HIROSAKI (The second day – Come passare da un Tempio al Sidro)


Il mio secondo giorno in Giappone è stato sempre a Hirosaki, avevamo quasi tutta la giornata a disposizione, prima di riprendere l’aereo e lasciare il nord del paese.
La destinazione è stata il primo tempio dei tanti che avremmo visto in seguito. Abbiamo usato i mezzi locali (neppure vi dico dell’efficienza dei mezzi pubblici che abbiamo trovato in ogni luogo, sia esso sperduto o no) e ci siamo dirette al Saishoin Temple.

Breve momento culturale.
Il tempio è stato costruito per guardare dall’alto (e sorvegliare) il castello di Hirosaki, che si trova a poco più di un chilometro di distanza. La Pagoda a cinque piani è stata designata come bene culturale importante a livello nazionale.
Fine momento culturale.

Saishoin Temple e l’immancabile torii

E’ stata la mia prima esperienza in assoluto in un tempio buddista, non parlo da spirituale mistica, ma vi posso assicurare che entrare e sentirsi avvolti da un’aura particolare ed essere un tutt’uno con il posto, è stato un attimo. Forse perché il tempio non era affollato, era silenzioso, con una leggera brezza e il sole che alimentava i colori.

Nei limiti della mia conoscenza ho cercato di essere rispettosa delle loro usanze, di cosa si doveva fare. Ho scoperto quindi che la fontana con il “mestolo” ha un suo scopo ben preciso, prima di entrare devi purificarti e sciacquarti le mani e la bocca. Ammetto che con la bocca non l’ho fatta, ma a onor del vero non ho visto nessuno farlo mai, neppure degli abitanti del luogo, in nessun santuario o tempio.

La foto sopra, la amo particolarmente, la fontana purificatrice con petali di ciliegio che pigramente galleggiano. Un vero peccato che non possiate sentire il suono dell’acqua che lentamente scorre.
Quella sotto, invece, è una fontana con una struttura più facile da trovare nei templi.

Per entrare nel tempio vero e proprio, altra usanza è togliersi le scarpe, lasciarle all’ingresso e rimettersele quando esci.

Intorno al tempio si trovavano piante, fiori, “richieste” e “desideri” appesi (Ema), statue di Buddha e di animali. In questo tempio ho trovato dei fiori bellissimi, che non sfiguravano per nulla nel periodo dei ciliegi.

Le statue spesso hanno dei bavaglini rossi al collo. Da quel poco che so, alcune solo legate a protezione dei bambini (anche quelli mai nati, e in questo caso sono chiamati i bavaglini di Jizo, dove Jizo raffigura il nostro occidentale Virgilio, Jizo accompagna le anime dei bambini mai nati), altre legate alla fecondità, altre alla protezione dei viaggiatori, altre ancora sempre alla fecondità ma della terra, questo a seconda del tempio o santuario e di cosa raffigura la statua.

Quel giorno ho scoperto anche l’usanza del goshuin, quindi nel mio primo tempio l’ho comprato e ho iniziato questa bellissima pratica.

Il mio goshuin con esposti alcuni dei shuin fatti

Momento culturale serio:
Il Goshuin (letteralmente sigillo rosso) raccoglie gli shuin, cioè i timbri rossi che contraddistinguono il tempio o il santuario, e una scritta fatta a mano con il pennello dai monaci. In alcuni templi ho visto anche calligrafi non monaci farlo.

Nel goshuin il monaco (o chi per lui), con i pennelli di vario spessore traccia il nome del tempio, la data della visita e altre scritte che riguardano il dio del tempio o di buon augurio.

Il mio goshuin, a parte il nome del tempio (perché lo abbiamo segnato) è un mistero per me, ma lo considero una raccolta di benedizioni o di buon augurio, magari qualche augurio si avvera (chissà prima o poi riuscirò a leggerli).
Fine momento culturale serio.

Momento profano
Il fatto poi che avessi trovato un goshuin con i coniglietti bianchi è stato motivo di immediata scelta per me. Chi ha visto il cdrama “The Untamed”, o ha visto il donghua “Il Gran Maestro Della Scuola Demoniaca”, oppure ha letto il libro “Mo Dao Zu Shi”, saprà il perché della mia scelta, che da buona fujoshi, ho considerato un segno del destino.
Per chi non ha visto nessuno dei tre, è difficile spiegare in poche righe, quindi consideratemi solo una donna con l’adolescenza tardiva.
Fine momento profano.

Terminata la visita al tempio Saishoin, siamo andate alla ricerca di un tempio a circa un chilometro di distanza. Lo abbiamo trovato, ma stavano officiando un funerale, il tempio era davvero piccolo e abbiamo deciso di andarcene.

Camminare sotto il caldo e il sole ci ha fatto venire voglia di una birra fresca (ve l’ho detto che la birra giapponese è la morte mia vero?), ma eravamo “sperdute” in un luogo dove vi erano solo abitazioni, e non trovavamo nulla fino a quando, compare alla nostra destra un piccolo bar (non so se in Giappone lo chiamano così, o hanno un altro nome) molto particolare. L’interno moderno, ben curato, e con una varietà infinità di sidro (abbiamo poi scoperto che Hirosaki è famosa e ha una grande produzione di mele. Fanno di tutto con loro, dalle torte, ai succhi di frutta, alle mele essiccate, al sidro, ad altro che non ricordo).

Il locale era vuoto, si capiva che era un locale che si animava la sera. Madre e figlio lo gestivano. La signora molto gentile si è avvicinata e ci ha portato davanti a degli scaffali pieni di bottiglie facendoci capire le varietà di sidro. Io e Paola parlavamo in italiano tra di noi chiedendoci “Lo vuoi secco? O dolce? Meglio questo o quello?”, quando ci siano accorte che il ragazzo con il cellulare in mano, volto in linea orizzontale verso noi, ci stava ascoltando.
In pratica non riusciva a capire da dove venissimo, ed era curioso di saperlo, così aveva aperto “google traslate microfono” per capire che lingua parlavamo. Lo abbiamo aiutato dicendolo noi “itariahitodesu”. Ve lo già detto vero? Vi ho detto che i Giapponesi amano gli italiani? (o almeno tutti quelli che abbiamo incontrato noi).

Alla fine ci hanno stappato una bottiglia di sidro di produzione locale, che vi giuro, mai bevuto un sidro così buono, mai!

Lo so potreste pensare a una vacanza alcolizzata tra birra e sidro, e un pochetto avreste ragione.

Abbandonati madre e ragazzo, siamo ritornate in “centro” Hirosaki. Abbiamo deciso di pranzare lì, prima di prendere il bus che ci avrebbe portato all’aeroporto di Aomori, che a sua volta ci avrebbe riportato a Osaka.

A pranzo ho mangiato per la prima volta il famoso natto giapponese, e nonostante quello che dicono sull’aspetto e odore, io l’ho trovato buonissimo, tanto che poi è stata anche la mia colazione per alcune mattine.

Il mio primo natto (con tofu fritto) giapponese e ops…
…stranamente una birra Kirin giapponese accanto

Terminato il pranzo, abbiamo recuperato le valigie in albergo e con il bus siamo ripartite verso l’aroporto di Aomori, durante il tragitto (sia all’andata sia al ritorno) le strade erano piene di queste macchine “cartone animato”. Io le chiamo così, perché così squadrate mi sembrano quelle disegnate dai bambini. Ve ne sono tantissime.

Hirosaki mi ha rubato cellule del miocardio.
Hirosaki, per me, sarà sempre Yoko e le sue amiche, il sidro, le persone che gestivano il locale, l’hanami, il festival della cittadina con le sue persone “normali”, e chiaramente, le sue mele.

PS: la foto che ho messo come copertina sono le “Ema Giapponesi”. Piccole tavolette di legno nelle quali i fedeli scrivono desideri e/o preghiere. Vengono poi appese all’interno della zona del santuario, così che i Kami, le divinità Shintoiste, possano leggerli ed aiutare le persone.

HIROSAKI (The First Day – Hanami)


A Hirosaki ci aspettava l’hanami e, anche se ancora non lo sapevamo, il festival della fioritura dei ciliegi della città.

Lasciate le valigie nell’hotel abbiamo preso un bus locale, che in pratica ci ha portato a fare il giro della cittadina e che ci ha lasciato a poca distanza dal Castello di Hirosaki, con il suo enorme e splendido parco pieno di ciliegi.

Siamo entrate nel parco a ora di pranzo, quindi dopo una piccola escursione nei giardini vicini, ci siamo fermate a mangiare a una delle tante bancarelle di cibo che ci sono all’ingresso. Ed è iniziata la magia di questo viaggio: le persone.

Nei piccoli centri, forse perché scoprivano che eravamo “itariahitodesu” (siamo italiane), siamo state accolte a braccia aperte. Ho scoperto che i giapponesi hanno una simpatia particolare per l’Italia.

Dopo aver mangiato, abbiamo iniziato a girare il parco, vi dico solo che ci siamo rimaste dal pranzo a sera inoltrata, grazie anche alla bellezza delle persone (poi vi spiego).

Ora, credetemi, ho fatto davvero fatica a scegliere tra le millanta foto, che ho fatto, quelle da postare. Ne ho scelte due, ma potrei aprire una galleria a parte.

Questa foto sotto, invece, la metto da sola per due motivi. Il primo è che di quel giorno, è quella che mi piace di più; il secondo è che mi ha insegnato a “sfruttare” al meglio anche le “situazioni negative”.

Come mi ha insegnato a sfruttare le situazioni negative questa foto?
Io volevo far la foto del ponte vuoto con il ramo del ciliegio, ma c’era questa tipa che si faceva fotografare dalla sua amica, a destra, a sinistra, in basso, in alto, fai la giravolta, falla un’altra volta, e non se ne andava mai!
Poi ho avuto l’illuminazione, la sfrutto anche io come modella. Ho scattato così una delle foto di Hirosaki che mi piacciono di più.

Due parole sul parco ve le dico, per farvi capire la sua bellezza. Il parco ha, più o meno, 2600 alberi di ciliegio, di varietà diverse, quindi con periodi di fioritura diversa. Questo fa sì che questo parco abbia una fioritura lunga, grazie a questo siamo riuscite a vederla.

Durante la notte il parco rimane illuminato e dà un’immagine ancora più suggestiva del tutto. Noi non lo sapevano, ma il Parco di Hirosaki è considerato uno dei migliori luoghi per vedere l’hanami in Giappone, e siamo capitate proprio nel periodo del festival.

All’interno del parco c’è anche il castello che è uno tra i più belli di tutto il Giappone, ed è uno dei pochi castelli originali. Il castello di Hirosaki è l’unico rimasto, del periodo Edo, integro. La maggior parte dei castelli nel tempo, tra guerre di shogunato e la fine dello stesso, oltre alla seconda guerra mondiale, sono rimasti distrutti negli incendi.

Chiusa parentesi “cultura”, riapro parentesi godimento. Il parco è davvero grande, a ogni angolo avevamo solo l’imbarazzo della scelta di cosa fotografare, ma non vi tedio, vi posto solo una foto fatta all’imbrunire, che amo particolarmente.

Poiché c’era il festival. All’interno del parco vi erano moltissime bancarelle di ogni tipo, dalle classiche di souvenir, ai vestiti, a quelle tipo luna park e chiaramente moltissime di cibo, così con il buio, io e Paola ci siamo fermate a mangiare.

Onigiri e birra giapponese, la morte mia!

Questa foto rappresenta due momenti importanti della mia vita “made in Japan”, ovvero: come io abbia da subito imparato a mangiare con le bacchette e, tenuta in mano dalla mia “partner in crime” Paola, la “biru” giapponese. La mia perdizione giapponese. Diversa da quella italiana, molto meno gasata e sempre fredda sempre al punto giusto, non ho mai bevuto così tanta birra in così poco tempo.

Il posto era frequentato dalla gente del luogo, quindi vedevi molte persone uscite dal lavoro (o dalla scuola) ancora vestite “seriamente” venire al parco, fare un giro, incontrarsi con gli amici, mangiare insieme in questi micro ristoranti, o fare dei picnic notturni nel parco. L’ingresso alla zona cibo era stupendo, un gigantesco torii capeggiava.

Come già detto, il parco era illuminato la notte, era favoloso. Ci siamo incantate a vedere un ciliegio bianco illuminato. Da quando riportato sul cartello alla base, era un ciliegio nato spontaneamente, come varietà, solo a Hirosaki. Vuoi non fotografarlo?

il ciliegio dai fiori bianchi, una varietà nata a Hirosaki

Ormai sera, ce ne stavano andando, dopo aver fotografato il ciliegio bianco, quando vediamo una signora giapponese che ci chiama e s’incammina veloce verso noi, muovendo la mano come per dirci: “Venite qua!”. Sono sincera ho pensato (e anche Paola) abbiamo combinato qualcosa, abbiamo fatto qualcosa che non va bene, e ora “ci sgridano”. Timorose abbiamo seguito la signora e… ci ha presentato ad altre due signore, che insieme con lei stavano facendo il picnic notturno.

Quando vi dico che la cosa più bella di questo viaggio sono state le persone, lo dico per proprio per quello che ci è accaduto durante tutto il viaggio, partendo da qua.

Yoko, così si chiamava la signora, insieme alle sue amiche, ci ha invitato a fare un picnic notturno sotto agli alberi di ciliegio insieme a loro. Non potete capire la nostra (felice) sorpresa. Loro non parlavano inglese (ma neppure io), noi non parlavamo giapponese (Paola lo sta studiando però). Nonostante questo, abbiamo passato ore a comunicare con loro, ridendo e scherzando (non ringrazierò mai abbastanza google traslate).

Ci hanno offerto il loro cibo, hanno stappato una bottiglia da un litro di sake, che dire buono era poco, alla fine eravamo tutte un po’ brille e sorridenti.
Posso dire che le ho amate e le amo?

Per avere un ricordo, Yoko e le altre, hanno chiesto a dei signori giapponesi che “picnicavano” non lontano da noi, di farci una foto. Siamo così diventate anche per questi signori “Itariahitodesu ka?” (Siete italiane?) mentre ci regalavano sorrisi e incredulità.

Quando è arrivato il momento di salutarci, ci hanno fatto ancora un regalo, con il cibo che ci era piaciuto, ci hanno fatto il bento (vedi foto) per il giorno dopo.
Mi ripeto: ” Posso dire che le ho amate e le amo?”

Ecco, questo è stato il nostro primo giorno in Giappone, ora capite perché soffro di “mal di Giappone”, perché li amo, e perché non vedo l’ora di ritornarci?

OSAKA (toccata e fuga verso Hirosaki)


Il primo giorno in Giappone è stato a Osaka, ma è stata una toccata e fuga, atterrate la sera prima, la mattina presto siamo ripartite subito.

Abbiamo preso il metro/treno locale che da Namba ci avrebbe portato all’aeroporto di Itami, da lì saremmo ripartite per arrivare all’aeroporto di Aomori con un volo interno, per andare a Hirosaki.

Prendere quel treno è stato come catapultarsi in un dorama: uomini in completo nero, giacca, cravatta e tracolla che andavano in ufficio; ragazzi e ragazze con le uniformi delle rispettive scuole, che si recavano a scuola. Il silenzio che avvolgeva tutto.

A Itami, nell’attesa della partenza sono riuscita a far colazione con il mio primo avocado tost, sono riuscita a prendere il pocket wifi, perché la scheda sim, acquistata mesi prima on line, ha avuto problemi di comunicazione con il mio cellulare.
Poi siamo volate verso il nord del Giappone.

Non ho foto di quella sera e mattina, a parte quello del panino che ho postato ieri. Era la mia prima volta in Giappone ed ero ancora avvolta nell’incredulità di essere lì. Per questo la foto che metto con questo post non è mia. In compenso, arrivate a destinazione a Hirosaki, da lì in poi, di foto ne ho fatte fin troppe.

Questo post, è brevissimo, è il preludio ai giorni in cui, io e Paola, zaino in spalla, abbiamo visitato una piccola parte del Giappone.

MINO AYATO


Mi sono innamorata in meno di un secondo di lui, anni fa, con una frase: “Arredare con il vuoto”.

Il mio amore per il Giappone è nato lì, sfogliando una rivista di architettura, in una frase letta per caso.

Sono consapevole che posso sembrare un po’ folle, non so neppure se riesco a comunicare con voi quello che voglio dire, se riesco a farvi capire, come una piccola frase letta per caso, abbia potuto farmi amare e innamorare di un paese di cui (allora) non conoscevo niente; eppure è successo.

Quella frase mi fece sentire a casa, avvolta in qualcosa di familiare. Percepii un modo di vivere e affrontare la vita, che in qualche modo era insita in me (non che io ne sia capace, la mia casa e la mia vita, è tutto tranne che contenuta nella frase “arredare con il vuoto”, direi di più che il mio arredatore è il Dr. Caos).

Lungi da me, ai tempi, la possibilità di approfondire e conoscere, ma rimase lì, come un piccolo seme nel cuore, in condizioni di non sviluppo. Negli ultimi anni quell’amore si è nutrito di arte visiva, di film, di libri e della loro dicotomia che ogni volta mi colpisce e affonda.

Un amore, a senso unico, durato anni. Neppure nei miei pensieri più lontani pensavo che sarei potuto andarci un giorno. Un sogno troppo grande, ed io ai sogni non credevo più.
E invece.

Invece scriverò qui del mio viaggio in Giappone di questi giorni, dell’aver scoperto che il Giappone mi ha amato, non so se quanto lo amo io, ma ogni giorno in cui sono stata, mi ha avvolto del suo amore e della sua gente.

Sono ritornata in Italia da pochi giorni e già manca, soffro di “mal di Giappone”. Scrivere dei giorni passati lì e mostrarvi le foto amatoriali (quindi perdonate se non sono perfette) che ho fatto, è il mio modo di lenire la sua mancanza.

Il Giappone dopo avermi conquistata con la frase “Arredare con il vuoto” mi ha fatto innamorare perdutamente di se con la sua “La presenza dell’assenza“.

Ps: se vi chiedete il perché del titolo… non lo so!
Me lo sono sognata questa notte. Non conosco nessuno che risponda a questo nome, non so neppure se sia un nome maschile o femminile, o se Mino sia un loro cognome, ma mi sembrava giusto dare questo titolo al mio primo post avendo Morfeo inviatomi questo misterioso input!

(C’è qualche Mino Ayato per caso nei dintorni?)

C’è chi in viaggio fotografa solo architettura e paesaggi e poi ci sono io.
Ecco a voi un buonissimo panino made in Japan imbottito di noodles!
(come fai a non amarli!?)

BIZEN


Neve a Bizen
Ferro e fuoco
Forgi acciaio e il mio cuore
L’uomo che io sono scompare.

Petali di pesco.
L’anima mi hai forgiato.
La forma è quella del tuo cuore
L’uomo che io ero non è più.

Nespole color oro
Le labbra tue son la mia dimora.
Del mondo farò la tua.
Tu farai di me l’uomo che sarò.

L’acero ci avvolge.
Premonizione di sangue le sue foglie.
Per salvare te, devo morire io.
Tu farai di me l’uomo che non sarò più.

clan

Liberamente tratto dalla mia memoria antica. Da un giappone che non esiste più. Storia di un clan, di acciaio, di lame affilate, di vita, di fuoco, di morte e di due uomini che si amavano.

OH PERBACCOLINA!


Io amo il Giappone. Quello onirico che mi porta in parti di me che tendo a celare.
Amo gli artisti del sol levante, il loro surrealismo. Solo chi nasce e cresce in uno sputo di terra sconquassato da terremoti e maremoti può averlo.
Infine amo quello che riescono a farmi sempre. Sorprendermi.

E lo hanno fatto dopo che avevo già scoperto:

* L’amplificazione del punto G

* La riverginizzazione

* Lo sbiancamento anale

* Lo sbiancamento vaginale

* il make up della patonza

Loro son riusciti ancora a sorprendermi con lo sbiancamento del capezzolo!
Pare che da loro l’ultima moda sia quella, sbiancarseli, che scuri pare brutto…

Ditemi come non “amarli”?! 🙂

LA CIBOCENTRICITA’ E LA MACRO CHE’?


Viviamo in una società cibocentrica, cercano di portarci alla dipendenza psicologica e non, del cibo e dei suoi dintorni.  Perché lo dico? Perché, riassumendo in breve, ho osservato che:

– i programmi televisivi incentrati sul cibo sono tantissimi. Masterchef, cuochi e fiamme, cucine da incubo, la prova del cuoco, cotto e mangiato, unti e bisunti, man Vs food, il re delle torte, solo per citarne alcuni. Senza contare le varie stars food tipo Nigella e Parodi;

– dribbliamo continuamente tra le pubblicità di cibi pronti in trenta secondi, di dolci e di spuntini spezza fame, tra i sughi casalinghi della nonna fatti industrialmente, tra cibo plastica che ormai devi solo mettere in forno per essere una cuoca perfetta, tra polli e carni in offerta (ma non ti dicono come li allevano, o che sono bombardati da antibiotici, altrimenti dovrebbero spiegarti il perché. Dire come sono i luoghi di allevamento e le loro condizioni non umane, questo tralasciando il senso etico di trattare gli animali in tal modo);

– dopo aver dribblato tra le pubblicità dei cibi di cui sopra, facciamo un’altra gimcana tra una marea di prodotti per i bruciori di stomaco e la digestione (come dimenticare le pubblicità, tra le tante, del cinghiale sullo stomaco o i pompieri bianco latte che scivolano nel tubo digerente), del resto con i cibi di cui sopra come potrebbe essere diversamente?

– dopo il dribblar tra la pubblicità del cibo e la gimcana degli antiacidi, piombiamo nella pubblicità con i vari prodotti per dimagrire, per perdere peso, per non assimilare grassi, zuccheri, (pure l’intelligenza secondo me non fa più assimilare) bruciarli, tartassarli o che cazzo ne so.

Insomma… ti promuovo il cibo, poi l’antiacido e poi il prodotto dimagrante, per poi ricominciar tutto da capo, il tutto nello stesso spazio pubblicitario.
Ed ecco a voi la società cibocentrica. Ed io, essendo figlia di questa società, ne sono stata condizionata e lo sono tuttora in parte.

Ecco tutto questo bailamme è nato perché volevo scrivere un post sul fatto che stavo entrando in punta di piedi, con molta curiosità e voglia di sperimentare, nella macrobiotica. Volevo sapere se tra voi c’è qualcuno che ha conoscenza, o come me sta per iniziare questo percorso che non parla solo di cibo, ma è molto più ampio.

Come sempre volevo scrivere di A e mi trovo a parlare di D. Per questo, non volendo ho fatto un giro dell’oca sulla cibocentricità per chiedere se qualcuno conosce bene la macrobiotica e ha voglia di passarmi un pò di conoscenza. Grazie.

Nel frattempo io mi coccolo con lo sguardo il mio acquisto di sabato.

Suribachi e Surikogi made in Japan Gomasio fresco in arrivo
Suribachi e Surikogi made in Japan
Gomasio fresco in arrivo