SMAGLIATA


Smagliata.
Non è senza maglione.
Ma come vedo la mia vita.

Guardo le foto fatte dal Chiwaz a Progenie (bellissima fuori e intensa dentro), con i miei vestiti e le mie scarpe, o meglio quelli che furono i miei vestiti e le mie scarpe fino a un anno fa.
Guardo le foto che lui mi ha appena fatto a una cena pochi giorni fa, e poi ci si mette anche Mark Zuckerberg con il suo filmato regalo “degli ultimi anni della vostra vita”.
E il vaffanculo parte silenzioso e intenso come la notte dopo aver mangiato i fagioli a cena. Ma come ho potuto, in così poco tempo, farmi questo?!

I vestiti son i miei con quattro taglie in meno. Nel “filmato regalo” degli ultimi anni, ballo, sorrido e sono sempre circondata da persone e amici, dove c’è da fare, organizzare e ridere io ci sono e la vita è il mio palcoscenico.
Questo nonostante periodi cupi e non leggeri, nonostante abbia pianto e sofferto percorrendo gli anni, ma la mia soffusa tenace grinta era lì sottopelle che scorreva insieme al sangue. E ora no. E la forza manca.

Scelte sbagliate, persone sbagliate, stanchezza che copre, anni che corrono e sfiancano. Sono davvero un’ombra sbiadita di quello che ero, un ritratto di Dorian Gray al contrario.
Da qualche parte, dentro, io son lì che danzo e sorrido, ma fuori son grigia, ringhiosa, stretta tra doveri, responsabilità, penuria e sfiducia, un arrancar in salita. Ciò che è dentro è fuori, ed io son diventata vecchia in pochi mesi.

Niente suggerimenti di pensieri positivi. Se riuscissi a farli in questo momento, non scriverei questo post. Niente pacche sulle spalle, perché questo scritto non è una richiesta di aiuto, ma è uno specchio in cui rifletto e vedo.

Non me la prendo con gli altri, me la piglio con me stessa. Tutti questi anni sprecati, tutti questi anni a capire. Madre Terra non è mamma, è matrigna e ti alleva alla sopravvivenza. Ce la fai? Va bene. Non ce la fai? Soccombi.
Ma io non riesco, non mi rassegno alla sola sopravvivenza, io anelo alla vita, e da qui la sofferenza.

E in tutto questo grigiore e questa pesantezza, da un punto non preciso di me, sento la mia anima che danza, e mi sussurra: “C’è del buono anche in questo periodo. Hai potato rami secchi e falsi amici, hai visto chi sono “i ti voglio bene a parole” e chi “i ti voglio bene con i fatti e le parole”, hai smesso di aspettare, sei andata oltre perché chi aspetta non sarà mai raggiunto”.
Il problema è che io son andata oltre, ma non so dove.

Che fatica crescere, non si smette mai.

SENZA PELLE


Sentire il mondo senza pelle. Poi metti la corazza. E' sopravvivenza. Ma a volte la corazza diventa prigione.
Sentire il mondo senza pelle.
Poi metti la corazza. E’ sopravvivenza.
Ma a volte la corazza diventa prigione.

PUNTO DI NON RITORNO


E’ una di quelle giornate in cui non riesci a capire se l’aria ti opprime come un’incudine sopra i polmoni o se cerca una via d’uscita dagli stessi e nel farlo ti squarcia il petto in due.
Pensieri si attorcigliano tra di loro rimanendo distinti. Groviglio lineare di cui non trovi il capo per scioglierlo.

Vorrei tanto avere ancora quella fiducia. Quando pensavi a me, pensavi anche a quel lato sorridente. E invece no, invece basta.
Cé un punto di non ritorno anche da noi stessi.

Rientro nel mio pianeta, in cui ascolto e sto in disparte.
Al mondo non parlo più, ma ringhio soltanto.

La follia diviene culla in cui adagiarsi e farsi dondolare in un abbraccio consolatorio nell’attesa del nulla.

GIORNI DI CELLOPHANE


Dio o chi per lui in genere è buono con me.
Ogni tanto però si diverte a mettermi alla prova (o si diverte alle mie spalle) in modo abbastanza pesante. Ogni volta un po di più. In compenso a parziale compensazione mi ha dato un angelo custode con i controcoglioni.
Insomma dio o chi per lui, ha con me un rapporto del tipo ti farò del male ma ti darò protezione, che detta così più che un dio sembra un capo mafioso.
E così accade che lui o chi per lui, periodicamente mi fa vivere i giorni di cellophane per farmi capire l’importanza del respirare a pieni polmoni questa vita.

I giorni di cellophane, sono quelli in cui vivi e osservi il mondo come se ti avessero avvolto il corpo, il volto, gli occhi, la bocca con trenta metri di pellicola. Non vedi bene, ti muovi male e più vai avanti più ti manca il respiro, boccheggi, ti sbatti, non respiri non respiri, e in quel momento devi scegliere che fare. Lasciarti andare o lottare per togliere il cellophane?

Dio o chi per lui in genere è buono con me.
Questa volta, in questi miei giorni di cellophane, si è reso conto che ho lottato, ma che sono esausta (sarà l’età che avanza?). Che questa volta togliere dalla bocca quella fottuta pellicola non è stato facile, mi sa che si è reso conto però questa volta forse un pò ha esagerato. Per questo ha permesso al mio angelo custode di fare un paio di buchini in corrispondenza degli occhi, così mentre respiro e mi tolgo il resto della pellicola dalla pelle posso vedere. E a dir la verità, ho visto…. che dirti dio o chi per lui, esisti e ora ho le prove. Grazie, avevo bisogno di un piccolo incentivo, seppur bastardo.

E tu mio caro angelo custode, compagno di tante avventure, che a volte pensi “Ma una meno impegnativa no?!” e mentre lo pensi mi abbracci con un sorriso, si tu batti il cinque! Cé l’abbiamo fatta ancora una volta. La trasmutazione è avvenuta, non son più quella di prima, non so ancora chi sono ora, ma so che sono qui.

LETTERA AD UN AMICO


Amico mio,

Non è che io devo o voglio mutare pelle…. ACCADE…

Nel nostro corpo, ogni giorno migliaia di cellule muoiono e al loro posto ne nascono delle altre simili. Simili non uguali.
E così nasciamo rosei e paffuti bimbi e moriamo da vecchi con le rughe, eppure siamo la stessa persona.

Giorno dopo giorno, nascono sempre nuove cellule simili a quelle precedenti, ma sempre più diverse da ciò che erano le cellule originali.

Ciò accade al nostro corpo.

A me accade anche “dentro”.

Purtroppo la maggior parte delle persone non riesce a vedere i mutamenti interiori come quelli esteriori, ti cristallizza in un’immagine, ti impacchetta in un contenitore e non ti guarda più, non ti ascolta più, non ti presta più quel minimo di attenzione, quel minino di interesse che per me è vitale se riferito alle persone che “decido” di tenermi accanto e a cui mi lego emotivamente.

Una volta che ti hanno cristallizzato non si preoccupano di osservare se sei cambiata, se il “taglio dei capelli” è diverso, se la tua “chioma” era nera ed ora è rossa.

Ti danno per scontata e per me è l’inizio della “morte”.

Tu parli, ma loro non ti ascoltano, pensano già a cosa risponderti ancora prima che tu finisca di parlare, perché dentro loro pensano di conoscerti e di sapere chi sei, come pensi, come vivi, come ami, solo perché è passato del tempo da quando ci si è incrociati la prima volta.

Eppure tu non sei più la stessa, ma loro ti vedono come lo fossi, e questo a volte ti fa male, a volte ti annoia e a volte ti insegna a rassegnarti all’umana stupidità.

Ecco la mutazione, il cambio della pelle, il cambio di vita, il cambio di persone accanto.
La mutazione non è altro che un grido di vita, come il primo vagito di un bimbo quando esce dall’utero di sua madre, contro la mummificazione della vita stessa.

In questa mia mutazione ho voluto portare anche te, non solo te, amico mio.
Non chiedermi perché, non saprei darti una spiegazione logica, solo una sensazione, un leggero friccicore interno, che mi ha fatto pensare “Si, forse sarà capace di vedermi per quello che sono ora, senza lasciarmi incatenata a ciò che pensava di me”. O forse è solo perché, a dispetto di tutto, accade che mi leghi emotivamente a delle persone in maniera particolare (No… non saprei neppure spiegarti perché mi sono legata in maniera particolare a te) e faccio fatica a non portarle con me.

Amico mio, credimi molti sono convinti che io sia legata a loro, ma io mi lego molto difficilmente, è ciò accade solo per la paura di soffrire.

Con alcune persone rischio, con te ho rischiato, con te rischio.

Ammetto, per un pò ho anche giocato, solo un pò però, quel tanto che serve alla mia parte bambina di ridere e di vivere con il sorriso, non certo per ingannarti.

Chiudo questa lettera con la speranza che tu riuscirai a vedermi per quello che sono ora e per quello che diverrò domani.

(scritto molto tempo fa ma sempre un evergreen)

LA TELA DELLE ANIME


Come gocce di rugiada, siamo anime posate sulla ragnatela della vita, quando un’anima freme, quelle intorno a lei vibrano insieme.

Ieri scorrazzando per un attimo sulla pagina di un noto social, mi soffermo su uno stato postato dalla mia amica Laura.
Leggo, rileggo, leggo ancora e cerco il nome dell’autore di quelle parole. Lo trovo, anzi la trovo e così mi ritrovo a cercare e leggere i pensieri sparsi di Susanna Casciani.

Ho trovato parole mie che non sono mie, eppure mi appartengono come la mia pelle e fanno parte di me come il respiro che mi sostiene per vivere. Scopro che una parte di me vive in un altro viso, in un altro corpo, con un altro nome Susanna.

Leggo quello che ha scritto, che scrive, quello che dice di se. Ne ho la sicurezza, non so quando e come, ma mi è entrata “dentro”. Nella notte ha rovistato nel mio cuore, aperto la mente e copiato quello che avevo celato. Sì, ha fatto un copia e incolla di una parte della mia anima.
Mi sento come denudata, qualcuno vede queste parti di me e le descrive. La sensazione è la stessa del sognarsi nudi in mezzo alla folla.

Ho letto molte parole di Susanna, ma queste sono quelle che ho letto da Laura:

Non ci credere a quelli che ti dicono che un giorno ti alzi e non ci pensi più.
Non è vero, ti stanno prendendo in giro, ti stanno tenendo nascosto che è faticoso uscirne e iniziare a stare meglio.
Ti stanno tenendo nascosto che c’è da perdere ogni energia, da sforzarsi di fare cose che si odiano, da cercare di piangere quando non ci riesce farlo e da cercare di smettere di piangere quando non ci riesce farlo.
C’è da ingrassare e da dimagrire e da rovinarsi un po’, e da distruggersi e da ricostruirsi e si suda, e si va a letto stremati, e ci si trasforma e si diventa freddi e poi ci si inizia a mancare e allora ci si rincorre e si ricomincia a fare quello che si è sempre fatto per non perderci del tutto, anche se continua a fare male.
Non ci credere a quelli che ti dicono che è una cosa automatica, che passa da sé, che l’amore è così.
No.
Sei tu, ti vedi?
Tu devi darti da fare, devi impegnarti, perché rimanere soli non è un gioco da ragazzi, non è una di quelle cose che “poi passa”.
Devi farti il culo per fartela passare.

Laura e io siamo diverse, di età, di scopi, di intenti, di frequentazioni. Ogni tanto incocciamo nella vita dell’altra, quando ciò accade, ci comprendiamo subito. L’anima parla la stessa lingua per quello lei ha postato quello scritto, per quello io l’ho letto, per quello entrambe ci siamo ritrovate nell’anima di Susanna.

EMBRIONE


Per come sono fatta la cosa più faticosa è cominciare, figuratevi ricominciare!

E non pensate che nel mentre scriva io pensi a un uomo e a una storia d’amore. Specifico perché so moltissime persone pensano che se una donna è sofferente è colpa di un’amore putrescente e del relativo uomo (uomo vale per le etero e i gay, donna vale per le lesbo, entrambi per i bisex o a vostra scelta perchè tra gender e sottogender io mi perdo).
Ma non è così, io son bravissima a star male e autodistruggermi anche per altre cose. Ma non è una cosa di cui scriverò oggi dei miei ultimi cinque mesi. Oggi stavo scrivendo della faticosità del ricominciare. Ricominciare a sorridere, a lottare e soprattutto a credere. Fatto questo il resto viene da se.

Io mi accorgo quando questo accade perché guardo e osservo senza la patina di grigio; “sento” la bellezza delle cose attraverso gli occhi e nel contempo vedo la comicità della vita e di quello che abbiamo intorno.
Sabato pomeriggio, in una passeggiata nella Bergamo alta (e bassa) mi sono accorta che qualcosa si è mosso. Lo sguardo si posava e l’anima si emozionava
Emozione

Lo sguardo cadeva, la mente sorrideva, l’ironia coglieva

Casa della libertà per l'esercizio della tirannia!?
Casa della libertà per l’esercizio della tirannia!?

Un embrione sta crescendo.  Una parte di me sta rinascendo,  ciò piace a tutte le mie personalità multiple.

PS: Clicca qui se vuoi vedere qualche altra immagine del mio sabato pomeriggio

PPS: Devo ringraziare Progenie e VB che mi hanno spinta ad andar con loro.

SINDROME POST TRAUMATICA DA VITA


Che poi ti dici ma che sindrome è sindrome, al massimo io ciò la sindrome del bombolone alla crema ingurgitato.

Che poi ci pensi e ti dici bé se comincio a metter i mattoncini da quando ero piccola, si vabbé, ma tutti iniziamo fin da piccoli a soffrire

Che poi ci rifletti e soppesi e si in effetti una dietro l’altra né, ma tutte sopportabili le batoste, per l’amore del cielo, e poi le ho superate. Bé forse superate superate no, ma accantonate, messe lì in un angolo a prender polvere si. Bé forse tutte sopportabili non proprio, una forse no, ma fa niente l’ho messa in fondo in fondo, con sopra tutte le altre così non la vedo.

Che poi te lo dici, si ok, ma l’ultima alla fine è meno peggio delle altre, i tradimenti, le coltellate alla schiena, è roba di tutti i giorni.

Che poi sospiri, si dai, ti avevano avvisato quando eri giovane, “La vita è dura, vai bene te che sei giovane, vedrai”, insomma lo dovevo sapere che prima o poi.

Che poi ragioni, se cade una fondamenta ne costruisci un’altra, si ma però è un casino toglier le macerie prima.

Che poi te le guardi proprio, lì una sopra l’altra, tanti piccoli traumi di vita si impilano uno sopra l’altro, come piccoli lego, fino a quanto sono troppi e tutto crolla.

Che poi infine lo ammetti, cazzo cazzo, son in piena sindrome post traumatica da vita!

GLI SCALINI DEL DOLORE E L’ASCENSORE ROTTO


Ci son cinque scalini per superare il dolore (così dicono gli esperti) e io che son pigra vorrei prendere l’ascensore per superarli, ma dalla regia, mi dicono che non si può. L’ascensore è rotto da millantanni. Insomma vanno fatti a piedi.

Questi scalini, una persona, nella vita li deve far più volte. Rassegnatevi, chi non li fa più volte è solo perchè è bloccato al quarto gradino di un dolore e non riesce a superarlo. Credetemi meglio farli più volte che rimanere bloccati su uno con gli altri dolori che premono dietro per essere risolti pure loro.
Lo so avete una curiosità (ma anche se non l’aveste, li scriverei lo stesso, il post è incentrato su questo!), quali sono questi cinque scalini? Orbene immantinente ve li sbatto qua sotto.

Negazione della realtà e isolamento Cerchiamo di difenderci dal dolore e diciamo in ordine sparso e casuale: “No no no”, “Non può essere”, “Forse ho capito male”, “Non è vero”, “Non è possibile”. Dura poco, la realtà ci precipita addosso e piombiamo in pieno nella….

Rabbia E’ quando siamo precipitati nella realtà o meglio lei ci è precipitata addosso, ma noi non siamo ancora pronti ad accoglierla. Cazzo tutta questa emozione, tutto questo dolore, tutto questa sofferenza che ci tartassa dentro “ma perchè!? perchè?!” ed esplode la rabbia. La rabbia è un’emozione potente, la più potente e la meno gestibile che io conosca, per questo la temo e invece di indirizzarla all’esterno la reindirizzo all’interno di me, chiaramente con effetti devastanti per la sottoscritta. Ma tantè che si arriva….

Auto recriminazioni Quando la rabbia si affievolisce, si comincia a pensare e dirsi cosa si sarebbe potuto fare per evitare quel dolore e cominciano i “SE”: “Se fossi stata più attenta”, “Se mi fossi ascoltata”, “Se fossi meno stupida”, “Se… se… se…. se….” .
Personalmente quando son in questo scalino ogni tanto riscivolo sul secondo poi risalgo sul terzo fintanto che stanca di questo su e giù mi ritrovo nel quarto ovvero…

Depressione In linea generale a questo scalino accade che l’umore è depresso, si hanno sentimenti di tristezza, inappetenza o voracità, crisi di pianto, agitazione e scarsa concentrazione e in qualche modo non riesci a lasciare andare ciò che ti ha portato qua.
Io questo scalino lo odio. E dove soggiorno di più. E dove faccio più danni a me stessa. Questa volta tra le altre cose son riuscita a nell’arco tre mesi a metter su oltre 15 chili di depressione in formato adipe. Se ci penso torno al punto due, ci metterò mesi e mesi e mesi a togliere la depressione nella sua forma fisica cicciosa. Fanculo! Ma finalmente dopo cè…

Accettazione La depressione scema, si tenta di tornare a una vita normale, si contano i danni fatti a se stessi (e a volte agli altri, io spero di non averne fatti), si progetta la riparazione e la ricostruzione di se stessi. Ora il tempo di questo ultimo scalino è variabile, ma non importa quanto, l’importante è arrivarci, perchè ci son persone che non riescono mai a raggiungerlo… e vivere nella depressione per sempre non lo auguro neppure a chi mi ci ha portato a me nella depressione.

Io attualmente sono con un piede nel quarto scalino e uno sul quinto. E’ il piede sul quinto gradino che mi fa scrivere questo post, di conseguenza non potrò neppure incazzarmi se qualcuno di voi mi dice che scrivo con i piedi.

LETTERA AD UN AMICO


Amico mio,

Non è che io devo o voglio mutare pelle…. ACCADE…

Nel nostro corpo, ogni giorno migliaia di cellule muoiono e al loro posto ne nascono delle altre simili. Simili non uguali.
E così nasciamo rosei e paffuti bimbi e moriamo da vecchi con le rughe, eppure siamo la stessa persona.

Giorno dopo giorno, nascono sempre nuove cellule simili a quelle precedenti, ma sempre più diverse da ciò che erano le cellule originali.

Ciò accade al nostro corpo.

A me accade anche “dentro”.

Purtroppo la maggior parte delle persone non riesce a vedere i mutamenti interiori come quelli esteriori, ti cristallizza in un’immagine, ti impacchetta in un contenitore e non ti guarda più, non ti ascolta più, non ti presta più quel minimo di attenzione, quel minino di interesse che per me è vitale se riferito alle persone che “decido” di tenermi accanto e a cui mi lego emotivamente.

Una volta che ti hanno cristallizzato non si preoccupano di osservare se sei cambiata, se il “taglio dei capelli” è diverso, se la tua “chioma” era nera ed ora è rossa.

Ti danno per scontata e per me è l’inizio della “morte”.

Tu parli, ma loro non ti ascoltano, pensano già a cosa risponderti ancora prima che tu finisca di parlare, perchè dentro loro pensano di conoscerti e di sapere chi sei, come pensi, come vivi, come ami, solo perchè è passato del tempo da quando ci si è incrociati la prima volta.

Eppure tu non sei più la stessa, ma loro ti vedono come lo fossi, e questo a volte ti fa male, a volte ti annoia e a volte ti insegna a rassegnarti all’umana stupidità.

Ecco la mutazione, il cambio della pelle, il cambio di vita, il cambio di persone accanto.
La mutazione non è altro che un grido di vita, come il primo vagito di un bimbo quando esce dall’utero di sua madre, contro la mummificazione della vita stessa.

In questa mia mutazione ho voluto portare anche te, non solo te, amico mio.
Non chiedermi perchè, non saprei darti una spiegazione logica, solo una sensazione, un leggero friccicore interno, che mi ha fatto pensare “Si, forse sarà capace di vedermi per quello che sono ora, senza lasciarmi incatenata a ciò che pensava di me”. O forse è solo perchè, a dispetto di tutto, accade che mi leghi emotivamente a delle persone in maniera particolare (No… non saprei neppure spiegarti perchè mi sono legata in maniera particolare a te) e faccio fatica a non portarle con me.

Amico mio, credimi molti sono convinti che io sia legata a loro, ma io mi lego molto difficilmente, è ciò accade solo per la paura di soffrire.

Con alcune persone rischio, con te ho rischiato, con te rischio.

Ammetto, per un pò ho anche giocato, solo un pò però, quel tanto che serve alla mia parte bambina di ridere e di vivere con il sorriso, non certo per ingannarti.

Chiudo questa lettera con la speranza che tu riuscirai a vedermi per quello che sono ora e per quello che diverrò domani.

(scritto molto tempo fa)