ONIRICONAUTA


Quelle tre dita premute con forza sulla bocca dello stomaco mi spingono “oltre”.

L’ignoto mi congloba, ma quella mano che mi ha spinto non è nemica.
Quei tre o forse quattro punti bianchi luminosi che vedo poco sopra me, son solo l’apertura di qualcosa che mi è benevolo, ma la paura trattiene come tela di ragno.
Poi mi lascio andare.
water

Al risveglio non ricordo molto.
La memoria è cubetto di ghiaccio sulla sabbia rovente a mezzogiorno.
La sensazione rimane lo stesso, forte.
Il peggior nemico che ho, che abbiamo, è la paura di ciò che non conosciamo.

Noi cerchiamo di costruire castelli sulla terra, quando dovremmo ricordarci che la vita è un mare in movimento. Le acque possono esser pericolose vero, ma anche cullare come braccia di madre.

Lo scrivo qui per ricordarlo, perché non so voi, ma io lo dimentico troppo spesso.

ANGOLI


Sonnecchio nella vita e mi parlo attraverso gli specchi delle immagini.
Photo by Noni Panayotov

Scruto e ricerco chi possa andare oltre, e vedere aldilà della piccolezza di questa vita.

Andare verso i cent’anni fa percorrere strade poco frequentate, e con il tempo apprezzi anche la solitudine di certi percorsi, ma ogni tanto vorresti spartire angoli di strada.

POST IT


Ora io non vorrei esser pesante, sto anche dimagrendo di brutto sappiatelo, ancora pochi mesi ed avrò un fisico abbestia, ma questa cosa devo dirla, e lì che mi solletica i polpastrelli.

Mai obbligato nessuno a frequentarmi, mai costretto nessuno a esser diverso da quello che è e mai obbligato nessuno a far niente che non volesse fare.

Ok da questo discorso escludiamo Progenie, bè a lei qualche cosa l’ho obbligata a fare, tipo andare a scuola quando era piccola o a non lasciare (anche ora) i piatti sporchi nel lavello la sera. Altrimenti appena sveglia, me li ritrovo sotto gli occhi e divento un bufalo in spm.

Sto divagando, dicevo mai obbligato nessuno a frequentarmi, mai costretto nessuno a esser diverso da quello che è. Ogni cosa per quanto mi riguarda deve essere frutto di una scelta e come tale gestita e assunta a propria responsabilità.

Chiaramente se mi frequenti per scelta, ci son delle regole. Io viaggio con il foglietto delle regole appuntato sul seno, cosicché non puoi sbagliare (baby in senso metaforico smettila di fissarmi le tette).

post itSe non ti piacciono, se le reputi stupide, se non ci riesci o semplicemente non hai voglia di leggerle, davvero non ci son problemi. Siamo diversi. Diversi non significa che esiste una parte giusta e una sbagliata. Diversi significa che siamo distinti, ma ci son “distintività” che non son assimilabili tra loro. Guarda l’olio e l’acqua per esempio. Se rimani le regole le conosci. Ti stanno strette le mie regole… ebbè capita, sai a me quante regole son state strette e me ne son andata?

Questo solo per sottolineare, con un sorriso ma con fermezza bada bene, che non sono nell’elenco dei farmaci salvavita mutuabili e non sono prescritta da nessun dottore, mica sei obbligato a prendermi.

SILENZIO


I primi 16 anni della mia vita li ho passati in silenzio. Poca musica e molti scritti, miei e altrui. Libri, tanti libri.

Osservavo il mondo tramite loro e gli occhi.
Photo by Bastien HaJDuk

Poi la spinta della natura mi ha portato in un luogo che non mi apparteneva e lentamente ho aperto al mondo il mio mondo. Chissà forse avrei fatto meglio a far come Emily Dickinson. Ancora oggi son so, se son stata più coraggiosa di lei, o solo più incosciente.

Più crescevo più parlavo, fintanto che il suono delle mie parole ha ricoperto ogni mio incedere nelle vita e mi ha confusa.

Ho appreso nel silenzio. Credo sia per questo che ho ripreso ad usarlo.
Sono stanca di parole vuote, di persone che si (mi) assordano di se stesse, per non pensare a se stesse.

Mi manca il privilegio di osservare il mondo attraverso gli occhi, senza esser strattonato da esso.

ROSSO


Il tempo è un ricordo vestito di rosso
Passo leggero che punge il cuore
Colora ricordi e spegne dolori
Sussurra pensieri, sinapsi come foglie


Rosso non è il mio colore, ma l’anima ne ho intrisa, quando lo indosso si innamora di me.

THE RED


La vedo e mi blocco. Vedo qualcosa di me in lei.

TheRed

Ora prima che vi facciate dei film (porno) che non esistono, specifico subito, mi rivedo in lei solo in senso metaforico (ahimè). Culo ed età sono notevolmente diversi.

Vedo… il colore dei capelli (che avrò), lo sguardo un po’ perso in un sogno (che avevo), la posizione alternativa (che metaforicamente spesso ho).
Vedo… quelle mani a sostegno di una testa che vola via (che avevo) o a sostegno di pensieri che pesano (che a volte ho).
Vedo… quelle calze con la riga a sottolineare un lato femminile perduto ma presente (che avevo, che ho, che avrò), il culo in prima vista che distrae e non fa vedere il fiore (metaforico pensiero).
Vedo… i tatuaggi (che ho, che avrò), il pendaglio in mezzo al cuore a ricordare qualcosa e sotto i gomiti fogli con sopra disegni e ritagli di vita (altro metaforico volo).

Mi risulta difficile dire altro, anche se è tutto ben dispiegato nella mente. Mi fermo e penso. Chi mi “vede” tra le righe di questo blog o nella vita reale, non ha bisogno che gli spieghi come sono, e a chi non mi “vede”, non servirebbero milioni di parole.

PUZZLE


Non ci manca quello che non abbiamo mai avuto o che non vive in noi.

Sono molte le cose che non mi mancano e altrettanto quelle in cui mi sono lentamente consumata nella mancanza. Struggendomi, fino a dimenticarmene, o meglio deponendole in punto preciso dell’anima. Accanto allo stesso luogo dove poggio quei tesori che ho accumulato nelle molteplici vite.

Son tesori differenti da altri, più li esponi e li regali, più si incrementano, ma è così difficile comprenderlo e una volta compreso è così complicato metterlo in pratica.

La speranza è trovare anime affini, come tasselli di un puzzle si incastrano con noi in questa vita, e ci danno un accenno alla visione del disegno.

Io qualcuna l’ho trovata.
Di vita in vita a un certo punto ci incrociamo e indichiamo, uno all’altro, il luogo dove abbiamo deposto il nostro tesoro.

Picture by Piet Flour

A loro devo le mie molteplici vite anche in questa esistenza. Grazie.

BUONI PROPOSITI


I miei dieci buoni propositi “immateriali” del 2015:

01) Parlare di meno.
(Otto volte su dieci è inutile farlo)

02) Leggere di più.
(Nutrire la mente e importante come nutrire il corpo)

03) Pensare meglio.
(Siamo ciò che pensiamo)

04) La priorità sono io.
(E che a volte me ne dimentico)

05) Fanculizzerò come non avessi un domani.
(Anni da recuperare alle spalle)

06) Sarò meno seria.
(Ho bisogno di “leggerezza”)

07) Sarò di una serietà, attraverso i canali della non serietà, che neppure vi immaginate.
(E la parte che ha scelto la foto)

Photo by John Wilhelm

08) Sarò meno tollerante.
(Ma forse lo sono già meno)

09) Devo trovare un posto dove seppellire la me morta.
(Mica è semplice, se il terreno non è quello giusto, poi riaffioro, e a me gli zombi spaventano)

10) Devo conoscere la nuova me arrivata.
(Non fai in tempo a conoscere una parte di te, che subito ne arriva un’altra)

IL PENSATOIO


Primo giro da sole, io e lei. Annusata, toccata, respirata. Piccola, non nuova ma l’ho amata subito. Dopo anni finalmente una cosa mia. La mia auto. Quella sera lì, con quel giro, io e lei da sole, è nato il pensatoio.
Non avevo un mio spazio in casa in cui potessi rilassare il viso e far si che quello che avevo dentro potesse risalire al volto. Nel pensatoio potevo.
Nel tempo l’auto è cambiata, ma il luogo sacro del pensiero è rimasto quello.

Da buona segaiola mentale quale sono, avere una ripartizione del cervello impegnata in una funzione logica e ripetitiva quale: “controlla la strada, metti la marcia, frena, riparti, svolta, metti la freccia, sorpassa, rallenta” faceva si che la mia testolina non andasse in tilt per overdose di pensieri.
In quel modo riuscivo a focalizzare correttamente, usare neuroni, sinapsi e condirle di emozioni quel tanto che basta. Grandi pensieri e filosofie le ho sviluppate con un occhio allo specchietto e uno al problema che avevo in quel momento.

Il mio pensatoio, è stato per alcuni anni, anche il mio piangitoio. Era l’unico posto dove potevo farlo. La sera al ritorno da un semplice caffè con le amiche, la notte dopo un’uscita in compagnia o all’alba dopo la discoteca, parcheggiavo sotto casa e non scendevo, mi bloccavo lì. Poi accadeva piangevo e picchiavo a palmi aperti il volante. Rabbia e dolore. Piangevo un dolore da cui non riuscivo a uscire.
Ho smesso di piangere.

photo by Leszek Bujnowski

Post come questo, otto volte su dieci, nascono mentre guido. Questo di oggi in particolare è nato dall’essermi resa conto che ultimamente quando entro nel mio pensatoio attuale dopo poche centinaia di metri mi parte la riflessione: “Ma se invece di andare al lavoro (o a casa, mercato o comunque “dovere”) andassi a fare un giro? Se mi prendessi un giorno, due, un’ora, una settimana, se mi prendessi la mia vita e me ne andassi via da qua?”
Chiaramente, poichè sto scrivendolo questo post, non me ne sono andata. Sospiro, il senso di responsabilità mi porta in ufficio (casa, mercato o comunque “dovere”).

Questo istinto alla fuga è presente, tantissimo. Viene fuori sempre nel mio pensatoio perché è qui che finalmente, mentre mi distraggo alla guida, trova uno spiraglio per uscire. Esco dall’auto e cala la saracinesca. L’istinto alla fuga ritorna nella scatola e il quotidiano mi separa dai sogni.

Vorrei andarmene, ricominciare tutto daccapo da un’altra parte. Vorrei vita nella mia vita. Vorrei che la curiosità fosse ancora la mia molla di conoscenza. Vorrei provare emozioni che non sento più neppure empaticamente.
Qui mi sembra di affondare nelle sabbie mobili. Lentamente e inesorabilmente mi sembra di scivolare verso il basso. Più mi muovo nel tentativo di uscirne, più il peso mi fa affondare.
Mi domando se è il “fuori” che ormai ha invaso così tanto il mio “dentro” o semplicemente è il mio “dentro” che comincia la sua agonia.

Quest’ultimo pensiero lo sto facendo fuori dal mio pensatoio, fossi lì, sarei meno cupa, perché penserai alla soluzione e non al problema. Perché io lo so, la vita è un viaggio, ed io ho paura di muovermi.
photo by Leszek Bujnowski

Concludo alla Adam Kadmon (serietà portami via). Il fatto che una poesia di Martha Medeiros sia “arrivata” a me un minuto prima di chiudere il post è solo una coincidenza? Non credo 😉

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

IL BANDOLO


A volte io faccio sogni strani, anzi togli a volte, io faccio sogni strani.

A volte posso usarlo per la tipologia. A volte son degli horror, a volte son irreali, a volte sembrano veri, a volte percepisco l’importanza, a volte ho sognato lunghe sequenze di numeri, a volte ho sentito così tanto dolore da svegliarmi singhiozzante, a volte non riesco a svegliarmi e a volte li ho portati nella realtà e con essa li ho confusi. In ogni caso, quasi sempre so quando un sogno è importante a prescindere dalla mia comprensione.

Credo che avrei potuto tranquillamente far la sceneggiatrice de “Ai confini della realtà” con un discreto successo.

Detto questo sappiate che questa notte ho sognato un mio amico che si sposava. Tranquilli non vi racconto il sogno, ma solo il fatto che a fine festa cercavo una via di Milano, dove avevo lasciato la mia auto. Via Migliorati.

Ammesso e non concesso che esista questa via a Milano, al risveglio, il nome di questa via a intermittenza mi lampeggiava a centro cervello. Poi, improvviso, un microsecondo, Via Migliorati e diventata Migliòrati.
Un piccolo accento è cambia il senso. Spesso son proprio le piccole cose a indicarci le vie più grandi.

Vero voglio migliorarmi, ma da dove inizio? Il gomitolo dové? Perché io davvero non lo so. Ditemi il bandolo dové?
Photo by Laurence Demaison