縁 (えん) = ME E IL GIAPPONE


Settima prossima sarò in Giappone.
Il Giappone e io abbiamo un rapporto 縁.

Ve ne parlo in questo post. Il mio rapporto con il Giappone è nato in età adulta, lontano da anime, manga e quant’altro (anche se poi hanno iniziato a farne parte). È nato anni fa da una frase letta in una rivista di architettura che parlava di “arredare con il vuoto”. Per me fu una fucilata interiore, quella era casa per me.

Questo paese mi è entrato sottopelle, con i suoi ossimori continui. Solo per farvi un esempio, è un paese che riesce ad essere romantico e amorevole fino a penetrarti nelle ossa, e nel contempo avere una visione di vita crudele e difficile, fino a toglierti il fiato.

Una loro parola-concetto potrebbe riassumere questo mio rapporto interiore con il Giappone: 縁 la cui pronuncia è “en”.
È formato da due kanji:
糸 – il cui significato è filo oppure corda
爰 – il cui significato giapponese è di destino, legame, connessione.
Lo vedete il concetto profondo di 縁? Un filo del destino, una connessione, un destino che va oltre l’ordinario, un legame karmico.

Con il Giappone ho questa sensazione. Con questo paese percepisco una connessione, non comprendo da dove nasca (ma ha importanza?), la sento in molti aspetti del suo modo di essere, ne cito solo alcuni: il suo essere rispettoso, il suo sforzarsi nella gentilezza per aver capito che è l’unico modo per non attraversare la “guerra”, e non è facile farlo.

Amo questo paese nonostante ci siano altrettante cose che non mi piacciono. In fondo ho lo stesso atteggiamento di quando ho amato, pur non piacendoti alcuni aspetti, lo ami. Insomma, sono innamorata del Giappone.

Ho un “縁” anche con le persone legate al Giappone per nascita o per amore. Queste persone, per me, sono un tangibile “incrocio del destino”, un 縁 in carne e ossa.

Parlo di Matsu, conosciuta l’anno scorso, e del suo portarci a casa sua, farci conoscere la sua famiglia. Portarci in giro, il giorno dopo, in auto fino alle risaie Maruyama Senmaida.

Parlo delle tre donne conosciute una sera nel parco di Hirosaki (di cui non ricordo il nome, complice una leggera ubriacatura di sakè), che ci hanno invitato sotto un albero di ciliegi a fare un picnic con loro, offrendoci cibo e alcol. Nessuna parlava la lingua dell’altra, eppure, complice il sakè, abbiamo parlato e riso per due ore.

Parlo di Aya, conosciuta per caso a un concerto a Berlino a luglio di quest’anno, incontro che l’ha portata, a ottobre, con suo marito da me. Un pranzo insieme fronte lago parlando in giapponese, italiano, inglese, mentre nessuno dei tre sapeva bene la lingua dell’altro.


Parlo di Yoko, che non ho mai visto in vita mia, amica di un’amica, che quando ha saputo che venivo in Giappone quest’anno, ci ha “legato” un reciproco desiderio di conoscerci realmente (cosa che farò in questo viaggio).


Parlo di Rodi, italiano che vive a Tokyo da tantissimi anni, e che mi aiuterà i primi giorni di novembre a Tokyo a districarmi nelle sue strade e nella sua metropolitana. Rodi, che fin dalla prima volta al telefono l’ho percepito come se lo conoscessi da molto. La prima telefonata è durata un’ora.


Infine, parlo di Shigeru, che cito per ultimo ma invece è tra le persone con cui ho sentito, attraverso i suoi scritti, la connessione più profonda. Le sue parole scritte, per me, sono poesia verso il mondo, un’apertura così anomala per essere un giapponese e, allo stesso tempo, così giapponese (lo ripeto, il Giappone, per me è uno splendido ossimoro). Un vero “incrocio del destino”. Lui è una persona davvero speciale, che incontrerò in questo mio viaggio.

Credetemi, non vedo l’ora di entrare, nuovamente, in contatto con il Giappone, la sua cultura e le sue persone.

Se siete curiosi del mio viaggio precedente in Giappone, cliccate qui:
Giappone 2024

Sanae Takaichi: il patriarcato in versione tailleur


Leggo che in Giappone, per la prima volta, al governo è stata nominata una donna: Sanae Takaichi.

Da donna dovrei essere contenta, ma non lo sono. Non ho mai pensato che mi dovesse piacere un politico solo perché è del mio stesso genere. Ho sempre considerato anche le “quote rosa” italiane un recinto per mucche, perché fintanto che c’è una legge di questo tipo vuol dire che non esiste parità. Io valuto i politici, a prescindere dal genere, per quello fanno e non per quello che dicono.

Premesso quello che ho appena scritto, e che sono innamorata persa del Giappone, vi dico perché la vittoria di questa donna, politicamente non mi esalta.

Sanae Takaichi fa parte del partito di governo giapponese LDP (Liberal Democratic Party) e appartiene all’ala più conservatrice e nazionalista del partito.

Vi dico solo alcuni punti del suo programma che mi hanno lasciato perplessa:

  • Sicurezza e difesa: Vuole cambiare l’articolo 91 della Costituzione Giapponese, che limita le forze armate in un ruolo di sola autodifesa e non può avere un ruolo di forze armate offensive.
  • Nazionalismo: punta moltissimo su una politica “Il Giappone prima” (vi ricorda qualcuno?).
  • Relazioni esterne: critica la dipendenza economica dalla Cina e fin qui nulla di male, ma non critica quella dagli USA, quindi questo mi fa sospettare aiuti e pressioni americane.
  • Politica sociale: conservatrice fino al midollo, forse oltre il midollo, su famiglia, genere, e cultura. Ne cito solo un paio ad esempio. Si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso e ai cognomi separati per le coppie sposate (in Giappone la moglie quando si sposa perde il cognome e assume quello del marito).
  • Questioni storiche: il partito conservatore è tra quelli che cerca di fare revisionismo storico. Il Giappone, a differenza della Germania“, non ha mai fatto “outing storico” per i crimini commessi nella seconda guerra mondiale. Non ammette i crimini militari commessi in Corea del Sud2 e in Cina3.
  • Questioni di parità di genere: si oppone all’idea che una donna possa ascendere al trono imperiale in Giappone. In pratica mantiene la tradizione patriarcale del sistema di successione che privilegia gli uomini.

Insomma, un profilo notevolmente conservatore e nazionalista, che spinge ancora verso a una destra maggiormente conservatrice e ultra nazionalista.

Tra l’altro, tra le promesse elettorali che ha fatto per essere eletta, alcune potranno causare problemi perché di difficile realizzazione nel breve tempo. Ha promesso riduzioni fiscali in un contesto di alto debito pubblico. Il rapporto debito/PIL del Giappone del 2024 è di circa 236%. Per farvi capire meglio: quello dell’Italia, che non siamo proprio messi bene, è di circa il 137%.
L’applicazione della promessa fatta in una situazione di alto debito pubblico rimane un’incognita.

Il mio post non è una critica verso Sanae Takaichi, ma verso ciò che lei rappresenta. Insomma la domanda che mi resta è:
Cosa succede quando le donne al potere difendono un modello che non ha mai previsto il loro potere?

FONTI: Wikipedia, Defence24, The Economic Times, UA News, Reuters, The Asahi Shimbun, Japan Forward, The Japan Times, History, Korean Times

  1. L’articolo 9 della Costituzione Giapponese.
    “Desiderando sinceramente una pace internazionale basata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e al ricorso alla forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali.
    Per conseguire l’obiettivo del precedente paragrafo, non saranno mantenute forze terrestri, navali o aeree, né qualsiasi altro potenziale bellico. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.”

    Non pensiate che per questo il Giappone non abbia esercito e armamenti. Li ha ma può usarli solo a scopo difensivo e non offensivo (simile all’articolo 11 della costituzione italiana). ↩︎
  2. Lavoro forzato e deportazioni di uomini e donne coreane. Circa 725.000 lavoratori coreani furono costretti a lavorare in Giappone e nelle altre colonie.
    “Confort women”. Schiavitù sessuale di donne coreane per i militari giapponesi. Un articolo di History dice: “Molte vennero inviate sui fronti di guerra dove subirono quotidianamente abusi sessuali da parte dell’esercito giapponese, in quello che è sicuramente uno dei peggiori casi di traffico sessuale nella storia moderna.”.
    Soppressione culturale. Nel periodo di occupazione coloniale, la lingua coreana fu vietata, l’istruzione fu “Japanizzazione” e i testi storici coreani bruciati.
    Massacri e brutalità.  Sono documentati molti episodi di brutalità e massacri di villaggi. ↩︎
  3. Massacro di Nanchino. Chiamato anche come “stupro di Nanchino” (si parla di 300.000 uccisioni). Uccisioni e stupri di massa, saccheggi e incendi. Il massacro di Nanchino è considerato tra i più efferati nel conflitto Cina Giappone, e ancora oggi crea attrito tra i due paesi, anche per il rifiuto di “outing storico” da parte del Giappone”.
    Politica del “Three Alls”. Era la politica giapponese nelle zone occupate, e in Cina in modo particolare. Questa politica prevedeva il dogma “Uccidi tutti, brucia tutto, saccheggia tutto”. Fu un disastro sociale ed economico in ampie zone della Cina occupata.
    Unità 731. Altro pagina atroce. Attraverso quest’unità segreta, l’esercito giapponese condusse esperimenti. Sviluppo armi biologiche e chimiche testandole sulla popolazione cinese.
    Inoltre condusse esperimenti su prigionieri e civili che includevano: vivisezione di persone vive, iniezioni di virus letali, test di congelamento, privazione forzata di cibo o acqua, esperimenti di dissezioni su donne incinte.
    Il numero preciso è difficile da stabilire, perché i giapponesi bruciarono quasi tutti i documenti. Fonti certe, comunque, parlano tra le 3000 e le 10000 vittime di esperimenti ↩︎

L’OMBRA DEL CARDO


L’Ombra del Cardo
di Aki Shimazaki
romanzo giapponese contemporaneo

Questa è la terza pentalogia che leggo di questa autrice. Se volete leggere anche le altre due recensioni che ho scritto, vi rimando a fondo pagina con i link relativi.

Solo questo dovrebbe farvi intuire quanto io mi sia “innamorata” della scrittura di questa scrittrice. Anche con questa pentalogia l’autrice, con me, ha colpito e affondato.

Questa volta, per mio mero errore, invece di prendere il libro che raccoglie tutti e cinque i romanzi e che si intitola “L’ombra del Cardo”, ho preso le singole uscite, alcune trovate usate e alcune nuove che sono: Azami, Hozuki, Suisen, Fuki-no-to e Maimai.

Anche questa pentalogia è una raccolta di cinque storie, godibili singolarmente, i protagonisti si intrecciano in un momento della loro storia e danno seguito ad un racconto successivo, come una staffetta che passa il testimone. Così vediamo i cinque protagonisti che partono da Mitsuo e attraversando le storie di a Mitsuko, Goro e Atsuko, arrivano fino a Taro.

La pentalogia parla dei sentimenti umani e del peso, che a volte, le loro scelte portano nella loro vita. Anche qui ho letto i cinque libri in maniera avida e velocemente, mentre cadevo “dentro” le storie dei protagonisti.

Il libro-racconto che ho amato di più è Hozuki e il personaggio di Mitsuko.

Consiglio nuovamente questo libro.

AUTRICE ED EDITORE
Aki Shimazaki è nata a Gifu, in Giappone nel 1954. Nel 1981 si è trasferita in Canada, dove tuttora vive e lavora.

Come ho già scritto, per mero errore, io ho preso i cinque libri separatamente. A voi consiglio il libro che contiene la pentalogia completa, è edita dall’editore Feltrinelli – Collana Universale economica Feltrinelli, 448 pagine, pubblicata in Italia nel 2023.
La potete trovare, oltre che nelle librerie, online su siti di LaFeltrinelli, Amazon e Ibs: Prezzo intero cartaceo 15,00€ ma on line a 14,250€ – Ebook 7,99€.
Buttate un occhio anche sul sito del Libraccio, spesso trovate la stessa edizione usata a un prezzo notevolmente più basso.

Altre recensioni dei libri di Aki Shimazaki:
Nel cuore di Yamato
Il peso dei segreti

Infine solo per ricordare che non dimentico e che, anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

IL PESO DEI SEGRETI


Il peso dei segreti
di Aki Shimazaki
romanzo giapponese contemporaneo

Ho preso questo libro perché avevo letto “Nel cuore di Yamato” della stessa autrice (cliccate qui per la recensione se volete leggerla) e mi ero innamorata del tipo di scrittura e dei racconti. Avevo un po’ di timore di rimanere delusa, considerando quanto mi era piaciuto il primo, ma era un timore sbagliato. Questa nuova pentalogia mi piace forse anche più della prima che ho letto. Teoricamente avrei dovuto leggere questa per prima e poi l’altra.

Anche questo libro è una raccolta di cinque storie, godibili singolarmente ma che s’intrecciano tra loro. Ogni racconto descrive, nel tempo, lo stesso avvenimento visto da cinque punti di vista diversi, quello del protagonista di ciascun racconto. La storia si sviluppa nel Giappone degli anni venti, prosegue durante la seconda guerra mondiale arrivando fino alla sua fine, anche se spesso è nel presente che si parla di quel periodo.

Le vicende di Yukiko, Yukio, Yonshi, Kenji Takahashi e Mariko ci offrono una visione profonda del Giappone di allora, con gli aspetti anche meno luminosi di quel paese.

Tutta la pentalogia è piena di misteri apparentemente insondabili, ma che man mano, il libro si sviluppa vengono a galla sotto gli occhi di chi legge, intrecciando ancora di più i personaggi tra loro.

Anche questa volta l’autrice riesce a darci scorci di storia che altrimenti avremmo visto solo dalla parte della “storia occidentale”. Nei primi capitoli fa esprimere ai personaggi domande e risposte sulla bomba atomica sganciata su Nagasaki. Domande e risposte che fanno riflettere molto. Puntano il dito, senza odio, su ciò che è accaduto ed evidenziano la barbarie umana occidentale, ma contemporaneamente punta il dito, più avanti nel libro, verso le barbarie commesse dal Giappone.

Ancora una volta mi sono trovata “dentro” la storia mentre leggevo e sentivo, percepivo le emozioni dei protagonisti nate dalla situazione che vivevano.

Riconfermo il mio amore verso questa scrittrice e il suo stile, e il mio giudizio più che positivo mi porta ancora a dare un voto molto alto. A breve inizierò la sua terza pentalogia, il che dimostra quanto mi ha colpito.

Lo consiglio di cuore.

AUTRICE ED EDITORE
Aki Shimazaki è nata a Gifu in Giappone nel 1954. Nel 1981 si è trasferita in Canada, dove tuttora vive e lavora.

L’edizione da me letta è dell’editore Feltrinelli – Collana Universale economica Feltrinelli, 400 pagine, pubblicata in Italia nel 2016. La potete trovare, oltre che nelle librerie, online su siti di Lafeltrinelli, Amazon e Ibs: Prezzo intero cartaceo 14,00€ ma on line a 13,30€ – Ebook 6,99€.
Io l’ho acquistato usato sul Libraccio a 7,70€. Consiglio sempre di dare una veloce occhiata a questo sito, spesso trovate copie di seconda mano, a un prezzo inferiore.

Infine solo per ricordare che non dimentico e che, anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

LEARNING TO LOVE


Learning To Love
Genere: Romantico
Paese: Giappone
Anno 2025 – 11 episodi di circa 50 minuti

Sono un ex romantica, ora cinica romantica, non amo molto le serie romantiche, eppure questa leggera breve serie giapponese mi è piaciuta.

Trama:
Ogawa Manami è un’insegnante di un liceo cattolico, abita ancora con la famiglia ed è cresciuta in un clima severo con un padre autoritario e una madre che non ha la forza di ribellarsi al marito. Vive in maniera spenta con il padre che la reputa incapace di cavarsela da sola, invadendo da sempre la sua vita con decisioni che spetterebbero solo a lei. La spinge a sposare un uomo che piace a lui.

Kaoru è un giovane ragazzo cresciuto in un ambiente povero. Non ha imparato a leggere e scrivere, e questo condiziona la sua vita. È diventato un host1 del club “Joker” a Kabuchicho. Nonostante il suo passato e il suo presente, non sempre semplice, cerca di vivere la sua vita in maniera spensierata.

Manami, un giorno, riceve una chiamata che la informa di una sua studentessa, che è andata in un host club ed è con un host. Corre al locale per riportare indietro la studentessa. Qui incontra, o meglio si scontra con Kaoru.

In seguito, obbligata dalla scuola e dalla madre della studentessa, Manami deve far firmare a Kaoru una lettera in cui il ragazzo promette di non rivedere più la studentessa. In cambio non avrà nessuna denuncia penale. Nel tentativo di far scrivere e firmare questa lettera, l’insegnante scopre il problema di Kaoru e si offre di aiutarlo a imparare attraverso delle lezioni  private.

Gli attori principali sono: Murakami Raul Maito e Kimura Fumino.

Se volete vederlo, lo trovate su Netflix.

Questo leggero film romantico mi ha portato pensieri e raffronti seri: parlo dei preconcetti che le persone hanno su altre persone o gruppi diversi a loro, sull’arroganza di essere i migliori e di schivare la “feccia”, non permettendo così alle persone di evolvere se stesse e gli altri. Questo aspetto di vita, ahimè, lo vedo nell’ambiente che mi circonda. Spero di non averlo mai fatto io, senza rendermene conto.

Il romanticismo di questo drama è quel dolce non stucchevole che nausea, ma che invece ti fa venire voglia di assaggiare.

Questa era la parte seria del mio pensiero; la parte meno seria è che con un host così una bottiglia di champagne l’avrei aperta pure io! 192 cm di mix giapponese/venezuelano lo rende una forte tentazione!

  1. Gli host sono giovani ragazzi, sempre alla moda, ben curati e vestiti, che lavorano negli host club, locali notturni dove il loro compito è intrattenere le clienti (quasi esclusivamente donne).

    L’intrattenimento consiste nell’arte del fascino e della compagnia: nel flirtare, fare conversazione con loro, bere, ascoltare, coccolare l’ego delle clienti, farle ridere e spingerle a ordinare più bottiglie possibili (i guadagni degli host dipendono dalle consumazioni). Più una cliente spende, più loro guadagnano più il loro status nel club cresce. Non si tratta di prostituzione, anche se alcuni di loro possono sconfinare.

    A Tokyo, specialmente nei quartieri di Kabukicho e Shinjuku, il giro è enorme. Sono consideri veri e propri idol, tanto da sembrare delle star della Jpop. I più famosi guadagnano cifre astronomiche in una notte; altri diventano famosi, appaiono in televisione e scrivono libri
    . ↩︎

Infine solo per ricordare che non dimentico, e anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

NEL CUORE DI YAMATO


Nel cuore di Yamato
di Aki Smimazaki
romanzo giapponese contemporaneo

Sono sincera, ho scelto questo libro perché ai primi di luglio, mentre ero in aeroporto in attesa di partire per Berlino, ho visto un’offerta: “Prendi due e paghi solo 11.90€”. La mia scelta è caduta su questo libro, mi ha attirato il titolo, perché Yamato è il nome antico del Giappone. Chi mi conosce, sa che ho un “leggero” profondo innamoramento, per questo paese dai mille ossimori.

Non conoscevo l’autrice e non mi aspettavo nulla da questo romanzo, e invece… invece mi sono appassionata come non succedeva da molto.

Questo libro è una pentalogia, una raccolta di cinque storie, godibili singolarmente ma che si intrecciano tra loro. Si sviluppa nel Giappone del dopoguerra, dove coabitano le antiche tradizioni e il nuovo che arriva dall’occidente.
In questa atmosfera, si tangono nel tempo, le vicende di Mitsuba, Zakuro, Tonbo, Tsukushi e Yamabuki. La raccolta ci offre uno spaccato della storia politica, sociale ed economica del Giappone, attraverso i personaggi di ogni racconto.

Con il loro vivere quotidiano, ci danno una visione di una società che cambia, ma rimane ancorata al passato, con la loro logica del lavoro, il peso della società, della posizione sociale e il rigido rispetto delle regole. Tutti fattori che condizionano la vita privata e sentimentale dei personaggi perché, nonostante la modernità che avanza, le loro radici affondano profondamente in una cultura e nelle tradizioni. Ognuno di loro risponderà in maniera diversa a queste sollecitazioni e pressioni.

L’amore pervade ogni racconto, con diverse sfumature e complessità: quello di coppia, tra genitori e figli, quello sacrificale, quello verso il proprio paese.

Si percepisce la confusione di uomini e donne che vivono in un periodo di cambiamento. L’aver lasciato molte parole nella pronuncia giapponese (non preoccupatevi sono poche e hanno la spiegazione in fondo al libro) fa immergere ancora di più nell’atmosfera del libro.

L’autrice ci regala scorci di storia, a noi occidentali sconosciuti, specialmente sul periodo delle deportazioni in Siberia. A scuola noi studiamo principalmente la storia occidentale moderna, quella di altri popoli solo quando tocca l’occidente. Avere visto un pezzettino della loro storia attraverso le parole dell’autrice, mi fa sentire ancora più vicina alle persone comuni.

Era da molto che un libro non mi prendeva così tanto, da farmi rinunciare al sonno per leggere ancora una pagina, ancora una pagina, ancora una pagina…

Terminata la lettura, ho ordinato anche le altre pentalogie dell’autrice. Ho scoperto un nuovo autore che amo. Aspettatevi quindi delle recensioni successive a questa.

Non amo dare voti, perché ognuno ha i suoi gusti e quello che non piace a me piace a un’altra persona, e viceversa, ma in questo caso io voto con un bel 9 pieno, tendente al 10.

PS: in foto una delle mie micie, Sophie, che approva la mia scelta di lettura.

AUTRICE E EDITORE
Aki Shimazaki è nata a Gifu in Giappone nel 1954. Nel 1981 si è trasferita in Canada, dove tuttora vive e lavora.

L’edizione da me letta è dell’editore Feltrinelli – Collana Universale economica Feltrinelli, 409 pagine, pubblicata in Italia nel 2021. La potete trovare, oltre che nelle librerie, online su siti di Lafeltrinelli, Amazon e Ibs: Prezzo cartaceo 11,40€ – Ebook 7.99€. Volendo sul sito del Libraccio.it potete trovare copie di seconda mano.

Infine solo per ricordare che non dimentico e che, anche se parlo di altro, questo fa costantemente parte di me, ogni giorno.

QUEI SILENZI COSI’ PIENI DI PAROLE


Soffro della “Japanese syndrome” e ho iniziato a soffrirne da adulta, non da ragazzina. Come tutte le “malattie” se le prendi da grande, sono più “pesanti”.
L’alternativa è che in un’altra epoca, in Giappone, il mio vivere sia stato così intenso da portarmelo dietro di esistenza in esistenza, in ogni vita successiva come percezione del mondo.

Il titolo di questo post deriva da questo. Ogni volta che “inciampo” nel Giappone con un film, un libro, una serie in cui si parla dello scorrere della vita, delle persone e delle loro emozioni, il mio cinismo si assopisce e risale prepotentemente qualcosa di me, qualcosa che avverto a livello fisico, nel bene e nel male.

Non sto esagerando, a volte sento il cuore stringersi in una contrazione di dolore fisica, a volte mi pervade una saudade emotiva, e a volte una sensazione di benessere mi scioglie le membra. Tutta colpa della “Japanese syndrome” che forse dovrei chiamare, per rimanere in tema, con un termine giapponese: “Mono no Aware1, che racchiude molto di quello che vorrei dire, anche se non tutto.

Tutto questo prologo deriva dal titolo di questo post, pensiero nato guardando una serie giapponese.

In questa serie i silenzi erano così densi di parole da riempirmi la mente.

I silenzi che parlano, i silenzi così densi che l’aria diventa povera di ossigeno, i silenzi carichi di significati, i silenzi alle domande che sono risposte, i silenzi di cui spesso mi avvolgo.

Vorrei riuscire a comunicarvi i miei pensieri, quello che “Mono no Aware” ha mosso. Ma sono così tanti e così desiderosi di uscire che mi hanno intasato la capacità di trascriverli. Troppi, tutti insieme, che cercano l’uscita dalle punte delle mie dita sulla tastiera.

Temo di non esserci riuscita e che sia impossibile farlo, quindi non dico altro.

Portate pazienza per i miei sproloqui, sono una cinica romantica in cui ogni tanto il cinismo si assopisce e ritorna prepotentemente in superficie, la mia visione dell’amore (che forse non esiste).

Qua sotto lascio solo, qua sotto per i curiosi e per gli amanti del genere, cosa ha suscitato in me tutti questi pensieri. Non è una vera e propria recensione, ma qualche dato della serie, una breve trama e qualche considerazione.

“Our Youth” e “Out Youth: After Story”
Titolo originale: “Miseinen: mijukuna oretachi wa bukiyō ni shinkō-chū” e
“Miseinen: mijukuna oretachi wa bukiyō ni shinkō-chū. Afutāsutōrī”
Genere: Romantico, Gioventù, BL
Paese: Giappone
Anno – episodi: 2024 – 10+2

È’ un adattamento dal webtoon “Our Youth” di Hi Noon. La serie è composta di dieci episodi più due di sequel. Alcuni fansub hanno raggruppato i due episodi del sequel in un’unica puntata.

I due attori protagonisti sono Motojima Junsei che interpreta Minase Jin e Kamimura Kenshin che interpreta Hirukawa Haruki.

La trama è molto semplice da scrivere, ma purtroppo non rende la bellezza romantica e anche profonda che, man mano, scaturisce nella serie, mentre una sceneggiatura ben fatta porta a galla emozioni e verità.

Due studenti liceali Minase Jin e Hirukawa Haruki frequentano lo stesso liceo e sono nella stessa classe. Sono diametralmente diversi:
Minase Jin è uno studente modello, sempre tra i primi della classe, ha già in mente il suo futuro, probabilmente indotto dalla madre. Vive praticamente da solo, perché i genitori sono sempre lontani per lavoro.
Hirukawa Haruki, è un ragazzo problematico, un piantagrane, fuma, salta giorni di scuola ed è a capo di un gruppo di ragazzi con i suoi stessi problemi. Vive solo con il padre, un uomo violento e manesco.

Apparentemente due isole nel mare, lontane tra di loro, eppure tra i due inizia un reciproco avvicinamento, quasi che uno compensi l’altro.

Una serie che parla di gioventù, di paure, di crescita, di doveri in una società in cui lo stigma sociale può “uccidere” socialmente una persona. Ma parla anche di amore, di speranza, con una spruzzatina (minima, nel sequel) sui mancati diritti LGBTQ+.2

2 In Giappone non è ancora legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E’ l’unico paese del G7 a non averlo legalizzato. Detto questo però ci sono molte sentenze dei tribunali di alto livello (ne cito alcune: Tokyo, Sapporo, e Osaka) che hanno dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Purtroppo al momento queste sentenze non hanno fatto modificare la legge.
Alcune città e prefetture hanno cercato di dare una legalità a questi matrimoni con i “certificati di partenariato”, ovvero un sistema di certificati per le coppie dello stesso sesso. Anche se non hanno valore di matrimonio, almeno garantiscono alcuni diritti tra cui poter visitare il partner in ospedale, essere riconosciuti come famiglia affidataria.
Il webtoon è di origine Coreana, ma anche in Corea del Sud il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è legale.

  1. “Mono no Aware” è un’espressione di dolore e bellezza contemporaneamente.
    Ha molte sfumature, tra cui il sentimento della consapevolezza della transitorietà delle cose e della vita. Riflette una malinconia agrodolce, non vuota ma ricolma di apprezzamento, non c’è rabbia o frustrazione ma accettazione attraverso una gioia malinconica. ↩︎
  2. In Giappone non è ancora legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E’ l’unico paese del G7 a non averlo legalizzato. Detto questo però ci sono molte sentenze dei tribunali di alto livello (ne cito alcune: Tokyo, Sapporo, e Osaka) che hanno dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Purtroppo al momento queste sentenze non hanno fatto modificare la legge.
    Alcune città e prefetture hanno cercato di dare una legalità a questi matrimoni con i “certificati di partenariato”, ovvero un sistema di certificati per le coppie dello stesso sesso. Anche se non hanno valore di matrimonio, almeno garantiscono alcuni diritti tra cui poter visitare il partner in ospedale, essere riconosciuti come famiglia affidataria.
    Il webtoon è di origine Coreana, ma anche in Corea del Sud il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è legale. ↩︎

FEUDALESIMO MODERNO: Italia 30% – israele 10%


I dazi imposti da Taco alias Trump, ad oggi possono essere riassunti a grandi linee come nella tabella qua sotto:

PAESE/AREAAttuale dal 1-12 agosto 2025
Brasile10%50%
Europa10%30% dal 1 agosto
Messico25%30% dal 1 agosto
Canada25%35% dal 1 agosto
Cina10%30% dal 12 agosto
Giappone10%25% dal 1 agosto
Australia10% attivonessuna modifica
UK30% attivonessuna modifica
Sud Corea10%25% dal 1 agosto
India10%nessuna modifica
Indonesia10%nessuna modifica
israele10%nessuna modifica
Pakistan10%nessuna modifica
Taiwan 10%nessuna modifica
Thailandia10%36% dal 1 agosto
Svizzera10%nessuna modifica
Vietnam10%nessuna modifica

Fonti: New York Post, Reuters, Awalara, Pwc

Vedo che Taco alias Trump mette ai suoi “alleati” il 30% come alla sua “nemica” Cina.
Io fossi nella Meloni e nella Von Der Leyen, qualche domandina me la farei.

Detto questo, sappiamo anche che a seconda di come si sveglia la mattina, Taco, potrebbe rivoluzionare tutto.
Non è la prima, la seconda e neppure centomillesima volta da quando è diventato presidente degli Usa, che cambia rotta apparentemente senza motivo.

Comunque, ragazzi, sottolineiamo: israele il 10% Italia il 30%.
Vogliamo farci due domandine?
Giorgia (Meloni) non ti senti un po’ serva della gleba? Io un pochetto si.

好きだ IL “MI PIACI” CHE MI HA FATTO PENSARE


L’estate in cui Hikaru è morto“, è un’anime del 2025, appena uscito su Netflix. Il titolo originale è “Hikaru ga Shinda Natsu”, la prima stagione racchiude 12 episodi ispirati all’omonimo manga. Il genere si muove tra l’horror leggero, lo slice of life1, il dramma psicologico e un accenno BL2. E’ pensato e rivolto a un pubblico adulto.

Non ne scrivo perché voglio recensirlo. Ne scrivo perché, mentre guardavo il primo episodio in lingua originale con i sottotitoli italiani, una traduzione mi ha colpito e mi ha fatto divagare nei miei pensieri.

Un passo indietro.
Al mio ritorno dal Giappone, l’anno scorso, ho deciso di provare ad imparare la lingua. Il motivo? Semplice: quel viaggio mi ha fatto amare quel paese, la sua cultura e la sua gente. Così ho iniziato a studiare giapponese.
Non è facile. Tre alfabeti, una grammatica totalmente diversa dalla nostra e le particelle… ma non vi tedio su questo, era solo per dire, che dopo un anno, nonostante la difficoltà della lingua, qualche parola, qualche frase brevissima, se parlano piano e scandiscono bene, la riconosco e riesco anche a tradurla mentalmente.

Questo è successo anche in questo anime.
A un certo punto tra i due protagonisti c’è un breve dialogo, che riporto in uno schema per farvi comprendere meglio la parola “incriminata”, quella che io capisco, 好き[な].3
Premetto che non ne faccio una questione linguistica.

YoshikiSottotitoliTraduzione reale
お前俺のこと好きTi sto simpatico?Ti piaccio?
HikaruSottotitoliTraduzione reale
何….. Cosa?…..Cosa?…..
好きだ…Si, certo…Mi piaci…
めっち や好きMi stai un sacco simpaticoMi piaci tantissimo

“Ti sono simpatico?” – “Mi stai un sacco simpatico”?
Una deviazione di senso, un ridimensionamento emotivo. E lì ho cominciato a divagare.

Perché quel traduttore ha scelto di alterare il messaggio?
Per pressioni editoriali di Netflix?
Per una traduzione pigra da un copione inglese già edulcorato?
Per ignoranza? Per censura?

Non lo so, ma so che se non avessi conosciuto quella parola, suki, avrei avuto un’altra narrazione della storia.

E da domande nascono altre domande:
Quante volte succede nella vita?
Quante volte ci raccontano versioni, traduzioni, adattamenti di una verità che non conosciamo e non possiamo verificare?
Quante volte le parole che leggiamo, ascoltiamo, sono state filtrate, limate, ammorbidite o alterare da qualcuno che, più o meno consapevolmente, decide cosa dobbiamo pensare?

In quanti altri modi mi stanno traducendo la realtà, senza che io me ne accorga?

Viviamo in tempi in cui la propaganda è ovunque, anche quando non sembra. Spesso ci viene offerta una “verità confezionata” per essere assimilata facilmente, al posto di una verità, seppur piccola, scomoda e difficile.

Sono consapevole che è impossibile essere esperti di tutto. Proprio per questo siamo vulnerabili. Per questo odio gli inganni, le mezze verità, le mezze bugie, le omissioni di verità, perché se già da sola ho fatto (e farò) scelte sbagliate, figuriamoci se tu mi dai input errati.

Come spesso mi accade, non ho risposte. Solo domande. Scrivo per metterle in ordine. Per pensarci. Per capire, se qualcuno che mi legge, si pone le mie stesse domande e se ha trovato soluzioni.

Mi rimane chiara una cosa, in ogni storia, anime, film, vita reale, telegiornale, bisogna cercare se esistono crepe tra parole e fatti. Quando c’è una frattura tra i due, lì, quasi sempre, si nasconde un pezzetto di verità.

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  1. Son sincera, son andata a vedere che cosa è il genere “slice of life”. Tradotto vuol dire “uno spaccato di vita” e indica una rappresentazione, una visione, realistica della vita quotidiana, senza idealizzarla. ↩︎
  2. Questo so che vuol dire, sono amante del genere, ma magari qualcuno di voi non lo sa, quindi lo scrivo qui. BL significa boys’ love, è un genere che parla di relazioni romantiche tra personaggi maschili, ed è conosciuto anche come “Yaoi”. ↩︎
  3. Suki, oltre a “mi piaci”, a seconda del contesto, può voler dire anche “Ti amo” o “Ti voglio bene”. Il giapponese tende a essere indiretto e quindi tra ragazzi e adulti ha una forte carica emotiva; spesso viene detto in una confessione amorosa, non certo per esprimere simpatia, perché diventerebbe ambiguo. Pur non avendo, in Giappone, un concetto esprimibile in una sola parola come da noi (il nostro “simpatia”), tendono ad usare frasi che diano quel senso, tipo: “Sei divertente”, “Sei gentile” o “Sei una brava persona”. Questo proprio perché suki diventerebbe ambiguo. ↩︎

E per non dimenticare:

FUJII KAZE, BERLINO E I MIEI PENSIERI


Sono di ritorno da poco più di “due giorni due notti” a Berlino.
Un salto da Progenie, un salto a un concerto di Fujii Kaze e un salto al Das Café in der Gartenakademie.

Tutto è nato a marzo di quest’anno, quando ho letto che un cantautore giapponese che seguo, Fujii Kaze, ha deciso di fare il suo primo tour europeo. Vedo che tra le città europee c’è Berlino (l’Italia non so per quale motivo, è snobbata quasi sempre da quelli che piacciono a me). Penso: “Perché non unire il dilettevole al dilettevole? Vado a trovare Progenie e vado al concerto”.
Avviso un’amica che ama Kaze più di me, e, detto fatto: biglietti per il concerto presi; biglietti aerei presi e “bed & breakfast gratuito” per due da Progenie, fissato!

Il concerto è stato bello, ma la cosa che mi è piaciuta di più è stata la fila, l’attesa, il conoscere le persone, il mio riuscire a dire “due parole due” in giapponese e la comunicazione con il mio stentato, stentatissimo, inglese (approfitto dell’occasione per ringraziare di cuore google traslate).

Progenie è stata con me in fila, fino al mio ingresso, per “vedere l’esperienza dei concerti”. Credo che per lei sia stato tutto molto esotico.

Questa volta il pubblico era al 90% asiatico, tantissimi giapponesi, molti residenti in Germania. Qualche cinese, e anche una ragazza arrivata appositamente da Hong Kong per lui.

In fila ho conosciuto Aya, una donna giapponese che vive in Germania con suo marito. Scambio di contatti, scambio di foto, scambio di facebook, scambio di sorrisi e a ottobre loro vengono in Italia, speriamo di riuscire a incontrarci.
Questa è la parte che amo di più dei concerti: conoscere il mondo attraverso le sue persone.

Berlino sta diventando, non una seconda casa, ma un luogo che ormai considero “normale”, come quando da casa mia faccio un salto alla vicina Milano. Ne ho avuto la riprova dal fatto che non fotografo più nulla di Berlino.

Ad essere precisi, una foto l’ho fatta, ma non di Berlino ma del brunch fatto mercoledì. Progenie aveva prenotato per quattro: me medesima, Progenie, Pecetta e Lorraine al Das Café. Un posto particolare nel giardino botanico di Berlino. Mangiare il brunch sotto l’ombra degli alberi, nel verde con cibo buonissimo e “senza fatica” per me vegana (Berlino è molto vegan), è qualcosa che non ha prezzo.

Il pomeriggio, io e Lorraine, siamo ripartite alla volta dell’Italia. Due giorni volati in due secondi. Una bolla di respiro per me, in questi giorni in cui “la questione palestinese” mi accompagna sempre nei pensieri.

Però… però all’aeroporto di Berlino, quando ero in fila per il body scanner, davanti a me c’erano due bambini tra i 3 e 5 anni, insieme ai loro genitori (che erano già passati dal body scanner), spaventatissimi alla vista dei controllori e dal controllo stesso, hanno cominciato a piangere disperati e a non voler passare dal body scanner.

E’ stato un attimo: ho pensato ai bambini di Gaza, ai bambini palestinesi, ai video che ho visto, ai soldati di occupazione dell’IDF, a queste ………………. (mettete un aggettivo dispregiativo a vostro piacere) atomiche (IDF precisiamo) che picchiavano bambini e li terrorizzavano con i mitragliatori. Ho pensato a loro, alla loro paura, al loro terrore.

Se un semplice controllore con pantaloni scuri e camicia bianca, senza armi, ha terrorizzato così tanto quei due bambini tedeschi, cosa provano i bambini palestinesi?

La bolla si era spezzata, ed io ho avuto un groppo in gola. Sono riuscita solo a dire a Lorraine: “Pensa ai bambini palestinesi”, ma non sono andata oltre. Lo sento quando il momento è “inutile”.

Ognuno di noi ha qualcosa, esterno a noi, che però vive sempre dentro noi. Per me è Gaza, ma ci sono altre cose, una di queste è Luminita Dan (che trovate qui), arrivata anni fa e mai andata via.

Può sembrare che parlando di Luminita salti di palo in frasca, ma è solo per dire che io non dimentico. Non dimenticherò questo governo italiano e quello che non ha fatto, non dimenticherò quello che non ha fatto neppure l’europa. Invece, ricorderò quello che ha fatto Trump, e ricorderò, l’unico spiraglio di luce in questa europa, quello che ha fatto Pedro Sánchez.