Io do un’anima a ogni cosa: alle piante, agli alberi, alle auto, al tavolo, ai fiori, ai campi di mais, (non parlo di animali qui perché non sono cose e per me, chiaramente, l’hanno come noi).
Lo faccio da quando ero piccola, prima ancora che imparassi a scrivere e a leggere. Per me ogni cosa ha sempre avuto un’anima.
Se urtavo un albero, se per errore inciampavo e davo un calcio a un vaso, a una porta o un masso dicevo: “Scusa”.
A volte davo una carezza a una foglia la salutavo, con un dito sfioravo i petali di un fiore e dicevo “Ciao”. Prendetemi per pazza, ma a volte lo faccio ancora.
Ciò che “vive” con me, poi ha un nome. La mia attuale macchina si chiama Consuelo, quella precedente Beatrice e la mia bici Sofia. L’ultimo arrivato di casa, un pupazzo (un pulcino) che mi hanno regalato, si chiama Alvaro.
Detto questo, e qui il paradosso, ci sono esseri umani che dovrebbero avere un’anima fin dal concepimento, ma vi giuro che io, in alcuni, proprio non riesco a vederla. Per quanto provi a “cercarla e scrutarla”, vedo solo vuoto dove dovrebbe esserci, al suo posto un enorme buco nero.
Sospetto l’abbiano perduta prima ancora di sapere cos’era, o forse, più probabilmente, quali novelli dottor Faust, l’hanno venduta al diavolo. Altrimenti non si spiegherebbe.
In questi giorni sono tornata per due volte nella mia terra d’origine, il Friuli. Ottocento chilometri, otto ore tra andata e ritorno, macinati nell’arco per due volte. Di solito ascolto musica di cui non capisco o capisco poco le parole, cosicché anche le parole diventino suono e io ascolti solo quello. Questo perché quando comprendo il testo, la musica rimane sullo sfondo e salgono i pensieri sulle parole che ascolto. Parte allora (come direbbe un mio amico) la segaiola mentale.
Ed è così che, nel ritorno notturno, ho ascoltato Ligabue e la sua “Niente paura”. Come i salmoni nel periodo dell’accoppiamento, eccoli lì i ragionamenti che risalgono.
In questo periodo non so se mi sono (se mi sto) guadagnando zolle di paradiso o zolle d’inferno. Ho comportamenti buoni (a volte), ma molti pensieri cattivi. Il confine tra giusto e sbagliato, tra buono e cattivo, tra bene e male, a volte è così labile nella mia vita. Questo mi confonde. Lo guardo, quel cielo, e me lo domando: oltre alle promesse nascoste, perché ci nascondi la semplicità del vivere?
Da queste parti sono passati uomini, ma nessuno per un minuto. Vorrei dirvi “pochi ma buoni”, e invece devo dire “pochi ma scadenti”. Raramente ho fatto scelte giuste per me. Sia ben chiaro: non è colpa loro, ma colpa mia e delle mie scelte, ciò che non è adatto a me potrebbe essere adatto a un’altra persona. Qualcuno non è partito: l’ho mandato. Ma non se ne va
E penso a Gaza, penso ad alcuni dei nostri politici, penso a Trump, penso a Putin, penso… e mi sale una rabbia, e un istinto che… ecco, una zolla in più d’inferno me la sono guadagnata. Gaza e Israele, forse anche due zolle da sole.
È vero, i sogni passano perché uno se li fa passare, ma spesso se li fa passare perché non ha alternative. E quindi li vedi finire, e sospiri vedendoli bruciare nel fuoco della realtà. Mentre lo fai, tieni ben stretti quelli a cui non potrai mai rinunciare.
I desideri, croce e delizia della mia vita. Quelli che vorrei, ma che ho paura. Paura di esprimere, perché temo la delusione e soprattutto il prezzo del desiderio. Così, negli anni, ho smesso di desiderare, ed è stato l’errore più grosso che potessi fare. Se non desideri, non vivi. Con il tempo ho imparato che desiderare è sano, avendo la consapevolezza che è sempre un “do ut des”, devi far spazio ai nuovi desideri e per farlo devi togliere qualcosa (preferibilmente che non ti serve più). Quindi oggi desidero con cautela!
Vedete perché è meglio che ascolti canzoni di cui non capisco molto il testo? Vi avrei risparmiato questo post!
Ci sono persone che hanno bisogno dell’adrenalina per sentirsi vive: senza, si spengono. Io, invece, appartengo a quelle che hanno bisogno della serotonina per sentirmi viva.
Sono consapevole che la vita è tutto un gioco di adrenalina e serotonina. In noi convivono entrambi gli aspetti. Viviamo in una grande onda di Kanagawa che sale e scende dentro di noi, portandoci in momenti alterni di vita. Ma ciò che a me fa percepire il battito della vita è la serotonina.
Questo non vuol dire che, in alcuni periodi della mia vita, non abbia vissuto in maniera adrenalinica. Quei momenti ci sono stati, e intensi, apparivo viva e felice. Ma lo ero veramente?
Viva sì, felice no. Ero una cover di me stessa, piena di impegni, di cose da fare, di poco tempo, di appuntamenti, di cene e aperitivi, di “organizziamo…”, di millanta conoscenze, di fame nervosa di emozioni. Alla continua ricerca di qualcosa che non trovavo, perché lo cercavo negli altri e non in me.
Quando vivo “serotoninicamente”, invece, rallento i ritmi. Vivo ancora il “fuori”, ma vivo tanto anche il “dentro” con me stessa. Frequento le persone, poche, perché ogni persona ha bisogno di essere vista e vissuta, o meglio, ne ho bisogno io. Ho bisogno di vivere rapporti veri, in cui pezzetti di anima s’incontrano e condividono, non solo ore passate in compagnia.
Leggere un libro, vedere un film (o seguire una serie), scrivere qui, fare una passeggiata con il mio micro cane, bere uno spritz (o un gin tonic) con un amico, condendolo di parole e patatine, addormentarmi con un gatto a lato della nuca e uno sul fianco. Tutto questo fa parte di questo periodo. Tutto ciò mi rende serena, una serenità che sconfina nella felicità. Certo, è anche il periodo della pigrizia, della voglia di fare poco, del “non fare oggi quello che puoi fare domani”.
Lo so, lo so: non siamo fatti solo di adrenalina e serotonina. Veniamo “aggrediti” dal cortisolo, la dopamina può avvolgerci e l’ossitocina può farci perdere la testa. Ma, secondo me, possiamo essere raggruppati, di base, in due grandi maxi gruppi: gli “adrenalinici” e i “serotoninici”.
E tu? Di base, cosa sei? La grande onda della tua vita, dove ti ha portato in questo periodo?
Lo sto sentendo arrivare, quel rumore tipico, quello del vento che sta per arrivare e muove tutto intorno, quello che mi fa scombinare cose, persone e situazioni, quello che mi fa annoiare delle cose che amavo e mi rende irrequieta, mi trasformo in una avanguardia alla ricerca di non so che.
E’ un vento periodico, come i monsoni e le brezze costiere, che cambiano direzione stagionalmente o giornalmente, solo che io non so mai se sarà un monsone con annesso tifone o una leggera brezza marina che però è mutevole e mi lascia instabile ogni singolo giorno.
Negli anni ho imparato la geodesia della mia vita, ho compreso la ciclicità con cui arriva quel vento, circa ogni tre anni.
Arriva come Tramontana, un vento del nord freddo e secco, foriero di bel tempo, peccato che nel frattempo io senta freddo e diventi irrequieta, molto irrequieta. Poi, mentre procede, lentamente si trasforma a volte in un Ponente fresco ma gradevole o in uno Scirocco caldo, infine si calma e resta la quiete.
Con il vento, non c’è mai nulla di certo, neppure che ne uscirai indenne.
Vabbè, ragazzi, sono vaneggiamenti da inizio periodo Tramontana, vediamo dove mi porterà il vento questa volta!
Ci sono parole che ho imparato quali pazienza, parlare, attendere. Pazienza: ci sono voluti anni, in cui la perdevo e ritrovavo. Anni di allenamento perché il momento in cui la perdevo fosse sempre più lontano. Ma confesso, a volte mi rendo conto che devo ancora allenarmi.
Parlare: ho vissuto in silenzio per anni, poche parole e tanto ascolto. Poi ho iniziato, ed è stato un crescendo, stoppata ogni tanto dalle paure e dalle insicurezze, ma non mi sono più fermata. Devo ammettere, però, che negli ultimi anni spesso utilizzo il bonus “silenzio”, lo faccio quando vedo che parlare è inutile.
Attendere: è in qualche legata alla pazienza, ma ne è solo parente. Ho imparato ad attendere tempi migliori, la luce in fondo al tunnel, il passaggio del dolore che attraversa l’anima per uscire.
Ci sono parole che ho perso tipo fiducia, ingenuità, accondiscendenza. Fiducia: ne avevo tanta negli uomini, nel mondo, in me a volte. Poi l’ho persa, forse l’ho utilizzata troppo, e troppo a sproposito. Ho riposto fiducia in situazioni, amori e amicizie, ma quando ho sentito quella lama nella schiena e mi sono voltata, non l’ho più trovata.
Ingenuità: l’ho tenuta con me molti anni, forse troppi. Seguiva, come una pecorella il cane, “fiducia”, andava di pari passo nel mondo. Un giorno si è sentita dire: “Non puoi essere così ingenua alla tua età” e ingenuità ha pianto, e nel farlo ha cominciato lentamente a sciogliersi, come un ghiacciolo a ferragosto.
Accondiscendenza: voleva far contenti tutti. Cercava di tamponare i bisogni e desideri altrui, e per farlo perdeva di vista gli obiettivi che l’anima si era posta, la relegava e spesso imprigionava.
Ci sono parole ambivalenti tipo accettazione, sopportazione. Accettazione: a volte è positiva, accetti la diversità, il fato, il momento, una visione diversa dalla tua, ma a volte scompare e arriva “intransigenza” davanti a parole quali crudeltà, ingiustizia.
Sopportazione: è come “accettazione” a volte è positiva, ma davanti ingiustizia, repressione, schiavitù, manipolazione, esplode in “ira”.
Poi ci sono parole che non ho ancora imparato, sto ancora vivendo questa vita, cercando di apprenderle.
Se vi piacciono i fantasy; se vi piacciono le storie di maghi; se vi piace una storia d’amore in sottofondo, ma non troppo in sottofondo; se vi piace tra un pizzico di romanticismo e un pizzico di magia, ridere; se sognate come me gli amori tenaci che resistono e combattono nelle avversità; se vi piace un po’ di azione; se vi piace anche l’intrigo di palazzo; se volete vedere un drama ben recitato e con attori degni di questo nome, ecco, “Alchemy of Souls” è il drama perfetto che vi sta aspettando.
TRAMA Premetto che Alchemy of Souls attualmente in onda è formato da venti episodi, ed è già prevista l’uscita della seconda stagione di dieci episodi.
La storia è ambientata in un paese immaginario chiamato Daeho, in un tempo non definito del passato, dove vive il giovane Jang Uk, erede di una famiglia nobile, gli Jang. La sua vita è condizionata da uno spiacevole segreto sulla sua nascita, di cui parlano le persone in tutto il paese.
Per una serie di circostanze, Jang Uk incontra Mu Deok, la cui anima è intrappolata in un corpo fisicamente debole, lei era una guerriera e una maga, nel nuovo corpo più debole non può usare i suoi poteri e quindi diventa la serva di Jank Uk.
Amici da sempre di Jang Uk, sono Seo Yul e Park Dang Gu, rispettivamente gli eredi di altre famiglie nobili i Seo e i Park, entrambi sono dei giovani maghi apprendisti a Songrim.
Nonostante i tre ragazzi siano tutti coetanei e di famiglie nobili, a Jang Uk è precluso l’apprendimento delle arti magiche, ciò è dovuto a causa dello spiacevole segreto che lo accompagna dalla sua nascita e che ha condizionato la sua vita. Jang Uk però non si rassegna al suo destino e cerca in ogni modo di superare questo condizionamento.
Tutto ciò mentre giochi di potere e magia mettono a dura prova la pace tra Songrim, la scuola dei maghi, Cheonbugwan dove risiede la famiglia reale e il principe ereditario Go Won e Jinyowon dove sono conservati i manufatti magici. Un pericoloso incantesimo proibito, “hwanhonsool” (l’anima dei morti ritorna ai vivi), è tornato ad essere utilizzato nel Daeho.
Riuscirà il giovane Jang Uk a sconfiggere il suo destino avverso? Che ruolo avrà la serva Mu Deok in tutto ciò? La pace tra Songrim e Cheonbugwan resisterà agli intrighi di corte e ai maghi malevoli?
CONSIDERAZIONI PERSONALI Potrei fare una sola considerazione personale e avrei finito: MI PIACE TANTISSIMO!
Ma un paio di cose in più le scrivo. Il drama sembra storico, ma non lo è, ovvero i personaggi sono vestiti come nei drama storici, ma si comportano come se vivessero in tempi recenti, questo nella prima puntata mi aveva un po’ destabilizzato, ma proseguite a vederlo, perché merita, anzi questa cosa lo rende più interessante.
Gli attori sono tutti bravissimi, principali e secondari, il drama è un mix di azione, magia e romanticismo, vi assorbirà velocemente, questo anche se un paio di episodi mi sono sembrati leggermente più lenti.
Amo il ruolo di Mu Deok, un ruolo femminile propositivo, indipendente, deciso, bello, alla pari con il protagonista maschile. Non è sempre così scontato nei drama coreani.
Un paio di frasi che ho amato: “Gli umani sono incapaci di vedere sé stessi con i propri occhi. Quindi la percezione che hai di te stesso, non è altro che un’illusione. Lo stesso vale per come gli altri ti percepiscono. Vedono solo ciò che vogliono vedere e creano un’illusione che fa al caso loro. È tutto solo un’illusione. Significa che le persone vedono solo illusioni e nient’altro.”
“Non so molto di amore… ma quando ami veramente qualcuno, non c’è bisogno di dirlo così spesso. Perché è già difficile dirlo solo una volta.”
GLI ATTORI Sono tanti e bravissimi, di solito riesco in un solo collage di foto a mettere i principali attori e/o quelli significativi, questa volta ho dovuto “allargarmi” e farne due, tralasciandone, comunque, altri. Lee Jae Wook interpreta Jang Uk, giovane a cui fin dalla nascita sono stati inibiti i poteri magici. Conosciuto in “Extraordinary You” dove l’ho apprezzato lentamente fino ad amarlo alla fine, qui si riconferma tra le migliori giovani leve di attori coreani.
Jung So Min interpreta Mu Deok (e Nak-su) giovane donna dal passato tormentato che si ritrova ad essere “serva” di Jank Uk. Prima volta che la vedo recitare come protagonista, mi ha conquistato subito, dai primi fotogrammi.
Hwang Min Hyun interpreta Seo Yul, giovane mago in formazione a Songrim. Ex cantante dei Nu’est (la band si è sciolta nel 2018), dal 2020 ha intrapreso con successo anche la carriera di attore.
Yoo Joon Sang interpreta Park Jin, mago di Songrim, presenza costante al fianco di Jang Uk. Bravissimo, riesce ad essere sia serio e, a volte, avere quel tocco di comicità che strappa sorrisi. Lo potete trovare anche in “The Uncanny Counter” e “The Pentahouse2”.
Oh Na Ra interpreta Kim Doju la donna che ha allevato Jang Uk. Prima volta che la vedo recitare, non ho visto altri drama da lei interpretati.
Shin Seung Ho interpreta il principe ereditario Go Won. Prima volta che lo vedo in un ruolo principale, molto bravo, visto in ruoli di supporto in “Love Alarm” e “D.P. Dog Day”.
Arin interpreta Jin Cho Yeon la figlia minore di Jin Ho Kyung. Vocalista e Maknae del gruppo kpop “Oh my girl”, da un paio di anni ha intrapreso anche la carriera di attrice.
Yoo In Soo interpreta Park Dang Gu, un altro giovane mago e amico di Jang Uk. Giovane attore che ha recitato in ruoli di supporto in parecchi drama tra i quali: Strong Girl Bong-soon, Gangnam Beauty, At a Distance, Spring Is.
Park Eun Hye interpreta Jin Ho Kyung, capo della famiglia Jin. Non conosco questa attrice, qui recita in un ruolo di supporto, ma ha alle spalle, in Corea, una filmografia molto ricca.
Jo Jae Yun interpreta il cattivissimo Jin Mu. Recita dal 2003 e ad oggi ha interpretato tantissimi ruoli, in prevalenza di supporto, molto bravo a far il cattivo, qui riesce a farsi odiare solo guardandolo.
Lee Do Kyung interpreta Heo Yeom mago anziano di Sogrim. Recita da molto, in ruoli di supporto, cito solo alcuni dei suoi lavori: The Uncanny Counter, Dali and the cocky Prince, Hyena e Avvocata Woo.
VISTO su Rama, ma lo trovate anche su Netflix
VOTO 9 (pieno)
Rammento che quando scrivo di un drama sono sempre le mie opinioni e ciò che il drama ha fatto nascere in me.
Il mantello è simile a quello dei film di fantasy, il cappuccio ampio gli copre parzialmente il viso, s’intravedono solo gli occhi e il mento. Si avvicina piano, senza esitazione. Lo osservo da lontano, rimango impietrita sul posto e penso: “No! Per favore, fermati, fermati! Se ti avvicini troppo, se mi guardi negli occhi, capirai ancora tutto il potere che hai su di me”. Ora capisco la paralisi delle prede.
Non si ferma, continua fino a trovarsi a pochi centimetri da me, alza lo sguardo e incrocia il mio. Lo sapevo, mi scoppia il cuore, trabocca d’amore e di paura.
E’ la paura a portarmi parzialmente in un risveglio, rimango lì, immobile nel letto, né in questo mondo, né in quello di Morfeo. Rimango lì al confine dei due mondi, mentre mi duole il cuore.
Non so perché, ma in quella terra di mezzo, la prima cosa che mi viene in mente è una tecnica che usano i fiorai. Colorano le rose bianche di blu, mettono l’inchiostro blu nell’acqua. Le rose assorbono l’acqua e nel farlo, cambiano il loro colore e la loro natura. Diventano bellissime e uniche. Il problema è che per le rose, l’inchiostro è veleno.
Rimango così, ancora ferma nel letto, nel mondo di mezzo, lo sento, il mio sangue si colora di blu, lentamente e inesorabilmente. Arriva uno dei miei gatti, Loki, ci prova con la zampetta, picchiettandomi il volto, a riportarmi in questo mondo, ma il blu non lo permette, non fintanto che non avrà colorato tutto il mio sangue da rosso a blu. Quando accade, mi risveglio e sento il cuore gonfio.
Lo so già, questa giornata sarà così, avrò una percezione di te tutto il giorno, e mentre le ore scorreranno, verso sera, il blu si trasformerà in azzurro, e poi domani, il mio sangue tornerà rosso.
Quando, anni fa, me ne sono andata, ero convinta che ti avrei lasciato alle mie spalle e invece ti ho portato con me. Era molto che non venivi nei sogni. La sensazione è che in questa vita sarà sempre così, e questo da una parte mi spaventa e dall’altra mi consola, perché questo è “uno di quei sogni”.
E’ stato ieri che ho letto una frase di Barbara Alberti, «L’amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia». Ed io, dopo te, son diventata codarda.
Mi alzo, vado in bagno e mi osservo davanti al grande specchio, penso che la vita ci prosciughi e ci fa sembrare come delle albicocche che si avvizziscono al sole. Dovrei sorridere di più. Il sorriso nasconde le rughe.
E’ un vero peccato che mentre la vita ci/si prosciuga, il nostro nocciolo interiore cresca e risplenda come un adolescente al suo primo amore. Forse è questo lo scopo, che perversamente il dio che ride ha creato. Quando il nocciolo interiore è pronto a sbocciare, l’involucro, il nostro corpo, avvizzisce e muore, permettendo a un nuovo noi di nascere. Un nuovo noi che porterà con sé l’insegnamento, ma non il dolore. Forse è questo il concetto della reincarnazione.
Credo che il dio che ride, giochi spesso con me, credo di essere uno dei suoi personaggi in questo suo gioco di ruolo.
Smetto di osservarmi allo specchio, chiudo gli occhi, si inizia la giornata. Spero arrivi presto questa sera, dove il blu si sarà stemperato in un pallido azzurro.
Domani sarà diverso, domani ricomincerò a postare i miei amati “principi asiatici”, perché favola per favola, loro non potranno mai farmi del male trasformandosi in lupi.
Quelli che ho conosciuto e che mi hanno fatto conoscere il “buono” che c’era in loro e a quelli che mi hanno inflitto qualcosa di “cattivo”. Mi avete aiutato a crescere e a comprendere quello che non volevo essere.
Quelli che mi hanno amata e che io non ho amato, non come avrebbero voluto loro. Attraverso voi ho acquisito la capacità di accettare il rifiuto.
Quelli che ho amato e che mi hanno forgiato attraverso il dolore, anche grazie a loro, sono la persona che sono oggi.
Quelli che mi hanno compresa nell’anima e fatta sentire, per un attimo, meno sola in questo mondo. Voi avete riempito il mio cielo.
Quelli che mi hanno chiamata puttana, perché nel loro ferirmi mi hanno resa libera dal giudizio altrui.
Quelli che mi sono amici, quelli veri, che mi hanno fatto conoscere la bellezza, la profondità e la delicatezza del lato maschile.
Quelli che mi hanno resa così insicura, da determinarmi a trovarmi e con me, la mia sicurezza.
Quelli che non sanno neppure loro che vogliono da me, e spesso dalla vita, perché mi hanno dato la capacità di decisione.
Quelli che ho ferito, a volte per codardia a volte senza rendermene conto, perché mi hanno insegnato che a volte che è un attimo passare da vittima a carnefice.
Quelli che “Ci sono per te” e poi non ci sono mai. Mi hanno insegnato il valore di chi invece c’è.
A Voi regalo le parole di questa canzone che amo. Stamattina passava per radio e mi ha fatto venire in mente tutti voi.
Grazie. Sia che siate stati carezze o siate stati lame nella mia vita, mi avete dato il massimo di cui eravate capaci in quel momento.
La dedico anche a me, alla mia parte maschile. Oggi, scrivendo queste poche righe insieme alla mia parte femminile, mi ha fatto amare tutti voi, e così facendo, mi ha liberato.
Un nòcciolo vive tuttora lì. Un nòcciolo è diventato albero, ma poi non ha resistito. Le intemperie di questa terra l’hanno abbattuto. Un nòcciolo è come svanito nelle nebbie del tempo che passa, non ne so più nulla, se è vivo, se è morto. Un nòcciolo è stato trasportato lontano da quelle terre, dal vento, quel nòcciolo sono io.
Chissà che albero son diventata?
Mi scruto. Occhi di ora verso allora.
Il sorriso, anzi il ridere, la postura, quel rametto, la luce negli occhi. Mi vedo per chi ero. In verità, ne sono consapevole, sono la stessa oggi.
Nel profondo il mio “nòcciolo”, la mia anima, è la stessa. Ho gli stessi ideali, la stessa innocenza (o meglio oggi ho l’innocenza dei vecchi), lo stesso scopo, lo stesso sguardo sul mondo, soffro per le stesse emozioni, i miei punti deboli e quelli forti sono gli stessi, ma fuori, in superficie, nel mio vivere, sono così diversa oggi.
Questi anni, questo crescere, tutto questo tempo terrestre, hanno fatto sì che isolassi sempre più il “nòcciolo” dall’esterno. Forse per proteggerlo, o forse per paura, o forse per entrambe, chi può dirlo.
E’ accaduto. Non so di preciso il momento, ma è accaduto.
Da piccola e fino a qualche anno fa, facevo di tutto per dare vita a quel nòcciolo, per portarlo alla luce, perché tu, chiunque fossi, potessi vederlo. Poi è sopraggiunto il contrario. L’ho ricacciato in fondo da qualche parte, l’ho fatto così bene che il silenzio assordante della sua mancanza mi anestetizza.
Ma mi manco. A volte mi manco tremendamente. Come gli innamorati distanti tra loro migliaia di chilometri, si struggono nel pensiero dell’altro lontano. Ecco, mi manco in quel modo, so che il mio nòcciolo c’è, che esiste, è vivo, ma mi ritrovo a vivere, nel quotidiano, con la parte migliore di me lontano. Ah, fossi stata meno brava a nasconderlo, con trabocchetti e labirinti, distante dall’albero che son diventata.
Eccoci allora qui, vicini e distanti, radici e rami, sappiamo che l’altro c’è, lo percepiamo, ma siamo separati.