anche “Non dimenticare i fiori” del 2021 e “Stanze parlanti” del 2023, scritto in collaborazione con Marie Kondo.

PS: la modella tigrata che presenta il libro è la mia gatta Morgana.
Nessun gatto è stato sfruttato in questo post, poiché ho pagato la modella Morgana, con deliziosi “dolcetti” per gatti.

PPS: il gatto nero che vedete in fondo all’articolo invece è, era, il mio micione Moka, dedico questo scritto a lui, perché come Lattuga (chi è Lattuga lo scoprire nel libro), ha in comune una malattia e l’aver lasciato un segno indelebile nel cuore del suo inquilino umano.

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CASA


Casa non è dove sei nato.
Casa è dove cessano tutti i tuoi tentativi di fuga.
(Nagib Mafhuz)

Questa mattina trovo questa frase e mi colpisce, come uno spintone dato alle spalle all’improvviso, che ti catapulta in avanti. Lo capisco, mi rendo conto che sto cercando di fuggire.

Non ho più casa nonostante abbia una casa, non ho più il senso di appartenenza a nulla (il che forse è un bene, ma forse è anche un male). Mi domando quanto questa pandemia mia abbia cambiato, perché lo ha fatto, me lo sento. Mi chiedo se questi desideri di fuga derivino da questo, o forse no, in fondo ho questa parte di me, che periodicamente tende al cambiamento e quindi al tentativo di fuga di dove sono, e da chi sono.

Rileggo la frase, e li sento tutti dentro di me, quei tentativi di fuga, che non trovano sbocco. Paure, limitazioni, confini mentali, li depistano e gli fanno percorrere complicati labirinti senza uscita.

Rileggo la frase, mi manco. Mi manca la me creativa, mi manca la me percettiva, mi manca la me che ama e che vede la sfumatura impercettibile delle cose. Da qui i miei tentativi di fuga? Mi sto cercando mentre disseco in questo immobilismo? Sento la potenzialità di chi sono e non riesco a portarla in superficie?

Casa, dove è ora casa mia? Cosa è casa mia?
Nella mia lingua, l’italiano, manca quella definizione, così ben chiarita inglese, la differenza tra house e home.
Io ora ho una house, ma non ho una home.

Ho pezzetti di home sparsi. Ho un pezzetto di home in Emma, la mia cagnolina. Ho frammenti di home in Loki, Moka, Athena, Smilla, Morgana e Sophie, i miei sei gatti. Ho una particella entangled di home a Berlino, Progenie.

Ho tutto ciò, ma non ho la mia di home. Manca il pezzo importante, il collante. In questo mondo, mi percepisco sempre, in una posizione instabile e incompleta. 

Ho una mia house, ma butto lo sguardo sempre altrove, un paese nuovo, una casa nuova, un luogo nuovo. Tentativi, maldestri di fuga, poichè non cesso di cercare la mia “home”.

MY CAT FAMILY


Ho un cuore pieno di peli.
I loro

Loki
Smilla
Morgana
Sophie
Athena
Moka

Due maschi e quattro femmine che oltre al cuore hanno riempito di peli tutti i miei vestiti, hanno distrutto divano e materasso, hanno lacerato tende e lenzuola. Ma senza quei peli, la mia vita avrebbe meno sorrisi.

I love you

(A)MICI


Loki è il primo, si infila sotto il piumone e si accomoda a palla sulla curva della mia pancia, mentre son rannicchiata di lato. Poco dopo arriva Morgana che fa la stessa cosa ma sulla curva delle gambe. Entrambi allungano le zampe a toccarmi, ed io sorrido ancora ad occhi chiusi e raggomitolata.

Di Smilla neppure mi accorgo, è talmente leggera e silenziosa, appoggiata, mentre dorme, con la testolina sui piedi. Se non fosse per Moka, goffo e rumoroso (come al solito) che saltando sopra il letto per farsi far la grattatina di pancia, la fa sobbalzare.

Apro un occhio per guardare, giusto il tempo per accorgermi che Athena è alla mia sinistra sdraiata, all’altezza della mia testa, al posto del cuscino. A lei il soffice del piumone non piace.

E mi gusto il momento, la sveglia suona, ma ad alzarmi neppure ci penso. Ancora cinque minuti e poi mi alzo. Chissà dove è Sophie, di solito arriva a far fusa e a togliermi del tutto la voglia di alzarmi. Stamattina non arriva.

Dopo un quarto d’ora ce la faccio a rotolare verso il bagno. Appena mi siedo sulla tavoletta arriva Sophie, con la coda a scoiattolo. Vuole venire in braccio. Da qualche giorno tra lei, me e la tavoletta del cesso è scoppiato l’amore. Appena mi siedo, lei arriva felice, vuol venire in braccio, si fa tenere come un bambino di pochi mesi e comincia a far le fusa.
Con le zampette mi attira il volto al suo, mi da una leccatina al naso e ricomincia con le fusa, tenendomi per dei minuti seduta lì. Se non fosse che son seduta sul cesso, sarebbe una scena di una tenerezza immensa.

Poi ci penso, ma è una scena di una tenerezza immensa anche sul cesso, io e lei così, gli altri che arrivano, lei che mi impedisce di alzarmi perché che fai, smetti di farla così felice? E quindi si rimane seduti sul cesso così. Si è una scena di una tenerezza estrema, solo che è una tenerezza che fa ridere.

Io vi amo, nonostante il divano rovinato, gli angoli del letto demoliti, le lenzuola strappate, i vestiti con i fili tirati, l’impossibilità di metter calze che abbiano una vita superiore ai tre secondi, nonostante il fatto di avere la certezza che in ogni vestito si nascondono almeno dieci peli di gatto.
Io vi amo (a)mici miei.

COSINA


Stamattina l’ho sognata. Ma era un sogno? Ero in quella fase in cui sei sveglia ma non ancora caduta in questo mondo.

Era acciambellata, vicino alla mia pancia mentre ero, a mia volta, acciambellata di lato. Riuscivo perfino a sentire la consistenza fisica della sua presenza, il mio braccio ad avvolgerla, per poi rendermi conto che non era possibile, ma sentirla lo stesso.
Ed è allora che è esploso il dolore, quello che quando uno è vigile, controlla sempre, modula, gestisce. Quello di avere la certezza di non poterla più sentire, toccare, annusare e abbracciare in questa vita. Mi son piegata in due, rannicchiata a volerlo contenere. E son fuggita in un sogno. A stemperare un vuoto che con i pensieri non riuscivo a colmare.

Mi son ritrovata nella mia stanza. Un monolite grezzo, nero, lucido, appuntito, tipo Stonehenge, faceva parte della mia camera da letto. Si era spezzato e aveva preso altra forma, una L, alzata da terra.
Ho sognato quella stessa stanza, invecchiata, in cui si vedevano alle pareti i rimasugli di scotch adesivo, fogli appesi ormai spariti, che rammentavano un lontano passato staccato e chissà dove, ormai, volato via.
Pensavo che avrei dovuto ridipingere e cercavo aiuto per incollare il monolite e riportarlo alla sua vecchia forma.

Pochi minuti di sogno ed è arrivata l’orda felina.
La piccola Sophie che cerca carezze e dispensa fusa mentre si infila sotto il piumone, tra braccio e collo. Loki in paziente attesa sul comodino ad osservarmi da vicino. Moka cui pesa far il maschio forte perché “oh io son maschio coccoloso, dai impastami la pancia”, si adagia al mio fianco. Atena, signora Alpha di casa, nume tutelare, mi sorride con gli occhi e con la coda ritta. Smilla la paurosa si mette in fondo al letto e Morgana controlla da lontano.

Sono donna fortunata, fusa e amore come cascate, che noi al Niagara ci facciamo le pernacchie, ma Lei manca lo stesso, molto più di quanto avessi mai potuto immaginare.

I cromosomi della mia anima si sono intrecciati con i suoi.

INTENSO, PIACEVOLE E IMPEGNATIVO


Intenso
Piacevole
Impegnativo

Tre aggettivi per riassumere il mio fine settimana.
Ho ancora difficoltà per il recupero delle mie capacità fisiche e intellettive, per questo scrivo in modalità “Sindrone Twitter” la quale prevede la “circoncisione” della lunghezza dei discorsi.

Intenso ha i nomi Sister, Ciccio, Baldo, Elo e le parole chiave pmpn e ttt.

Piacevole ai nomi che ho appena detto, devo aggiungere Miss Mag, l’architetto, D.E. e la new entry “la donna dalle gambe lunghe” che è diventata la terza Sister.

Impegnativo ha un sole nome, Morgana.
Quattro etti di pelo e baffi che è rimasta imprigionata 12 ore in un motore, miagolando e cercando aiuto.
Impegnativo è stato il recupero.
Impegnativa la gestione delle prime ore e la decisione di tenerla.
Impegnato, anche da lei, ora è il mio cuore.

Morgana

MORGANA


Ghirighoro lettere per trasformale in parole
Occulto le mille me in parole che celano l’anima disarmata
Nella sbavatura vedrai la tana del bianconiglio

Morgana