LA TORRE DI VETRO


Scelgo la musica da mettere nel breve tragitto casa lavoro, leggo Key, clicco, parte Hate That.

I primi sei secondi sono destinati a pensare “Oggi la posto, bellissima, e poi chi non ha avuto un amore che ha “odiato”?“. Il resto del tempo è stato riempito da quel nodo in gola e da un’anomala leggera idratazione agli occhi.

Io l’ho avuto un amore che si “odia”, consapevole che l’odio è solo la parte ombra dell’amore.
Io l’ho avuto un amore che si “odia” e ne sono sopravvissuta.
Ne scrivo periodicamente quando sono distratta o quando vivo nel mondo di Morfeo, “qualcosa” subdolamente risale e mi stende.

Sopravvivi a un amore che si “odia”, e smetti di parlarne anche alle persone più care dopo un po’, perché lo senti il loro pensiero di sottofondo: “Hai scelto tu di andartene, perché ci pensi? Ancora a parlarne. Vai oltre.”, e hanno ragione.

Come fai a giustificare che hai lasciato ma eri ancora innamorata persa? Come fai a far comprendere che è stato solo l’istinto di sopravvivenza? Per un attimo è riuscito a prendere il sopravvento, ti ha fatto scappare via, ma una parte di te è rimasta sempre là. Come fai a spiegare che quell’amore ti ha reso quella che sei oggi, nel bene certo, ma anche nel male, e il male è questa torre di vetro dove vivi da sola, e a nulla solo valsi i tuoi tentativi di fuga da essa.

Questo aspetto di te, questo tua capacità di vedere i potenziali degli uomini, ma non riuscire a scindere tra potenziale e realtà, (perché un potenziale non indica la piena e completa realizzazione, ma solo la possibilità che accada) è stata una rovina.

Posterai la canzone, guarderai cose allegre, farai la buffona e dirai cose stupide, e quel “qualcosa” tornerà in profondità. Nel frattempo tu continuerai a cercare di evadere da quella torre di vetro.

LA CHIAVE


Torna giù!” – “Dove sei?!” – “In quale mondo sei?” – “Scendi dalle nuvole!

Sono alcune frasi che mi hanno accompagnato nella crescita fino ad un certo punto e poi sono scomparse. Credo siano scomparse quando questo mondo è entrato con fare prepotente ed ha occupato il mio spazio personale con le responsabilità, inchiodandomi su paure e ansie da prestazione.

Io mi estraniavo, ovunque fossi, in un libro, in un pensiero, in me stessa. Talmente in profondità che a volte mi dovevano chiamare due o tre volte di seguito per riportarmi a “terra”.

In qualche modo, a chi di più e a chi di meno, questo mio volare, ha sempre dato fastidio. Questa mia capacità di “andarmene” era mal tollerata, vista in maniera negativa. Talmente tanto da farla vedere anche a me così.

Invece non lo era, ora lo so.
Nascosta in qualche angolo sperduto, ora la sto cercando, perché quello spazio, quel mio volare era il mio modo di unirmi, in luogo in cui la visione delle cose, dei miei pensieri e delle mie emozioni aveva uno spessore diverso.

L’ho cercata in questi anni, in tanti luoghi fuori di me, a volte anche perdendomi, quando l’unico posto in cui cercare ero io.
La chiave del mio volare sono io.
The key