VESTITI E LINGERIE


Progenie in piedi dirige le operazioni e fa il lavoro fisico. Io da generale seduto nelle retrovie, osservo e decido che fare dei miei vestiti senza muovere un dito. Lei mostra ed io verbalmente, quale novello Miccio di un casalingo “Ma come ti vesti?”, dico “Via” “Regalo” “Tengo” e il capo finisce a terra a formare colline.

Progenie mi para davanti agli occhi il vestito, lo osservavo e penso, ma non solo per capire che farci. Mentre lo guardo ricordo il momento in cui l’ho usato, che è accaduto, ho riso, ho pianto, ho ballato, ho chiacchierato con quel vestito adagiato sulla pelle.

E mentre la mia vita degli ultimi quindici anni in formato abito mi passa nuovamente davanti, mi rendo conto che non riesco a eliminare alcune vesti (per esempio una camicetta buttata nel “regalo”, dopo un paio di ore, è stata trasferita nel “tengo in attesa di poterla rimettere”).
E così oltre al “cose che uso”, “cose che userò appena torno in forma”, ancora una volta si forma anche “cose che non userò mai più, ma tengo”.

Quei vestiti che mettevo la sera, fasciavano me e illuminavano quel lato sensuale con cui giocavo a far la grande e non lo ero, nonostante l’età.

Quel jeans al ginocchio, tutto cerniere e laccetti.

Quel vestito nero finta pelle, che fa tanto ambiente Mad Max

Quell’abito rosso fuoco, con i lacci, gli strappi e quella scollatura che anela a ritornar alla madre terra.

La minigonna che fa tanto bimba cattiva.

Quella mise che lascia la schiena nuda perché tu possa immaginare percorrendo la spina dorsale.

E così via fino a scivolare alla lingerie, perché una volta non avevo “mutande e reggiseno”, avevo solo ed esclusivamente lingerie, e lì il tempo si è stringe in una morsa allo stomaco e un colpo al cuore. Un decennio più o meno.
photo by Rodney Smith

Ti ho amato così tanto e tu mi hai amato così poco. No, non è vero, non mi hai amato poco, mi hai amato come potevi, era per me che era poco.

E poi quella scoperta nel tempo, “ero troppo” per te. Quella notte, in quel prato, piangendo mi hai detto “Lasciami, sei troppo in alto per me, non riesco a proteggerti da me” e io che ti scongiuravo di vedermi per quello che ero, al tuo fianco, non più in alto, sempre e comunque al tuo fianco.
Non c’è stato niente da fare, hai continuato a vedermi in alto e non mi hai mai perdonato per questo tuo vedermi, cercando rivalsa e conferme appena una parte di te si distraeva.
Ma infine che cambia? Niente, alla fine ti ho lasciato e quella lingerie me l’hai fatta odiare, insieme a quei vestiti che mettevo quando mi dirigevi instancabile nel gioco di ruolo che più ti piaceva.

Ma stavamo parlando di vestiti. Ecco alla fine i sacchi li ho fatti, alcuni pezzi di stoffa li ho tenuti, alcuni li userò ancora, altri li butterò più avanti e altri ancora mi seguiranno nella notte dei tempi.

Però, nel frattempo ho fatto due sacchi “regalo” e un sacco “butto”, consapevole che non puoi far posto al nuovo se conservi il vecchio, anche nell’armadio.

ISTANTE


Poi arriva un giorno, stai facendo una cosa semplice o stupida, il pensiero ti lambisce. Tempo. Il tuo che se ne va.

Ti rendi conto che non sei stato così bravo, che non hai seguito il consiglio del professor John Keating, tu non hai colto quasi mai, e solo ora ti sei reso conto che “Aspettiamo la battaglia mentre in realtà stiamo già combattendo“.

E’ a questo punto che diventi insofferente alle rotture di cazzo, da chiunque vengano. Al lavoro che ti occupa spazio, ai perditempo emotivi, ai succhiatori di energia, a quelli che non sanno che vogliono e non intendono scoprirlo ancora a lungo, ai tentennatori, agli egocentrici, a chi si appoggia sul tuo tempo, a chi te lo usa a mo’ di carta igienica perché preserva il suo.

Ti annoi nei soliti discorsi, nei ritrovi fotocopia, nel far e rifare le stesse cose. Cadi nel silenzio nel veder svolgersi davanti a te dinamiche che riconosci a occhi chiusi. Ti rammarichi del tuo esser così, non è colpa loro è tua e del tuo poco tempo, che reclama respiri di nuovo o di te, o meglio ancora di te con il nuovo.

Non che tu debba far chissà cosa del tuo tempo. Non hai progetti di grandi palazzi da sviluppare, ne hai la capacità di creare opere artistiche, non sei un genio e neppure un grande medico che salva vite, tantomeno un innovatore che cambierà il corso della storia. Non detieni nemmeno il potere di svelarlo ad altri, ma è il tuo tempo e se proprio qualcuno deve sprecarlo, quello sei tu, non altri.
Chapel of Thanksgiving Dallas
Chiunque tu sia, se vuoi condividere il tuo con me, sappi che il mio è una spirale e non una linea retta, semplice e complicato son aspetti dello stesso momento.

MICROMILLESIMI


Son attimi, micromillesimi che scivolano e non danno il tempo di fissarli nella mente, ma qualcosa nel cuore rimane impigliato. La verità è lì in poche righe, ma non sai ancora come ancorarla a te.

Riesci solo a fissare il pensiero su un pezzo di carta sperando che con esso rimanga la consapevolezza. La pienezza di attimi, le fecondità di qualcosa di non tangibile e la ricchezza di certe persone hanno origine da lì.
photo by Christine Ellger

E’ l’amare che far sta bene, non l’essere amati.

TAROT


Tra una tisana allo zenzero liquirizia e due chiacchere con un’amica, ci si son infilati anche loro dopo tanto tempo. I tarocchi.
Il mio problema e che non avevo niente da chiedere, perché ho smesso di chiedere, e questo è un problema. Se niente chiedi, niente avrai.

E così mentre la tipa mi chiedeva: “Argomento?” il vuoto assoluto si impadroniva di me. Alla fine ho farfugliato qualcosa su star bene, emozioni, benessere. Lei, mischiando le carte, mi ha fregato intimandomi pensa alla domanda.
Quale domanda?! Dove?! Come?! Quando?! Perché?! Che cosa è una domanda?! Vabbè ho detto emozioni, ma non intendo solo uomini, star bene, progetti, benessere… oddio come si dice quando vivi la vita bene? Stavo dicendo? Ah sì, non mi ricordo più la domanda. Che significa domanda poi?!
Però lei ha buttato le carte è ha iniziato ha parlare.

Sappiate che a mia insaputa, ho (attualmente) un paio di persone che mi filano (solo che io non me ne accorgo, così mi è stato detto, ma è una costante nella mia vita questa). Una è più giovane di me.
Tarocchi woman mi dice “Ma davvero non vuoi dar una possibilità a questo?”. Oddio io gliela darei anche (la possibilità intendo) sapessi solo chi è…

Visto che non mi vede molto interessata ai miei spasimanti del presente, butta un occhio nel futuro. Dice che ho delle carte bellissime, ma qualcosa blocca la parte fortuna, non capisce cosa, forse son io che son chiusa (Ma và?! Io chiusa agli uomini?! Non avrei mai detto..). Mi incita (ancora) ad aprirmi a lasciarmi andare a far entrate la fortuna (ha detto fortuna, non altro!) e vede nel mio futuro un uomo.
Un uomo benestante (e finalmente una buona notizia), certo ha i suoi difetti e il suo carattere (lo sapevo che c’era la fregatura) ma è intelligente, acuto, interessante. Però con questo vai piano, mi avvisa, all’inizio. Non aprirti troppo (ma se fino a cinque secondi fa mi hai detto apriti apriti), anche perché ne vedo un’altro, normale(*) questo, ma più affidabile.

Ora a parte che di uomini affidabili…. secondo voi tra un tipo intelligente, acuto, interessante e uno normale (*) il cui unico pregio pare sia quello di essere affidabile, dicevo ma secondo voi di chi potrei perdermi perdutamente?!

Fatto sta che stanotte ho sognato che conoscevo un tipo sul lavoro, un pò stronzo, alto, non magro, ma ben tenuto anche se con un pò di pancetta, interessante e benestante. All’inizio mi dicevo “Non mi piace” ma più andavo avanti nel sogno più lo trovavo interessante, meno male che poi mi son svegliata perché alla fine cominciavo pure un pò a innamorarmi.

Ho deciso prossimo mercoledì torno. Però questa volta devo avere la domanda ben precisa in testa. Ecco alla parola domanda, ho il vuoto, aiutatemi che domanda potrei fare!? Datemi una mano.

PS: Stamattina nel cercare immagini per il post ho digitato “tarot”. Mi son balzate agli occhi (nell’ordine in cui son messe) queste, ecco ora interpretatemele voi ‘ste due carte per me, che seppur bella la prima, la seconda un pò mi inquieta.

(*) qualcuno mi spieghi cosa è un uomo normale

PADRONA DEL MONDO


Il brusio del bar mi avvolge. Era tanto che mancavo a questa Milano notturna, fatta di Via Vigevano, locali, bicchieri pieni di ghiaccio, alcol e di rumore. Questo rumore di persone. Mi son sempre meravigliata del rumore assordante che fanno le parole la notte. Questo brusio costante e montante, mi aiuta meglio di un mantra, al distacco dal reale. E vedo.

Sorrisi a volte veri a volte un pò meno. Occasioni mancate, amori in erba, dolori nascosti da fette di lime, desideri pieni di zucchero, sigarette che anelano al cielo attraverso spirali di fumo, pause da quotidiane noiosità, tentativi di socialità per paura di solitudini, abbracci veri e gioielli che brillano nell’iride.

In queste fantasmagoriche visioni, lì, tra i tintinni dei bicchieri altrui, tra le labbra del cameriere che mormora qualcosa e la ragazza che ride, e lì vedo anche me. E comprendo. Non è il tempo che passa, non è la vecchiaia che avanza, o che ho staccato dalla vita notturna, né il fatto che beva solo acqua che mi fa sentire come se fossi un alieno. La differenza è dentro me, non fuori me.

Ero padrona del mondo. Il mondo intero mi apparteneva. Qualsiasi strada io cavalcassi era la mia strada. Che fosse Milano by night, il mare di Alicante, la verde Irlanda, la spiaggia del nostro Adriatico, un bosco delle marche, la città di Innsbruck, ovunque io fossi quel luogo era mio. Come un conquistatore prendevo spazio nel terreno e nell’etere. Senza esitazione. Il mondo era mio. Punto.
Mi apparteneva, lo percepivo, lo sentivo, lo possedevo con ogni mia singola cellula, sei mio! Il mondo percepiva me e mi faceva spazio.

La differenza, oggi, e che non cammino più come se il mondo fosse mio, ma come se ne camminassi ai suoi bordi, sempre pronta a caderne fuori.

Quando è accaduto? Chi mi ha spinto con questa maestria, da non farmene render conto, sul bordo del mondo e da tondo lo ha fatto diventare piatto? Poi penso che la colpa non posso darla a nessuno se non a me stessa.

Sorseggio l’acqua dalla bottiglia, mentre lentamente chiudo il tappo rimando il brusio lontano, spezzo il mantra, e mi penso amandomi.
Seppur in maniera diversa, il mondo sarà ancora mio, lo sento e lui mi sente.
E solo energia, ed io, sappiatelo, la produco.
photo by Peter Allen

Si, forse, avrei dovuto postare una foto notturna di locali e drink, di gente che ride e beve, ma in fondo mi sento rappresentata più da questa.
Sassi levigati dal mare, come anima levigata dal mondo e quella piuma caduta lì, perché in fondo lo ammetto qualche penna, nella vita, io l’ho persa.

BLUE HOPE


deviantart by pascalcampion

Ci son momenti in cui ti siedi, osservi il mondo.
Stai lì in disparte, con i tuoi gatti, sorseggi tazze di kukicha e aspetti.
C’è nell’attesa qualcosa di dolce, la speranza non ancora disillusa che tiene accesso il focolare del fare.

Non hai voglia di palcoscenici eppure non sei capace di non salirci sopra.
Ti ritrai come lumaca sfiorata, ma rispunti fuori alla prima risata.
Un istinto confuso di porta a volere per poi non volere.

I tuoi sogni alle spalle ti mancano.
Scruti l’orizzonte sperando ricompaiano o che ne sorgano di nuovi.
Cerchi ispirazione in ogni lieve movimento intorno a te.
Sospiri lieve nell’attesa.

In fondo, in questo preciso momento, in questo esatto stato d’animo, in questo silenzio colorato di blu, la speranza si tinge dello stesso colore, e l’attesa diventa oasi di pace in cui adagiare l’anima.

PASSAGGI


Depongo colori e parole, appoggio pensieri e ali.
L’attesa può essere riposo, ansia o creazione, la scelta è tua.
Photo by Marina Brydnya

Seguimi, io non mi fermo ad aspettare. Cercami nelle vibrazioni delle note basse, nelle sere estive, nel vento freddo del nord.

Sussurra il mio vero nome al tramonto e nelle prime luci dell’alba, urlalo ai bordi del deserto, riconoscimi nel silenzio della montagna e portami con te ovunque andrai. Perché in ogni momento, in ogni vita, io ti porto con me.

Mi troverai nella percezione del momento, nell’alito del maistro, nel veloce passaggio della breva e nella forza della bora.

Son la foglia che fruscia al tuo passaggio e ti accarezza, il raggio che brucia e ti ricorda il dolore, la pioggia che ti scivola lentamente sul volto e disseta la tua pelle.

Se osservi le nebbie del tempo, mi distinguerai, in questo e in molti altri modi.

Sono l’aquila che volava alto, l’anima che piangeva nel lasciarti dietro se, la donna col capo cinto di fiori che danzava, sono il falò e la paura di quella notte, sono altro ancora che neppure io so.

Sono. Siamo. Questo e molto altro.

La mia vita passa anche attraverso qua, ma non è qua.

PUZZLE


Non ci manca quello che non abbiamo mai avuto o che non vive in noi.

Sono molte le cose che non mi mancano e altrettanto quelle in cui mi sono lentamente consumata nella mancanza. Struggendomi, fino a dimenticarmene, o meglio deponendole in punto preciso dell’anima. Accanto allo stesso luogo dove poggio quei tesori che ho accumulato nelle molteplici vite.

Son tesori differenti da altri, più li esponi e li regali, più si incrementano, ma è così difficile comprenderlo e una volta compreso è così complicato metterlo in pratica.

La speranza è trovare anime affini, come tasselli di un puzzle si incastrano con noi in questa vita, e ci danno un accenno alla visione del disegno.

Io qualcuna l’ho trovata.
Di vita in vita a un certo punto ci incrociamo e indichiamo, uno all’altro, il luogo dove abbiamo deposto il nostro tesoro.

Picture by Piet Flour

A loro devo le mie molteplici vite anche in questa esistenza. Grazie.

BUONI PROPOSITI


I miei dieci buoni propositi “immateriali” del 2015:

01) Parlare di meno.
(Otto volte su dieci è inutile farlo)

02) Leggere di più.
(Nutrire la mente e importante come nutrire il corpo)

03) Pensare meglio.
(Siamo ciò che pensiamo)

04) La priorità sono io.
(E che a volte me ne dimentico)

05) Fanculizzerò come non avessi un domani.
(Anni da recuperare alle spalle)

06) Sarò meno seria.
(Ho bisogno di “leggerezza”)

07) Sarò di una serietà, attraverso i canali della non serietà, che neppure vi immaginate.
(E la parte che ha scelto la foto)

Photo by John Wilhelm

08) Sarò meno tollerante.
(Ma forse lo sono già meno)

09) Devo trovare un posto dove seppellire la me morta.
(Mica è semplice, se il terreno non è quello giusto, poi riaffioro, e a me gli zombi spaventano)

10) Devo conoscere la nuova me arrivata.
(Non fai in tempo a conoscere una parte di te, che subito ne arriva un’altra)

IL BANDOLO


A volte io faccio sogni strani, anzi togli a volte, io faccio sogni strani.

A volte posso usarlo per la tipologia. A volte son degli horror, a volte son irreali, a volte sembrano veri, a volte percepisco l’importanza, a volte ho sognato lunghe sequenze di numeri, a volte ho sentito così tanto dolore da svegliarmi singhiozzante, a volte non riesco a svegliarmi e a volte li ho portati nella realtà e con essa li ho confusi. In ogni caso, quasi sempre so quando un sogno è importante a prescindere dalla mia comprensione.

Credo che avrei potuto tranquillamente far la sceneggiatrice de “Ai confini della realtà” con un discreto successo.

Detto questo sappiate che questa notte ho sognato un mio amico che si sposava. Tranquilli non vi racconto il sogno, ma solo il fatto che a fine festa cercavo una via di Milano, dove avevo lasciato la mia auto. Via Migliorati.

Ammesso e non concesso che esista questa via a Milano, al risveglio, il nome di questa via a intermittenza mi lampeggiava a centro cervello. Poi, improvviso, un microsecondo, Via Migliorati e diventata Migliòrati.
Un piccolo accento è cambia il senso. Spesso son proprio le piccole cose a indicarci le vie più grandi.

Vero voglio migliorarmi, ma da dove inizio? Il gomitolo dové? Perché io davvero non lo so. Ditemi il bandolo dové?
Photo by Laurence Demaison