LA CHIMICA DELL’ANIMA


Ci sono persone che hanno bisogno dell’adrenalina per sentirsi vive: senza, si spengono. Io, invece, appartengo a quelle che hanno bisogno della serotonina per sentirmi viva.

Sono consapevole che la vita è tutto un gioco di adrenalina e serotonina. In noi convivono entrambi gli aspetti. Viviamo in una grande onda di Kanagawa che sale e scende dentro di noi, portandoci in momenti alterni di vita. Ma ciò che a me fa percepire il battito della vita è la serotonina.

Questo non vuol dire che, in alcuni periodi della mia vita, non abbia vissuto in maniera adrenalinica. Quei momenti ci sono stati, e intensi, apparivo viva e felice. Ma lo ero veramente?

Viva sì, felice no. Ero una cover di me stessa, piena di impegni, di cose da fare, di poco tempo, di appuntamenti, di cene e aperitivi, di “organizziamo…”, di millanta conoscenze, di fame nervosa di emozioni. Alla continua ricerca di qualcosa che non trovavo, perché lo cercavo negli altri e non in me.

Quando vivo “serotoninicamente”, invece, rallento i ritmi. Vivo ancora il “fuori”, ma vivo tanto anche il “dentro” con me stessa. Frequento le persone, poche, perché ogni persona ha bisogno di essere vista e vissuta, o meglio, ne ho bisogno io. Ho bisogno di vivere rapporti veri, in cui pezzetti di anima s’incontrano e condividono, non solo ore passate in compagnia.

Leggere un libro, vedere un film (o seguire una serie), scrivere qui, fare una passeggiata con il mio micro cane, bere uno spritz (o un gin tonic) con un amico, condendolo di parole e patatine, addormentarmi con un gatto a lato della nuca e uno sul fianco. Tutto questo fa parte di questo periodo. Tutto ciò mi rende serena, una serenità che sconfina nella felicità.
Certo, è anche il periodo della pigrizia, della voglia di fare poco, del “non fare oggi quello che puoi fare domani”.

Lo so, lo so: non siamo fatti solo di adrenalina e serotonina. Veniamo “aggrediti” dal cortisolo, la dopamina può avvolgerci e l’ossitocina può farci perdere la testa. Ma, secondo me, possiamo essere raggruppati, di base, in due grandi maxi gruppi: gli “adrenalinici” e i “serotoninici”.

E tu? Di base, cosa sei? La grande onda della tua vita, dove ti ha portato in questo periodo?

How to Make Millions before Grandma Dies


Ho visto ieri sera How to Make Millions Before Grandma Dies, un film thailandese del 2024 che trovate su Netflix. Prima vi lascio una sinossi brevissima, e poi in fondo vi condivido il mio pensiero.

La trama:
M è un giovane ragazzo che “lavora online” con scarsi risultati. Abbandona il suo lavoro per prendersi cura della nonna morente. Anche se apparentemente è un gesto che lo fa sembrare un nipote devoto, il suo scopo è un altro.

M non è spinto dall’affetto, ma dalla prospettiva di un ingente patrimonio. Per questo escogita un piano per conquistare il favore della nonna prima che muoia, andando a vivere con lei.

Il mio pensiero:
Vorrei esser più brava a descrivere quello che questo film mi ha trasmetto.  Questo film mi ha lasciato emozioni, forti e delicate contemporaneamente.

Ne avevo sentito parlare bene, ma ho sempre rimandato la visione, temendo fosse “un mattone”. E invece mi sbagliavo. Il film, di circa due ore, è una piccola perla. Lo sviluppo del rapporto tra la nonna e il ragazzo passa anche attraverso le parole non dette, l’incomprensione iniziale, e cresce attraverso i gesti pratici che li avvicinano.

Billkin (*) che avevo conosciuto in due BL stupendi: “I Told Sunset about You” del 2020 e il seguito “I Promised You the Moon” del 2021, ha dimostrato che alla faccia delle sasaeng (*) dei BL e delle ship (*) inventate (sempre dalle sasaseng), che gli attori vanno oltre, e se lasciati liberi di spaziare regalano piccole gemme come questa.

Taew (*) che interpreta la nonna è stata di una poesia che scende lentamente, goccia dopo goccia, dentro chi guarda. All’inizio non si comprende appieno il perché di alcune sue scelte, ma poi si arriva a comprenderle.

Un film che consiglierei a chiunque voglia vedere qualcosa di più delle solite storie, qualcosa che parli di amore. Di quell’amore che cura, che è amorevole, che abbraccia.

PS: Se volete vedere I Told Sunset about You e I Promised You the Moon, li trovate su Viki Rakuten.

PPS: Il film è ispirato da una storia vera.

(*)

I nomi completi sono:
Billkin Putthipong Assaratanakul
Taew Usha Seamkhum
(I nomi thailandesi sono giusto un po’ lunghetti)

Sasaeng: è un termine coreano per indicare un fan ossessivo, con tendenze invasive anche nella vita privata dell’artista. Nel tempo, il termine è stato “esportato” per descrivere fan ossessivi in generale.

Ship: Ship/shippare significa sostenere lo shipping, ovvero fantasticare su una coppia cinematografica (o reale) e tifare perché la loro relazione si evolva, indipendentemente dal fatto che sia vera o no.

SHOAH PALESTINESE


Non so davvero come cominciare.

Qua di solito non scrivo mai di politica, di quello che accade nel mondo. Non lo faccio, ma questo non vuol dire che non sia attenta o che non abbia opinioni. Solo che questo angolo lo lasciavo come un’oasi, un momento intimo, un momento in cui abbassare la tensione che il mondo ci riversa addosso.

Questa volta non ci riesco. Questa volta devo parlarne. Anche se non risolvo nulla, anche se io, da sola, non posso nulla, reputo comunque che il silenzio sia complicità.

Parlo di Gaza.
Parlo del massacro di civili: uomini, donne e bambini, uccisi sistematicamente e con intenzionalità. Parlo di operatori sanitari, locali e internazionali, che hanno subito la stessa sorte. Parlo di un secondo olocausto, dove le vittime di ieri sono diventate i carnefici di oggi.

Parlo di 20.000 V E N T I M I L A  bambini uccisi.
Parlo di 25.000 V E N T I C I N Q U E M I L A bambini feriti.
Parlo di 17.000 D I C I A S E T T E M I L A minori rimasti senza famiglia.
A Gaza il 44% delle persone uccise, sono bambini. Il più piccolo aveva un giorno.

Assistiamo a un olocausto a cielo aperto.
Un intero popolo attualmente sotto le bombe, senza possibilità di aiuti, senza acqua, cibo, cure mediche. Questo perché l’esercito israeliano ha bombardato sistematicamente TUTTI gli ospedali, sia mai che quelli che stanno uccidendo si salvino.

Assistiamo a quello che Benjamin Netanyahu, il gemello cattivo di Adolf Hitler, e il suo governo stanno perpetrando senza timor di dio (parlo del loro dio), senza scrupolo, con sistematica programmazione. Cosa che non solo non gli riuscirà, ma che spargerà milioni di semi d’odio verso di loro.

Vorrei però che non confondeste il popolo israeliano con Netanyahu e i suoi accoliti, perché nella stessa israele molti cittadini (anche alcuni ortodossi, ex soldati, ex ufficiali ed ex agenti del Mossad) contestano questo abominio.

Non confondete le persone con chi le governa e con quella parte che appoggia quel governo. Lo specifico perché non voglio innescare un odio verso altri uomini, cosa che temo comunque accadrà, a prescindere da me e dalle mie parole.
Un’ondata di antisemitismo, pesante per quello che sta accadendo, è già nell’aria. (*)

Scrivo qua, e altrove, solo perché non voglio rimanere “complice” con un silenzio assordante. Lo stesso silenzio che, quasi novant’anni fa, accompagnò i campi di sterminio tedeschi.

A Gaza è in atto una shoah palestinese, e la sta perpetrando chi dovrebbe avere memoria di averla subita.

 (*) Quanto sta accadendo rafforzerà la figura mitologica del “popolo errante” (o “ebreo errante”), figura nata nelle varie tradizioni cristiane. Gli ebrei sarebbero stati condannati a vagare senza riposo per aver insultato e colpito Gesù durante il suo cammino verso il Calvario, e poi per averlo ucciso e per questo, maledetti da dio.

Di progetti, di sogni, di cassetti e di soffioni


Il mio corpo sta invecchiando, e anche la mia mente. È una cosa normalissima che, seppur inconsapevolmente nei primi anni di vita, sappiamo già. Cominciamo a invecchiare nel momento stesso in cui siamo concepiti. Non è questo il problema.

Il problema è che il mio corpo invecchia molto più velocemente della mia mente.

Mi ritrovo quindi a guardare i progetti che il mio cervellino sforna, ad aprire cassetti in cui sogni ancora dormienti aspettano il loro turno, e a domandarmi se quei cassetti riuscirò mai a svuotarli. Domanda un po’ inutile, perché, per esperienza, quando creo spazio vuoto, è solo l’anticamera per riempirlo nuovamente. Come l’universo, tendo al caos.

Non so voi, ma io di progetti ne faccio a millanta. Solo che la maggior parte non prende il volo, altri li lascio volare lontano da me, solo pochi continuano a rimanermi fedeli.

Per i sogni è un’altra questione: devono trovare il modo di uscire dai cassetti e, una volta fatto, devono trovare il modo di realizzarsi. Una volta trovato il modo, devo sperare che non sia passato troppo tempo, tanto da non renderli più sogni.

In tutto questo turbinio di progetti e sogni trasportati dal vento, come soffioni con i loro acheni, cercando una stella su cui mettere radici, ci sono io, con i piedi ancorati a terra. Valuto se, a questo punto della mia vita, ho la forza necessaria per seguirli e curarli.
Tutto ciò senza avere la certezza di una “scala abbastanza lunga” per riuscire a raggiungerli e vederli nascere.

Io, da “giovane”, ho sprecato un sacco di tempo nel “non fare”, e ora un po’ me lo dico che potevo impiegarlo meglio. Ma mi perdono: a imparare che cosa volevo veramente, ci ho messo una vita quasi intera.

Di tutti questi piccoli cuccioli di dente di leone che sono i miei progetti e i miei sogni, qualcuno riuscirò a prenderlo, forse non a completarlo, o forse sì, o  forse l’adolescente mai sopita che è in me continuerà a dirmi: “Sti cazzi, fai e vai” (ho un’adolescente sboccata).

Quindi allunghiamo la mano e via, a prenderli, per portarli a terra quei cuccioli di dente di leone.

Come ti innamori tu?


La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota.
(tratto da Donne dagli occhi grandi di Angeles Mastretta)

Leggendo questa frase mi sono bloccata al pensiero “sono io”, non tanto per “donne intelligenti” (anche se una parte di me lo pensa… a volte), ma quanto al “come un’idiota”.

Questo perché, le pochissime volte che mi sono innamorata (dalla regia mi dicono “una volta e mezza”), mi sono innamorata così, come un’idiota, senza se e senza ma.

Credo che sia per questo che faccio fatica, oggi come oggi, a pensarmi innamorata. Fare la figura dell’idiota non mi piace, e diciamolo, essere idiota in amore porta sofferenza.
Me lo domando, esiste la possibilità di innamorarsi come un intelligente?

E tu? Come t’innamori?

Nel frattempo io, mentre cerco il modo intelligente, m’innamoro ad ogni drama cinese, coreano, giapponese e thailandese. Insomma mi innamoro di ogni protagonista di movie asiatici e/o cantanti di cui mi piace la musica. Confesso qui sono poliamorosa: non caccio via mai nessuno dal mio cuore, ma divento un’accumulatrice seriale.

PS: Ultimamente comincio ad innamorarmi anche di acluni personaggi maschili degli anime…

VENTO


Lo sto sentendo arrivare, quel rumore tipico, quello del vento che sta per arrivare e muove tutto intorno, quello che mi fa scombinare cose, persone e situazioni, quello che mi fa annoiare delle cose che amavo e mi rende irrequieta, mi trasformo in una avanguardia alla ricerca di non so che.

E’ un vento periodico, come i monsoni e le brezze costiere, che cambiano direzione stagionalmente o giornalmente, solo che io non so mai se sarà un monsone con annesso tifone o una leggera brezza marina che però è mutevole e mi lascia instabile ogni singolo giorno.

Negli anni ho imparato la geodesia della mia vita, ho compreso la ciclicità con cui arriva quel vento, circa ogni tre anni.

Arriva come Tramontana, un vento del nord freddo e secco, foriero di bel tempo, peccato che nel frattempo io senta freddo e diventi irrequieta, molto irrequieta. Poi, mentre procede, lentamente si trasforma a volte in un Ponente fresco ma gradevole o in uno Scirocco caldo, infine si calma e resta la quiete.

Con il vento, non c’è mai nulla di certo, neppure che ne uscirai indenne.

Vabbè, ragazzi, sono vaneggiamenti da inizio periodo Tramontana, vediamo dove mi porterà il vento questa volta!

LIGA


Mentre sorseggio il cappuccino, rigorosamente di soia, la televisione del bar trasmette musica, come ogni mattina. Passa una canzone e subito mi domando come mai non lo ascolto da anni. Le sue canzoni mi piacciono e le sue parole ancora di più, quindi perché?

Risalgo in auto e sposto spotify su lui, Ligabue. Lo ascolto mentre faccio l’ultimo tratto di strada prima di entrare in ufficio.

Anni fa avevo iniziato ad ascoltarlo perché piaceva a un ragazzo che mi piaceva.
Insomma quelle così lì, che molte persone fanno, iniziano ad amare quello che ama chi amano.

Quando il ragazzo che mi piaceva non c’era più, era rimasto il Liga, con le parole delle sue canzoni, sempre sentite mie, quasi mi avesse letto la mente.

Poi non so, ho smesso di ascoltarlo, a dire il vero per molto tempo avevo smesso di ascoltare musica. Negli ultimi anni avevo ripreso, ma ero andata su tutt’altri generi.

Oggi il Liga è ritornato prepotentemente con le sue parole che sono anche le mie.

Il Liga è come se mi mettesse una mano in gola, scendesse fino alle viscere, trovasse lì la mia vena malinconica e la riportasse in superficie. La mia malinconia è dolce non aspra, è una compagna di vita che ogni tanto caccio via, ma che è impossibile estirpare del tutto.

Dicono che la malinconia sia il desiderio di qualcosa che non abbiamo mai posseduto veramente, eppure che ha lasciato un vuoto, ma non saprei dirvi quale sia il vuoto mio, anche perché mi accompagna fin dai primi anni di vita, insomma da quando ho memoria di me.

Dicono anche che la malinconia sia prerogativa di alcuni temperamenti, e che la persona malinconica è silenziosa, introversa, fantasiosa e romantica. Tutte cose che non aiutano il rapporto con gli altri, non in questa società.

Comunque sia, so che nei prossimi giorni, tra le parole di una canzone e l’altra, si mischieranno i miei pensieri, mentre la malinconia li mescolerà ancora di più per farne parole nuove, che forse non pronuncerò mai, e rimarranno solo nuovi pensieri.

TI VOGLIO BENE


Il “ti voglio bene” per me è una frase difficile, per me dirla vuol dire esporre la parte più indifesa e delicata di me.

E’ una frase complicata per le mie labbra, non perché non lo pensi o non lo provi ma solo per quella tremenda sensazione che nel dirlo squarcio un attimo la mia corazza, ritrovandomi “nuda” davanti al mondo.

L’altra sera sono uscite da sole, inaspettatamente anche per me, in quell’abbraccio di saluto post pizza e birra. Avrei voluto dirti anche cosa quel “ti voglio bene” conteneva, ma non sono andata oltre.

Avrei voluto dirti che anche se ci si vede random, perché il nostro quotidiano ci riempie d’impegni e doveri, in questa mia vita io ti sento presente, da anni, a differenza di tante altre persone.

Avrei voluto dirti che mi ricordo ancora quando alla tua festa di laurea mi hai chiesto la macchina fotografica con cui immortalavo la festa, e al momento della stampa, sei chiappe di cui due tue, erano presenti.

Avrei voluto dirti quanto sia ancora presente il ricordo di quando ci hai accompagnato (me e Progenie, agendo d’istinto e d’impulso, chiedendo un permesso al lavoro) in un lungo viaggio in auto, salvandoci da una situazione pesante, in cui portavamo il corpo materico di mia madre nella terra delle sue origini.

Avrei voluto dirti che sei entrato in questo cuore in maniera definitiva, permanente e indelebile quando dopo la morte di mia madre, tu l’unico, sei stato presente non a parole ma con i fatti; per oltre una settimana con il sacchetto della spesa, arrivavi a casa da me e cucinavi per me e Progenie.

Avrei voluto dirti che, quando ormai adulta e con una figlia a sua volta adulta, ho avuto un “ritardo di quasi un mese”, tu sei stato l’unico, quello con cui uscivo e parlavo a cuore aperto del mio terrore, poi rientrato.

Avrei voluto dirti che mi ricordavo anche le serate alcoliche, i tuoi compleanni in posti improponibili, il tuo non dire e comprimere quello che provi, il tuo tenere tutto dentro per non pesare sugli altri, ma che io vedo.

Avrei voluto tante altre cose, ma è uscito solo quel veloce “ti voglio bene” mentre ti abbracciavo e salutavo.

E tutti quei “ti voglio bene” non detti l’altra sera, te li dico ora, da lontano, così non mi prendi in giro (perché lo faresti) e così non mi vergogno io, di mostrami “nuda” nei miei sentimenti.
Oggi trovo il coraggio e mi mostro “nuda” al mondo per dirtelo, amico mio

TI VOGLIO BENE

(e ora vado a nascondermi da qualche parte)

LA GLICEMIA DELLA FELICITA’


Quando la fortuna è dalla tua…
Vai nella China Town Milanese a far spedizione punitiva con gli amici (La Ing., La Donna Creativa e KravMaga Man), alla ricerca del Makgeolli.

Dove compri il Makgeolli, una birra asahi da mezzo litro, una birra Kirin da mezzo litro (si capisce che mi manca il Giappone?), un pacchetto di fagioli mung, una confezione di alghe wakame e i piselli tostali alla cipolla (non sono buoni, di più).

Tu avresti voluto prendere quelli all’aglio, consapevole dei problemi respiratori che avresti dato a chi ti era vicino, ma poi rivolta a KravMaga Man hai esclamato: “Ma che me frega, tanto sono single!”, e lui candidamente ti risponde: “Forse è per quello…”.
Ooooook! Vada per quello alle cipolle (ma credo che il problema sussista ugualmente).

La Ing. prima di uscire dal supermercato cinese compra dei biscotti della fortuna, e quando esce ne distribuisce uno per ciascuno di noi. Chissà cosa ci riserva la fortuna!

Apro il mio. Tra tutti, solo il mio biscotto della fortuna, era VUOTO!

Ho provato a scuoterlo, aprirlo, girarlo, forse è incollato dentro, forse è fuori nella confezione, supplicarlo, niente. VUOTO!
La domanda sorge spontanea: “L’universo mi vuol dire qualcosa?”.

Un altro breve giro per negozi, tra cui uno di quelli dove compreresti tutte quelle cose che non ti servono a niente, ma che vuoi assolutamente! Da quel negozio sono uscita con un bellissimo vestito cinese made in Vietnam (che indosso in questo momento), preso dal cestone dei vestiti con le taglie disassortite, alla folle cifra di € 9.90.

A quel punto la fame stava prendendo possesso di noi e quindi siamo andati alla ricerca del negozio che vende i baozi (panini al vapore cinesi ripieni).

Lì, tra un morso al panino e un sorso di birra, sono partiti tra KravMaga Man, La Donna Creativa e la sottoscritta, discorsi filosofici di vita e sulla felicità.

Il sunto?

La felicità è come la glicemia

ha i picchi e le cadute!

Più un momento di felicità ha raggiunto alte vette, più la fase discendente sarà profonda nel momento in cui (inevitabilmente) inizierà la discesa.
Quindi meglio avere momenti di serenità nella vita, o di felicità?

Io è KravMaga Man abbiamo optato da qualche anno per la serenità, La Donna Creativa si è riservata di ragionarci sopra.
Nel frattempo che noi disquisivamo, La Ing. mangiava mini baozi e beveva birra, cosa che potrebbe essere la terza opzione della domanda!

La cosa che ci ha accomunato è stata che ognuno di noi si ritiene fortunato della vita che vive (questo nonostante il mio biscotto della fortuna VUOTO!), consapevoli che non ci manca nulla, che possiamo quindi, spaziare in questa esistenza.

Questo grazie anche al fatto che uno viva la vita cercando la felicità, o cercando la serenità, avere degli amici con cui parlare dei picchi glicemici della felicità, aiuta entrambe le teorie.

PS: Anche quella “bevo birra e mangio baozi” 😉

MINO AYATO


Mi sono innamorata in meno di un secondo di lui, anni fa, con una frase: “Arredare con il vuoto”.

Il mio amore per il Giappone è nato lì, sfogliando una rivista di architettura, in una frase letta per caso.

Sono consapevole che posso sembrare un po’ folle, non so neppure se riesco a comunicare con voi quello che voglio dire, se riesco a farvi capire, come una piccola frase letta per caso, abbia potuto farmi amare e innamorare di un paese di cui (allora) non conoscevo niente; eppure è successo.

Quella frase mi fece sentire a casa, avvolta in qualcosa di familiare. Percepii un modo di vivere e affrontare la vita, che in qualche modo era insita in me (non che io ne sia capace, la mia casa e la mia vita, è tutto tranne che contenuta nella frase “arredare con il vuoto”, direi di più che il mio arredatore è il Dr. Caos).

Lungi da me, ai tempi, la possibilità di approfondire e conoscere, ma rimase lì, come un piccolo seme nel cuore, in condizioni di non sviluppo. Negli ultimi anni quell’amore si è nutrito di arte visiva, di film, di libri e della loro dicotomia che ogni volta mi colpisce e affonda.

Un amore, a senso unico, durato anni. Neppure nei miei pensieri più lontani pensavo che sarei potuto andarci un giorno. Un sogno troppo grande, ed io ai sogni non credevo più.
E invece.

Invece scriverò qui del mio viaggio in Giappone di questi giorni, dell’aver scoperto che il Giappone mi ha amato, non so se quanto lo amo io, ma ogni giorno in cui sono stata, mi ha avvolto del suo amore e della sua gente.

Sono ritornata in Italia da pochi giorni e già manca, soffro di “mal di Giappone”. Scrivere dei giorni passati lì e mostrarvi le foto amatoriali (quindi perdonate se non sono perfette) che ho fatto, è il mio modo di lenire la sua mancanza.

Il Giappone dopo avermi conquistata con la frase “Arredare con il vuoto” mi ha fatto innamorare perdutamente di se con la sua “La presenza dell’assenza“.

Ps: se vi chiedete il perché del titolo… non lo so!
Me lo sono sognata questa notte. Non conosco nessuno che risponda a questo nome, non so neppure se sia un nome maschile o femminile, o se Mino sia un loro cognome, ma mi sembrava giusto dare questo titolo al mio primo post avendo Morfeo inviatomi questo misterioso input!

(C’è qualche Mino Ayato per caso nei dintorni?)

C’è chi in viaggio fotografa solo architettura e paesaggi e poi ci sono io.
Ecco a voi un buonissimo panino made in Japan imbottito di noodles!
(come fai a non amarli!?)