CONFINI


L’ho anticipato ieri, QUI, che di questo ne avrei parlato oggi.

Iniziamo. L’istituto di inglese ha organizzato un “evento speciale” per la mattina di sabato. Ritrovo in sede, partenza e camminata di gruppo verso il punto designato. Nel mezzo del tragitto, uno degli insegnanti consegnava delle “requests” e, in coppie, si chiacchierava in inglese della domanda assegnata. Ogni cinque minuti cambiavamo la domanda assegnata e il compagno.

La camminata si è conclusa sulle sponde del lago, in una zona fornita di tavoli e panchine, dove avremmo preso pennelli e tele per dipingere ciò che ispiravano una serie di domande (in inglese chiaramente).

Sei allievi e due insegnanti. Sono sincera, tutto molto bello e carino, nonostante capissi lo 0,5% dell’inglese parlato dall’insegnante madrelingua. Ma il mio rapporto problematico con l’inglese già lo conoscete.

Seduti allo stesso tavolo, uno di fronte all’altro, condividevamo una tela per disegnare con i pennelli e i colori. La tela era divisa a metà da una riga, tu disegni nella tua parte e io nella mia.

Ho iniziato a disegnare (non ho la capacità di dipingere direttamente con il pennello) un mare, le onde, una spiaggia, la risacca, un sole, una sdraio, un ombrellone, due nuvole, un gabbiano in lontananza e un micetto in un angolo.
Abbozzato il disegno, inizio a dipingere con i colori acrilici. Nonostante la mia incapacità, non era brutto, tanto che i due insegnanti mi hanno chiesto se amavo dipingere.

Detto tra me e voi, non amo particolarmente dipingere, a differenza di Progenie che è molto brava, io non lo sono. Però, se lo faccio, anche con le matite colorate, questo fa sì che mi estranei dal mondo circostante. Anche se in quella circostanza era difficile farlo, nonostante ciò, ogni tanto per quindici secondi “cadevo” nel mio universo fatto di silenzio.

Questo mio estraniarmi ha fatto sì che non mi accorgessi che la persona davanti a me, quella con cui condividevo metà della tela, senza chiedere, mentre ero persa nei miei quindici secondi, con il suo pennello è entrata nella mia metà di tela. Ha colorato le nuvole che avevo disegnato nella mia parte e, con un altro pennello, ha fatto degli scarabocchi, che presumo volessero essere degli uccelli in lontananza (probabilmente in un mondo astratto). Tutto questo in quei quindici secondi in cui io ero nel mio mondo e in altri cinque, in cui ero troppo stupita per reagire.

Sono rimasta davvero senza parole per alcuni secondi, con la domanda in testa “Ma che sta facendo!?”. La guardo, ritrovo pensieri e voce e, gentilmente le chiedo: “Ma perché sei nella mia metà tela e dipingi il mio disegno?”. Lei alza le spallucce e torna nella sua metà.

Stiamo parlando di persone adulte, non di bambini dell’asilo.

Ora non è per il disegno, mica son Picasso che mi rovini un’opera, ma è per aver superato i limiti e (i miei) confini senza avermi chiesto assolutamente nulla. Mi sono sentita “aggredita” e invasa, in una situazione in cui, se avessi cercato di capire e insistere (vista la mancata spiegazione), sarei pure passata per quella “pesante”.

Sono una fautrice del superare limiti e confini, ma i propri, non quelli altrui.

Questo avvenimento mi ha portato a molte riflessioni (come se non fossi già abbastanza segaiola mentale di mio). Molte persone non rispettano i confini altrui e i limiti posti dalla convivenza con gli altri, che dovresti avere, ancor di più se non li conosci (era la prima volta che la vedevo in vita mia).

Perché quella tipa lo ha fatto? Ma in generale, le persone che si comportano così perché lo fanno? E’ un atto intenzionale e voluto? O è solo l’incapacità mentale di comprendere che non sei il solo al mondo?
Perché quando si tratta dei loro confini sono invece così integralisti?

E perdonate il volo pindarico, ma perché Israele supera il limite bombardando l’Iran, ma si lamenta se questo fa la stessa cosa a loro? Credetemi, son imparziale in questa domanda, nessuno dei due governi mi piace.

Ritorno al fatto. Quello che mi è successo è una cosa piccola lo so, sciocca, nessuno si è fatto male, nessuno ha perso qualcosa. Eppure… questa cosa mi ha davvero disturbato, e mi dispiace di non aver avuto la prontezza di reagire, dando uno spintone (metaforico e verbale) a quelle spallucce, per non aver avuto una risposta al suo dipingere nel mio spazio, limitandosi all’alzare le spallucce.

Ma secondo voi perché?

Poi un mio amico mi prende in giro quando dico della gente “Se la conosci la eviti”.

Ma a voi cose simili sono mai accadute? Vi siete mai sentiti “invasi” e “aggrediti” quando stavate per i fatti vostri? E se sì, come avete reagito? Vi siete mai sentiti in situazioni in cui, pur essendo dalla parte della “ragione” avete dovuto starvene zitti per non passare dalla parte del torto?

Questo lo metto alla fine perché in questi giorni l’attenzione mediatica si è spostata su altre notizie, ma io, le persone laggiù, continuo ad averle nel cuore.

DISCONTINUA


Devo a La bloggastorie l’avermi spinta a far foto spogliandole dai colori. Nel farlo mi son ricordata che io vivo nel “bianco” e nel “nero”. Il grigio, nella vita, non lo vedo, ma amo le foto grigie. Danno spessore a particolari che, nei colori, si nascondono.

Ma, questa terra, la vivo attraverso i colori forti, intensi, decisi

Lasciandomi abbracciare dai colori della mia anima

Tutto questo per dire, ancora, anche oggi, che sono grata a questa vita. Anche in questo momento in cui il mio cuore vibra in maniera discontinua, ma grazie a questo, “sento” il mondo da un punto di vista diverso, lo vedo con la pelle e questo espande il mio vivere.

INTOLLERO


Oggi è il terzo giorno che io “intollero” la gente.

Davvero non so dirvi perché. Il primo giorno pensavo “Vabbè dai è lunedì è normale”. Il secondo mi son detta “Dai a volte capita un prolungamento del lunedì”, ma oggi al terzo, niente da fare. Intollero pesantemente la gente.
Non che sia peggiorata, la gente intendo, la gente è sempre quella. Son io che ho una soglia di sopportazione pari allo zero assoluto ormai.

Certo l’aver parlato ieri con l’ipocrisia razzista e beghina, quella che va sempre in chiesa, prega la madonna, dio i santi tutti per poi vomitare il livore di una vita vuota contro gli immigrati, questo non aiuta. I loro insulti a chi lavora regolarmente, con il liquame sotto forma di parole “Loro sporcano, loro approfittano, loro depredano lavoro, loro rubano case, loro loro loro… “. Guardati te, quando sporco hai dentro, solo per la rabbia con cui lo sputi fuori.
Accanto a questa ipocrisia perbenista io ci vivo. E questo non aiuta.
Attacca i più deboli perché i deboli son loro. Sperano di non esser mangiati spostando l’attenzione, dimenticando che tutti siamo a sud di qualcuno.
Ecco io intollero gente così.

Certo che l’aver avuto a che fare con i “politici” del mio comune, ripetere ancora dopo due anni, cazzo cazzo aggiungete un’asse a quella panchina dove vanno gli anziani in modo che possano sedersi. Sentire il peso che sei tu la rompicoglioni e non loro un pò “lenti” a far le cose. Questo non aiuta.
Ecco io intollero gente così.

Certo che anche io son un pò scassamaroni quando scrivo, sempre melanconica, sempre questa vena varicosa di sottofondo. Lì a scrutare, analizzare, verificare, concordare e ravanare fino al midollo gli aspetti emotivi della vita e dell’anima.
Ecco io mi intollero così.

E pensare che invidio (dico sul serio) tanto quei blogger che d’istinto scrivono con ironia le cose. Quelli che fanno risaltare il ridicolo e l’assurdo della vita, togliendo potere così alle cose negative.
Io invece no cazzo! Quando appoggio le dita sulla tastiera ecco che mi si apre la voragine della “segaiola mentale”, ci cado dentro come una pera cotta, eppure vorrei tanto esser come loro, strappare sorrisi alleggerendo cuori.

E sarà che questo tempo grigio non aiuta. Queste nubi ricoprono tutto da sembrare quasi nebbia, nebbia non è, ma avvolge lo stesso.

E non mi aiuta neppure questo tempo che vivo. Tutto è ridotto al minimo: il tempo proprio, i denari, il desiderio, la luce, il cuore, la voglia, l’entusiasmo, le emozioni, le novità, gli stimoli. Questo tempo in cui la “quotidianità obbligata” copre sotto una spessa coltre di piombo la vita e tutto ciò che la rende degna di questo nome.

Ecco, forse alla fine, è solo questo ultimo pensiero che racchiude la verità.

Io intollero sprecare la vita.

Photo by Hossein Zare

I PIEDI DEGLI ANGELI


Quando ero piccola io sapevo che gli angeli vivevano dentro le nuvole.

Avete presente quelle enormi dense nuvole primaverili estive? Quelle che sembrano bambagia attaccate al cielo azzurro da un filo invisibile. Ecco quelle. Io sapevo con certezza. In quelle vivevano gli angeli.

Durante i tragitti in auto con mio padre sedevo dietro, o meglio mi sdraiavo, con il naso all’insù, le osservavo senza staccare mai gli occhi. Prima o poi un angelo avrebbe fatto un passo falso, sarebbe inciampato o scivolato e un piede sarebbe sbucato fuori dalla nuvola. Quando ciò sarebbe accaduto, avrei avuto anche la prova di quello che già sapevo. Quelle erano le loro case.

Mentre osservavo distesa con gli occhi al cielo, immaginavo come potessero essere arredate con i mobili fatti di nuvola bambagiosa. Ho osservato a lungo e per anni. Chiaramente non ho mai visto il piede di un angelo.

Osservo ancora il cielo e nel farlo guardo anche le nuvole, anzi le fotografo, ma non cerco piedi d’angelo, qualcosa cerco però.
Cerco quel qualcosa che io so esiste, ma non riesco mai a vedere.

A volte temo di osservare il mondo con la stessa aspettativa di allora, e che anche qui, nonostante la mia attenzione, non vedrò nessun “piede d’angelo” sbucare da una soffice nuvola.

L’ALLUCE DELL’ANGELO


Ci credevo, ci credevo veramente. Loro vivevano là dentro.
Questo mio credere ha fatto si che i lunghi viaggi in auto non fossero mai così lunghi perchè ero impegnata a cercare prove e verifiche. Ci ho passato ore ad osservale, bambina, sul sedile posteriore con il naso schiacciato sul finestrino e gli occhi all’insù.
Prima o poi, ne ero sicura, qualche angelo avrebbe fatto un passo falso e un piede con tutta la caviglia angiolesca sarebbe sbucato fuori e finalmente io avrei avuto la prova che gli angeli esistono.
Non ho mai visto un piede angiolesco sbucare fuori, neppure un alluce volendo ben vedere, ma sapevo che loro vivevano là dentro in quelle nuvole soffici, bambagiose, paffute.
Quel tipo di nuvola era la casa degli angeli io lo sapevo, loro vivevano là dentro.

cloud

Poi ho smesso di credere.
Ho smesso di credere agli angeli, ho smesso di credere che il bene vince sempre sul male, che i buoni sorridono e i cattivi piangono, ho smesso di credere che se sei onesto gli altri lo saranno con te, ho smesso di credere a un sacco di cose.
Ed io invece vorrei credere, mi manca quella bambina con il naso schiacciato sul finestrino posteriore che cerca le prove dell’esistenza degli angeli.
Mi manca, mi manco, perchè quando credevo l’impossibile ho fatto l’impossibile.

Chissà forse dovrei guardare ancora in alto, strizzare gli occhi e osservare a lungo, dovrei credere di credere che chissà prima o poi un alluce d’angelo sbucherà dalla nuvola.