TOKYO: dal jet lag alla dipendenza da sakè in 24 ore


Tokyo – Che confusione, sarà perché ti amo
Giorno 2 (parte 1).

La regione dove abito potrebbe inserirsi quasi 4 volte nell’area di Tokyo, mentre la città dove abito potrebbe starci comodamente 83 volte. La mia regione ha circa 10 milioni di abitanti, la mia città circa 47.000, la megalopoli di Tokyo ha circa 37/39 milioni di abitanti.

Il primo e vero e proprio giorno a Tokyo per me è stato “confuso”. Questo nonostante Rodi per qualche ora sia rimasto con noi. Le domande nella mia mente erano: “Ma da cosa parto? Cosa vedo? Come faccio a capire cosa mi conviene vedere per primo e a cosa è vicino?”.

Ho fatto questa premessa per farvi capire che la giornata successiva al mio arrivo a Tokyo è stata allo stesso tempo bella, caotica e confusamente mescolata nella mia mente. Detto questo… pronti, partenza, via!

La mattina, complice anche il fuso orario interiore, ci siamo svegliati presto e siccome a tre minuti dal nostro albergo c’era il Sensoji Temple, un tempio buddista, ci siamo diretti lì. A quell’orario, a parte qualche turista che faceva foto, era tutto chiuso. Quel giorno ci siamo limitati a una veloce visita del tempio esterno.

Momento cultura
Questo tempio è stato costruito per la prima volta nel 628 D.C., dico” “la prima volta” perché, tra incendi e guerre, è stato ricostruito una ventina di volte fino ad oggi.
C’è una leggenda legata a questo tempio buddista: dei pescatori trovarono una statua di Kannon, nel fiume Sumida. Questo tempio fu costruito apposta per custodirla.
Tra le tante immagini che ho trovato della dea, ho scelto per rappresentarla e abbinarla alle mie foto, quella con gesto tipicamente rock. Scherzo. Però mi ha fatto venire in mente in un attimo la mia Jrock band preferita: gli One Ok Rock.
Fine momento cultura

Dopo qualche veloce foto, siamo andati all’ingresso della metro più vicina e ci siamo diretti a Shibuya. Questo ci ha fatto subito capire quanto le distanze siano sempre da tenere in considerazione: 45 minuti di viaggio in metro per essere sempre nella città di Tokyo.

A Shibuya abbiamo fatto solo un passaggio veloce, ci saremmo ritornati più tardi, perché era solo il punto di partenza per passeggiare per Omotesando mentre ci recavamo al Santuario Meiji.

Momento cultura
Il quartiere Omotesando è situato nel cuore di Tokyo. Il suo nome significa “ingresso frontale a un santuario” proprio perché è la strada, la via di accesso al Santuario Meiji.
Sono sincera, a me Omotesando non è piaciuta molto: piena di negozi di lusso e boutique, per certi versi molto simile a tante città occidentali. Se non avessi saputo di essere in Giappone, avrei potuto pensare di essere in una grande citta in Francia o in Italia (a parte le scritte in Hiragana e Kanji).
Fine momento cultura

Davanti all’ingresso del Meiji, sono ricaduta per un attimo nel kdrama. Ho visto un baracchino lato strada che vendeva le famose patate dolci, quelle arrostite, che si vedono sempre mangiare nei drama coreani. Potevo esimermi? No! L’ho acquistata e mangiata avvolta nella carta dei giornali quotidiani. Quei giornali di riciclo, passati da non si sa quante mani e non si sa dove siano stati. Devo confessare che era molto buona e saziava tanto (forse complici i milioni di batteri che dal giornale avevano traslocato su di lei), tanto che ne ho avanzata la metà. La metà porzione residua è finita nel mio stomaco alle tre del mattino, in un attimo di jet lag. Comunque, nonostante il momento igiene “parliamone”, sono ancora viva.

Il Santuario Meiji è il santuario shintoista più grande di Tokyo, è ancora in attività e non di rado si può assistere a qualche cerimonia dal vivo. Il Santuario è all’interno del Parco Yoyogi1, il polmone verde di Tokyo, un pò come il Central Park di New York.

Ora lo so che sono una brutta persona, ma a me, quel giorno, fino a quel momento, oltre i Torii che amo, le cose che mi sono rimaste più in mente sono state le botti di sakè.
L’anno scorso (per chi mi ha letto) sa che parlavo continuamente del Makgeolli… beh, quest’anno, preparatevi, ho cambiato, sono passata al sakè. Del resto sono una persona molto spirituale: poi che sia spirito alcolico o spirito religioso… two is megl che uan!

Ora non so se la colpa sia delle “botti, botti di sakè ovunque” viste al Santuario Meiji o della confusione che questa città può provocare al primo impatto, fatto sta che, da quel momento in poi, i ricordi sono un po’ sparsi nella mia mente.

Uscita dal Santuario Meiji, ci siamo diretti a Nakano, dove siamo andati a mangiare in un locale di ramen frequentato solo da giapponesi. Ora non vorrei sembrare esagerata, ma quel ramen mi manca, era davvero “oishi”, delizioso!
Ero a Nakano, non vuoi fare un salto al Nakano brodwey2, considerato che ero ancora alla ricerca dei manga introvabili per la mia amica? Non vuoi fare un saltino alla sede centrale della Mandarake? Spoiler, non ho trovato neppure qui i manga introvabili.

Dopo il giro tra i mille otaku presenti, ci siamo diretti verso Shinjuku, ma di questo ve ne parlerò nel post che pubblicherò successivamente. Personalmente odio i post troppo lunghi, quindi vi lascio davanti ai torii della Mandrake, che mi sembra un buon punto per salutarsi… per ora.

PS: l’immagine di copertina è un ricordo uscito da una “UFO Catcher“, ovvero le claw crane machines: quelle macchinette giapponesi con cui, tramite una piccola gru, devi cercare di prendere un oggetto. Insomma, quegli aggeggi infernali con cui, per avere un oggetto del valore di 100 yen, ne spendi 10000.

  1. L’apertura al pubblico di questo parco è avvenuta solo nel 1967. Il Parco Yoyogi non è una foresta “naturale” ma un’area creata e progettata dall’uomo. E’ un progetto di architettura del paesaggio su un’area che prima era il villaggio olimpico costruito per le olimpiadi del 1964.  Progetto che ha permesso, nel tempo, la formazione della fitta vegetazione odierna. ↩︎
  2. Nakano Broadway è un centro commerciale al coperto, un “paradiso per gli otaku”. E’ un punto di ritrovo per gli appassionati di cultura pop giapponese in generale, con particolare attenzione agli anime, manga e collezionismo. Al suo interno c’è la sede principale della Mandarake che offre moltissimo assortimento di merce nuova e “vecchia”. ↩︎

Infine solo per ricordare che non dimentico, e anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

DELIRIUM DI BIRRA, DI TAKA E DI UNO SCONOSCIUTO


Arrivo da un fine settimana a Bruxelles, organizzato da mesi dal “Team Transenna”, alias “Le Tre Parche”. Mesi fa abbiamo comprato i biglietti per la Jrock band del mio cuore gli One Or Rock.

Li seguo da qualche anno. Il primo concerto italiano a cui sono riuscita ad andare è stato nel 2023, a Milano, quando il biglietto costava una sciocchezza (non erano conosciuti tantissimo). Niente Vip, niente early entry: se volevi vederli da vicino, dovevi passare ore fuori dal locale per conquistare la prima o seconda fila transenna. Cosa che abbiamo fatto.

Il “Team Transenna” ogni anno ha mantenuto la tradizione del concerto:
2023 Milano – Fabrique – Tour Luxury Disease
2023 Milano – Stadio San Siro – Tour Luxury Disease – apertura dei “Muse”
2024 Londra – OVO Arena Wembley – Premonition World Tour
2025 Bruxelles – Forest National (Vorst Nationaal) – DETOX Euopean Tour

Ora non vediamo l’ora del 2026.

Li amo tutti. Per Taka, confesso, folletto del JRock ho una leggera predilezione.

A Bruxelles, il fine settimana è stato arte, french fries, waffle (non per me che sono vegana), Atomium e visite nel centro città. Il pezzo forte? Sabato sera: il concerto.

Una serata indimenticabile, prima fila centrale (ci sarà un motivo per cui ci chiamiamo “Team Transenna”) appoggiate alle transenne. Potevo vedere le micro-espressioni di Taka mentre cantava… e tutto ciò non ha prezzo, ma solo felicità.

Mai avrei detto che sarei diventata un’amante del Jrock, anche se lo ammetto amo solo loro come band di rock. Ma in questo concerto mi sono auto-sorpresa ancora una volta. Mai avrei sospettato di iniziare ad amare un altro genere che non mi ha mai attirato: il metal.
O meglio, Jmetal. La band di apertura agli One Ok Rock era la Paledusk. Una band che suona metalcore, alternative metal e electronicore. Metal/hardcore di base, ma con sperimentazioni che vanno dal pop al jazz fino all’hip hop. Insomma una cosa un diversa dal metal classico.

Mi hanno entusiasmato con una musica, nonostante non sia il mio genere.
E poi, diciamolo, mi sono innamorata di un loro componente…

Devo ancora scoprire come si chiama, perché la band è formata da quattro membri, ma sul palco erano in cinque e lui è l’elemento “surprise”. Anzi, se qualcuno sa, mi dica, che io non sono esperta di quel genere, e quindi non conosco i musicisti.

Chi è costui? Fatemelo sapere e nessuno si farà male.

Non vi tedio con il fatto che siamo uscite da quel concerto con la voce roca, piene di adrenalina, voglia di vita e di prolungare la sensazione di felicità interiore. Per farlo ci siamo spostate al Delirium, nel centro di Bruxelles.

In meno di un’ora ho scolato letteralmente un litro di birra a stomaco vuoto. Ora, nella mia personalissima top ten, la birra giapponese e quella belga sono sul podio, insieme, al primo posto.

Conclusione di un sabato sera pieno di serotonina (e alcol)? Tornare in albergo alle tre del mattino, non contente fermarsi nella hall, a lato dove c’era un tavolo e delle sedie, mangiare qualcosa per cercare di assorbire la birra (inutilmente) continuando a chiacchierare tra di noi.

Questo weekend è stato una piccola oasi di leggerezza, in un periodo per me non semplice per disparati motivi, alcuni interni e molti esterni. Sono grata alla leggerezza quando entra nella mia vita, e mi riempie di sorrisi e serotonina.

Anzi, vi annuncio che tra poco più di una settimana, entrerò in un’altra piccola lunga oasi di leggerezza. Partirò per il Giappone, e come ben sapete (poichè lo dico sempre), un pezzo della mia anima antica è legato a quel paese. Vi racconterò al mio ritorno.

Infine solo per ricordare che non dimentico e che, anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

TUTTA COLPA DI TAKA


È tutta colpa sua, ma ha dei complici: Toru, Ryota e Tomoya.

Tutto è iniziato in maniera inconsapevole tempo fa, quando scopro che fanno in tour in Europa gli One Ok Rock, poiché ho bisogno di complici anche io, dico a Paola: “Secondo me ti piacciono”. Detto e fatto, in men che non si dica abbiamo i biglietti per la data del 21 luglio a Milano. Il destino vuole che per cercare questi biglietti, ne troviamo pure due, anello verde, per il concerto dei Muse del giorno dopo, dove gli One Ok Rock fanno apertura.
Vuoi non prendere i biglietti dei Muse che ti cadono così dal cielo?

È iniziato tutto lì. O meglio noi non lo sapevamo, ma è terminato tutto lì. Il vero inizio è stato venerdì 21 luglio a far la fila per ore, sotto il sole cocente sull’asfalto, per poter essere vicine al palco.

Ora io, non so neppure come scriverlo cosa è successo quella sera a me e Paola (che ormai era cotta al punto giusto, come vedete nella foto, cottura al sangue su asfalto), sotto quel palco. Potrei dirvi che è stato amore a prima vista, ma non è vero perché era da tempo che entrambe ascoltavano la loro musica, o che io postavo i loro video, quindi non è amore a prima vista, ma quella sera dopo 73 secondi dal loro ingresso sul palco è iniziata l’era “Prima e dopo Taka”.

Credetemi, noi non ne eravamo del tutto consapevoli e soprattutto non sapevamo ancora quando profondo fosse il “Dopo Taka”. Lo abbiamo scoperto il giorno dopo quando siamo andate al concerto dei Muse. Doveva già insospettirci il fatto che non vedevamo l’ora di andare a San Siro per vedere gli One Ok Rock aprire la serata.

Il 22 luglio siamo partite presto, nonostante avessimo i biglietti numerati e quindi senza bisogno di fare le file, ma abbiamo deciso di unire il piacere al piacere, andando a mangiare (e bere) al ristorante coreano Hana di Milano.

Non è ancora finita, la consapevolezza del “Dopo Taka” non era ancora arrivata.
Finita l’immersione godereccia in Corea, abbiano deciso di nutrire anche la nostra anima con un po’ di arte (poi che tutto ciò fosse anche al coperto e fresco ha aiutato), eccoci a comprare i biglietti a palazzo reale per la mostra di Leandro Erlich, “Oltre la soglia”.

Ci siamo così intinte nell’arte e nella poesia visiva di Erlich, perché noi siamo persone serie, molto serie!

Talmente tanto che abbiamo deciso di far parte delle sue opere e come sempre, la nostra serietà è andata in vacanza in qualche luogo non precisato, senza data di ritorno.

Confesso che abbiamo visitato anche le altre mostre all’interno di Palazzo Reale (vi ho appena detto che siamo persone serie!), e due in particolari mi hanno mosso sensazioni, una di queste è “MariVerticali” di Fabrizio Plessi.

Uscite da Palazzo Reale, ci siamo avviate verso San Siro per andare a vedere con il cuore che palpitava gli One Ok Rock e i Muse, però credetemi, la consapevolezza del “Dopo Taka” non era ancora giunta.

Giunte a San Siro, attendiamo che inizino i gruppi spalla e nel frattempo sistemo l’acquisto fatto (mi ero dimenticata di dirvi anche del salto in libreria) da Mondadori, acquisto dal quale si evince che, noi non lo sapevamo, ma eravamo già contaminate.

Poi finalmente arriva Taka, e ci ritroviamo a scendere le scale per vedere più da vicino. Pochi minuti dopo capiamo che altre persone lo hanno fatto, per lo stesso nostro motivo, gli One Ok Rock. Tutti insieme, diversi, senza conoscerci a saltellare con il cuore in tumulto!

Ah se il mondo funzionasse così, che bello sarebbe, gioire insieme per qualcosa che fa battere il cuore, cercare quello che unisce e non quello che divide. È stato così che ci siamo ritrovati alla fine: due giapponesi, due rumene, una coreana e noi due italiane (la ragazza dietro è imboscata, è la fidanzata del ragazzo a cui abbiamo chiesto il favore “Ci fai una foto?”, quindi in effetti nella foto le italiane sono tre).
Ci siamo scambiati numeri telefonici, email, e frasi tipo: “Nice to meet you”, con dei sorrisi che ancora un pò ci si strappavano le labbra!

Oggettivamente qua abbiamo cominciato a sospettare che avessimo qualcosa che non andava, ma sai com’è, pensi: “Ma va, non sono malata, è il caldo, la stanchezza, è il secondo concerto in 24 ore, ho dormito niente, poi passa”. Invece no. Eravamo già nel “Dopo Taka”, perché sappiatelo è una malattia subdola, quando te ne accorgi è troppo tardi.

Alla fine, con il buio, è arrivato anche il loro momento, i Muse

E lì è stato palese!
È iniziata una nuova era “Il prima e dopo Taka”.
Vi prego nessun insulto, non chiamate psichiatri e non fateci fare il tso, dopo quello che scriverò qua, ma… davvero non so come dirvelo, abbiamo ascoltato le prime canzoni, e noi che saltellavamo come capre impazzite ai loro concerti, siamo rimaste ferme.
Ogni tanto ci guardavamo in silenzio, nessuna delle due proferiva parola, timorose del giudizio dell’altra (non sapendo che l’altra pensava la stessa cosa), guardavamo il cellulare, sfogliandolo distratte, e ve lo giuro, ad un certo punto ci siamo guardate negli occhi (poco dopo la metà del concerto) e ci siamo dette: “Andiamo?”.

Lo abbiamo fatto, ci siamo alzate e siamo andate via. Non erano gli One Ok Rock, non era Taka, e non sentivano nessuna emozione, anzi ci stavamo annoiando.

Ed ora ufficialmente siamo nella nostra era “Dopo Taka”.
Stiamo già guardando se faranno concerti in Giappone, perché noi abbiamo già deciso che andremo in Giappone ad ascoltarli, e speriamo tornino a breve in Europa, perché noi prenderemo tutti i biglietti delle date del loro prossimo tour europeo.

Anzi se qualcuno che legge, e sa/conosce come fare per l’acquisto dei biglietti in Giappone (che non è come da noi) batta un colpo e ci aiuti, perché Paola ed io, sospettiamo che questa malattia sia incurabile, possiamo solo curare i sintomi con la presenza intensa e costante di Taka!

PS: attenzione, io vi avviso, questa malattia è data dalla presenza fisica di loro quattro in vicinanza, dall’energia che emanano tutti loro indistintamente (che non posso spiegarvi con le parole), e dalla voce di Taka e del suo “darsi”.