IO POSTO GATTINI


Io posto gattini.

Ma parlo di campi. Parlo dei campi di sabra e chatila, dei campi di sterminio tedeschi, dei ghetti in sud africa o dei campi di rieducazione cambogiani. Mi fermo, ma potrei citarne ancora a decine. Sono tutti uguali. L’unica cosa che cambia son la longitudine e la latitudine.

Se solo uscissi dai campi troverei le stragi. Piomberei nella tratta degli schiavi, mi troverei nel genocidio dei nativi americani e mi piegherei davanti alla decimazione degli aborigeni australiani.

Se solo finisse qui. L’orrore spesso abita accanto alla nostra porta. Non si limita davanti a nulla e sceglie sempre le prede inermi.
Guantanamo e i suoi crimini sui prigionieri doveva esser chiusa ma è li ancora aperta a ricordarci che accadrà ancora. Nelle nostre prigioni si muore di botte, senza contare cosa hanno fatto nel luogo atto ad educare al meglio noi.

Non ho postato nel giorno della memoria, posto oggi, un giorno “normale”, perché la mia memoria è ogni volta che vedo qualcosa che mi porta a tutti quegli orrori. Come oggi.

Perché di essere umana mi vergogno così spesso e così tanto, da domandarmi come posso farne parte. Anche se so che dentro me, da qualche parte, esiste il seme di quel male. Non dimentico neppure questo.

Se pensate che chi posti gattini sia fuori dal mondo, sbagliate. Siamo così coinvolti, lo percepiamo così tanto, da doverne fuggire ogni tanto per poter sopravvivere. Il dolore del mondo ha un suono insopportabile.

Io posto gattini, ma non dimentico niente.

kitten

WE ARE THE NOT DEAD


Non so neppure come ci son capitata, per caso come sempre nelle cose che mi colpiscono.  Scopro così un esperimento fotografico, più precisamente l’idea del fotografo Lalage Snow di imprimere nella “pellicola digitale” i volti degli uomini prima di partire per la guerra e dopo otto mesi di conflitto. Attraverso le sue foto, il linguaggio non verbale, dice molto di più di mille parole. Il suo progetto si chiama ” We are the not dead”, se cliccate sulla foto qua sotto, vi porta al suo sito, le foto rappresentano prima, durante e dopo la guerra.

Io ho solo pensato che siamo pagine su cui la vita scrive e sui nostri volti leggiamo la storia che ci accompagna.

VAJONT


La prima volta che ne ho sentito parlare fu per caso, era il 1997 zappando con il telecomando arrivai su rai2 e lì Paolini riusci a tenermi inchiodata.
Paolini, grande attore ieri come oggi, mi porto dalla comodità di casa mia a quella notte fredda e spaventosa; ho vissuto attraverso le sue parole minuto per minuto, alla fine dello spettacolo ero esausta e piena di rabbia.

Qualche anno dopo nel 2003, conobbi Willy. All’epoca mi regalò due libri che aveva scritto. Uno di questi parlava del suo essere un sopravvissuto alla stessa tragedia quando aveva poco meno di due anni.
Lessi e rimasi inchiodata sul divano, mentre gli occhi scorrevano su un fatto che avevo visto attraverso gli occhi e le parole di un attore e ora leggevo attraverso le parole di chi in qualche modo era là quando questo era accaduto.

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Ho con quella terra un legame di sangue, confine di nascita, di antenati. Quella terra, nonostante me ne abbiano portato via quando ero piccola, è tornata a me, negli anni, sotto forma di attori, di anime antiche e amici.

Per questo lo scritto di oggi, per ricordare i morti di allora e attraverso loro i morti di oggi molti chilometri più in giù. Morti di montagna ieri nel Vajont e morti di mare oggi a Lampedusa. Morti entrambi per la cecità umana.
Dio abbia pietà di noi.
Noi non ne abbiamo per la nostra specie né per le altre.