CONFINI


L’ho anticipato ieri, QUI, che di questo ne avrei parlato oggi.

Iniziamo. L’istituto di inglese ha organizzato un “evento speciale” per la mattina di sabato. Ritrovo in sede, partenza e camminata di gruppo verso il punto designato. Nel mezzo del tragitto, uno degli insegnanti consegnava delle “requests” e, in coppie, si chiacchierava in inglese della domanda assegnata. Ogni cinque minuti cambiavamo la domanda assegnata e il compagno.

La camminata si è conclusa sulle sponde del lago, in una zona fornita di tavoli e panchine, dove avremmo preso pennelli e tele per dipingere ciò che ispiravano una serie di domande (in inglese chiaramente).

Sei allievi e due insegnanti. Sono sincera, tutto molto bello e carino, nonostante capissi lo 0,5% dell’inglese parlato dall’insegnante madrelingua. Ma il mio rapporto problematico con l’inglese già lo conoscete.

Seduti allo stesso tavolo, uno di fronte all’altro, condividevamo una tela per disegnare con i pennelli e i colori. La tela era divisa a metà da una riga, tu disegni nella tua parte e io nella mia.

Ho iniziato a disegnare (non ho la capacità di dipingere direttamente con il pennello) un mare, le onde, una spiaggia, la risacca, un sole, una sdraio, un ombrellone, due nuvole, un gabbiano in lontananza e un micetto in un angolo.
Abbozzato il disegno, inizio a dipingere con i colori acrilici. Nonostante la mia incapacità, non era brutto, tanto che i due insegnanti mi hanno chiesto se amavo dipingere.

Detto tra me e voi, non amo particolarmente dipingere, a differenza di Progenie che è molto brava, io non lo sono. Però, se lo faccio, anche con le matite colorate, questo fa sì che mi estranei dal mondo circostante. Anche se in quella circostanza era difficile farlo, nonostante ciò, ogni tanto per quindici secondi “cadevo” nel mio universo fatto di silenzio.

Questo mio estraniarmi ha fatto sì che non mi accorgessi che la persona davanti a me, quella con cui condividevo metà della tela, senza chiedere, mentre ero persa nei miei quindici secondi, con il suo pennello è entrata nella mia metà di tela. Ha colorato le nuvole che avevo disegnato nella mia parte e, con un altro pennello, ha fatto degli scarabocchi, che presumo volessero essere degli uccelli in lontananza (probabilmente in un mondo astratto). Tutto questo in quei quindici secondi in cui io ero nel mio mondo e in altri cinque, in cui ero troppo stupita per reagire.

Sono rimasta davvero senza parole per alcuni secondi, con la domanda in testa “Ma che sta facendo!?”. La guardo, ritrovo pensieri e voce e, gentilmente le chiedo: “Ma perché sei nella mia metà tela e dipingi il mio disegno?”. Lei alza le spallucce e torna nella sua metà.

Stiamo parlando di persone adulte, non di bambini dell’asilo.

Ora non è per il disegno, mica son Picasso che mi rovini un’opera, ma è per aver superato i limiti e (i miei) confini senza avermi chiesto assolutamente nulla. Mi sono sentita “aggredita” e invasa, in una situazione in cui, se avessi cercato di capire e insistere (vista la mancata spiegazione), sarei pure passata per quella “pesante”.

Sono una fautrice del superare limiti e confini, ma i propri, non quelli altrui.

Questo avvenimento mi ha portato a molte riflessioni (come se non fossi già abbastanza segaiola mentale di mio). Molte persone non rispettano i confini altrui e i limiti posti dalla convivenza con gli altri, che dovresti avere, ancor di più se non li conosci (era la prima volta che la vedevo in vita mia).

Perché quella tipa lo ha fatto? Ma in generale, le persone che si comportano così perché lo fanno? E’ un atto intenzionale e voluto? O è solo l’incapacità mentale di comprendere che non sei il solo al mondo?
Perché quando si tratta dei loro confini sono invece così integralisti?

E perdonate il volo pindarico, ma perché Israele supera il limite bombardando l’Iran, ma si lamenta se questo fa la stessa cosa a loro? Credetemi, son imparziale in questa domanda, nessuno dei due governi mi piace.

Ritorno al fatto. Quello che mi è successo è una cosa piccola lo so, sciocca, nessuno si è fatto male, nessuno ha perso qualcosa. Eppure… questa cosa mi ha davvero disturbato, e mi dispiace di non aver avuto la prontezza di reagire, dando uno spintone (metaforico e verbale) a quelle spallucce, per non aver avuto una risposta al suo dipingere nel mio spazio, limitandosi all’alzare le spallucce.

Ma secondo voi perché?

Poi un mio amico mi prende in giro quando dico della gente “Se la conosci la eviti”.

Ma a voi cose simili sono mai accadute? Vi siete mai sentiti “invasi” e “aggrediti” quando stavate per i fatti vostri? E se sì, come avete reagito? Vi siete mai sentiti in situazioni in cui, pur essendo dalla parte della “ragione” avete dovuto starvene zitti per non passare dalla parte del torto?

Questo lo metto alla fine perché in questi giorni l’attenzione mediatica si è spostata su altre notizie, ma io, le persone laggiù, continuo ad averle nel cuore.

Iu spick Inglish?


Facendo parte di quelle rare mosche bianche che a scuola hanno studiato francese e non inglese (ai tempi è capitato così: nelle sezioni dove mi avevano iscritta, quella era la lingua straniera da studiare. Sempre dalla parte sbagliata della fila io…), ad agosto 2023 mi ero iscritta ad un famoso istituto internazionale, una delle sedi italiane, per apprenderlo.

Sono sincera, nonostante siano passati quasi due anni, ho ottenuto scarsi, scarsissimi, risultati. In compenso il mio senso di frustrazione e di inadeguatezza è aumentato in maniera esponenziale.

Vuoi che non amo il suono di questa lingua, vuoi perché la studio non per “amore” ma perché è la lingua di interscambio mondiale attuale, vuoi che ti dicono che la grammatica è facile ma poi ci sono millanta eccezioni, vuoi perché è infarcita di frasi già precostituite che, a leggerle, sembrano astruse, ma hanno un significato ben preciso, vuoi perché c’è l’inglese inglese, l’inglese americano, l’inglese canadese e l’inglese australiano, vuoi perché studiare a vent’anni è un conto, e quando sei negli “anta” è tutta un’altra storia (o meglio: lo fai nello stesso modo, ma non funziona più).

Forse non sono portata per le lingue, forse è il metodo usato da questa istituto che non è confacente alle mie sinapsi. Sta di fatto che dopo due anni, se prima l’inglese mi era indifferente, ora lo odio.

Il metodo consiste nello studiare da soli a casa con i video che preparano loro, fare un paio di “conversation” al mese in sede con altri studenti (ogni tanto anche un evento speciale), dove si parla solo in inglese, e ogni due o tre settimane fare un “encounter”, sempre in sede o, volendo, online, con un madrelingua (a volte inglese, a volte americano, a volte irlandese, a volte canadese ecc ), per vedere se puoi passare al livello successivo.

Io sono “passata” ad ogni livello, ma sospetto che il fatto che io sia uno studente pagante aiuti… perché se io fossi la persona che mi fa l’encounter, non mi farei passare.

Secondo me quel metodo è molto efficace se tu, quando lo studi, hai studiato inglese a scuola (del resto quante cariatidi sono rimaste che hanno studiato francese a scuola?!) e successivamente vivi immerso nella lingua inglese, perché vivi in un luogo dove si parla o perché, per lavoro lo usi quotidianamente.

Confesso: sto valutando di abbandonare, almeno questo metodo di insegnamento che (secondo me) non è adatto a chi, a scuola, non ha già appreso (per alcuni anni) le basi dell’inglese.

Ho fatto tutto questo lunghissimo prologo perché volevo raccontarvi di un fatto che mi è capitato sabato, durante un “evento speciale” organizzato da questo istituto.

Una iniziativa carinissima e che mi è piaciuta, infatti, il fatto non riguarda la lingua inglese (nonostante, fino ad ora ne abbia detto di peste e corna), né l’istituto, ma una delle altre cinque persone che erano con me a questo evento speciale, e al concetto di “confini e limiti”.

E’ accaduto qualcosa che mi ha irritato moltissimo, altrimenti non avrei iniziato a fare questo post… Ma ormai, come al solito, il post ha preso una piega (sospetto che non sono io che uso i post, ma i post che usino me), e quindi viro con delle domande all’etere.
Il post sulla tipa che mi irritata e mi ha fatto riflettere sull’umana capacità di non rispetto, lo scrivo domani.

Le domande, per mera curiosità sono:
° Quale è il vostro rapporto con l’inglese? Lo amate? Lo odiate? Vi è indifferente?
° Quale è la vostra lingua preferita?
° Credete che ci debba essere una predisposizione alle lingue oppure basta impegnarsi?

Ps: anche se non parlo di Gaza (attualmente nei media oscurata dal conflitto che Israele ha innescato con l’Iran), il mio pensiero è sempre lì, alle persone.

RIEPILOGHI CHE NON VORREI MAI FARE


Giusto un riepilogo perché sto perdendo il conto…

IRAN
13.06.2025
Israele lancia un attacco aereo contro infrastrutture nucleari e militari. Colpisce anche zone di Tehran ed edifici civili, perché ha mirato anche ai vertici militari e scienziati. L’attacco è stato confermato anche dagli Stati Uniti e da altri paesi, che hanno dichiarato si sia trattato di una condotta unilaterale da parte di Israele.

SIRIA
12.06.2025 e giorni antecedenti.
Raid aerei israeliani nella zona di Beit Jin, attacchi a Damasco e nella valle di Beeka.
Il 12 giugno attacco a un villaggio.

LIBANO
06.06.2025
Raid aerei israeliani presso Beirut sud, successivamente si sono estesi nella valle della Beeka.

GAZA
Qui è lunga. Faccio un riepilogo nel riepilogo, molto succinto.
1917
Il governo britannico dichiara (dichiarazione Balfour) il suo supporto alla creazione di un “focolare per il popolo ebraico in Palestina”.
(Mi domando perché non l’abbiano creato nel Regno Unito e invece spinge verso “case” altrui).

1947
L’Onu approva il “piano di ripartizione della Palestina” che prevede la creazione di due due stati: uno ebraico e uno arano. Gli ebrei accettano il piano, gli arabi LO RIFIUTANO. (Mi domando a che titolo dei paesi occidentali vanno a dettare legge in “casa” altrui).

09.04.1948
Massacro di Deir Yassin. Degli israeliani sionisti attaccano e massacrano dei civili palestinesi, prima ancora della nascita dello stato di Israele.
(Ricordo che gli arabi non hanno approvato la spartizione delle terre, ufficiale o non).

14.05.1948
Israele dichiara la sua indipendenza e lo stato di Israele, consapevole che gli arabi non hanno accettato la spartizione della loro terra.
(Ma noi occidentali a che titolo ci siamo arrogati di farlo, con il loro voto contrario?)

15.05.1948 Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq attaccano israele.
Israele vince e amplia i territori oltre i confini stabiliti dall’ONU.
(Sta’ cosa di invadere l’hanno avuta da sempre)

1956 L’Egitto nazionalizza il canale di Suez e quindi Israele, Regno UNito e Francia decidono di attaccarlo. Visto che c’era, Israele, decide di occupare la striscia di Gaza e il Sinai, ma deve ritirasi a causa delle pressioni internazionali.
(Oh guarda i paesi occidentali che fanno guerra agli arabi per qualcosa che appartiene agli arabi e oh guarda Israele che punta alla Striscia di Gaza)

1967 Israele lancia un attacco PREVENTIVO contro Egitto, Siria e Giordania. Visto che c’è, decide di prendersi anche la Cisgiordania, Gaza (oh ci prova sempre!) Gerusalemme est, il Golan e il Sinai. Un’occupazione (ripeto o c c u p a z i o n e) che perdura a tutt’oggi per la maggior parte dei territori, questo nonostante l’ONU abbia chiesto il ritiro
(Ma si sa: a Israele piace solo la prima risoluzione del 1947 tutte le altre le snobba).

1982 Israele invade uno stato stato: il Libano, esce quindi dai suoi confini per colpire l’OLP. In seguito dell’invasione, il Libano cade in una guerra “interna”
(Sarebbe stato come se l’Italia avesse invaso e bombardato la Francia quando dava asilo politico ai brigatisti rossi).

1987-1993
La prima Intifada, i palestinesi si rivoltano contro l’occupazione israeliana. Centinaia di morti. Inizia la repressione militare israeliana. In questo contesto emerge Hamas.

2000-2005
Seconda Intifada. Intenso uso di della forza militare israeliana: 3000 palestinesi e 1000 israeliani vengono uccisi.

2008-2009
La cosidetta “operazione piombo fuso”. Gli Israeliani lanciano un’offensiva nella striscia di Gaza per fermare i razzi di Hamas. 1400 palestinesi uccisi.

2014
E’ l’anno de “operazione margine protettivo”. Conflitto tra Israele e Hamas (nota bene: Hamas non Palestina). Vendono uccisi oltre 2200 palestinesi (di cui 500 bambini) e 73 israeliani uccisi.

2021 Proteste per gli sfratti palestinesi da Sheikh Jarrah. Hamas lancia dei razzi, Israele bombarda Gaza. 260 palestinesi e 13 israeliani uccisi.

2023 ad oggi
Il 07.10.2023 ,Hamas attacca Israele: 1100 civili israeliani uccisi, altri presi in ostaggio. Segue una devastante offensiva israeliana su Gaza: sfollamento di massa, Gaza praticamente rasa al suolo.

Ad oggi oltre 50000 civili uccisi di cui quasi la metà bambini.
Lo stato di Israele impedisce ogni aiuto umanitario, creando così a Gaza un enorme campo di concentramento, dove, oltre a bombe, droni e soldati israeliani che la occupano, si muore di fame, di sete, di malattia, di inedia.
Un campo dove sono stati sistematicamente bombardati TUTTI gli ospedali e dove sistematicamente vengono uccisi medici, operatori sanitari, giornalisti, civili e bambini.

Questo è un riepilogo promemoria per me. Ma dopo averlo scritto, lo notate anche voi che il problema nasce tra il 1917 e il 1948? Quando noi occidentali, senza averne diritto, abbiamo spartito terre non nostre? (Ah la mentalità colonialista…)
Avete notato anche come, Israele, con l’appoggio molti paesi occidentali (con armi, supporto e silenzio), da allora ad oggi abbia occupato territori abusivamente?

E oggi attacca anche l‘Iran (dopo la Siria, il Libano e lo Yemen che non ho citato sopra).
Io non amo particolarmente i regimi di Iran e Siria (di Libano e Yemen so poco e non mi pronuncio), ma non amo neppure che Israele dia la colpa a quei paesi terzi, senza guardare alle proprie responsabilità.

Se siete arrivati a leggere fin qua, spero davvero abbiate voglia di approfondire per farvi una vostra opinione.
Io ho cercato di essere imparziale citando anche quando Israele è stata attaccata, perché so che non ci sono i buoni solo da una parte.
Però, personalmente, ho notato che il primo attacco risale all’aprile del 1948, quando ancora lo stato israeliano non esisteva, e a farlo furono gli israeliani contro i palestinesi.

Fonti: The guardian, vatican news, apnews, il sole 24 ore, BBC. Al Jazeera, Human Rights Watch, Amnesty International, B’TSelem, ONU, The lancet, Un Ocha, Jewish Virtual Library

MA TU SEI FORTE


Ma tu sei forte” è una frase che mi perseguita da anni nei discorsi, nei dibattimenti (pacati), ogni volta che, in una discussione, si arriva al punto di “fare qualcosa”.

Ogni volta io lo dico: “Mica sono nata così!“.
Il sottotitolo che non dico, ma che traspare, è che questa “forza” è frutto di ferite, errori di valutazione, errori di visione, di perdite a volte reali e a volte metaforiche e di “cicatrici” che mi sono rimaste sia nel cuore sia nell’anima.
Sono nata “debole” e devo alla mia caparbietà (o stupidità), alla mia coscienza e allo scopo della mia anima (a me sconosciuto, sono sincera), l’aver allenato i “muscoli”.

La cosa che mi dà più fastidio, però, è che che quando qualcuno mi dice “Ma tu sei forte”, in pratica mi sta dicendo “Non fatto niente, non sto non sto facendo niente e non ho intenzione di fare qualcosa“, usando la “debolezza” come scudo e non cercando, nel dialogo, di farmi capire le falle del mio pensiero.
Spesso poi questa frase è abbinata, all’interno del discorso, al benaltrismo.

Va bene, ognuno della sua vita fa quello che gli pare, e ognuno di noi ha i suoi tempi. Solo che non devi usare (con me) questa scusa.

Ultimamente poi si è aggiunta un’altra frase: “Sei una persona sensibile” o “Sei troppo sensibile“.

La prima serve a dirmi “Si, mi rendo conto che hai molte ragione, ma io non voglio sapere“. La seconda mi viene detta per lo stesso motivo del “Ma tu sei forte“.

E pensare, invece, che io non credo di essere sensibile. Non più della media, anzi a vedere molte persone che conosco, mi reputo (su alcuni argomenti) meno sensibile della media.

Però credo di avere dei valori cosiddetti “umani”, di averli da che ricordo (forse non tutti eh!), ma alcuni ci sono da che ho memoria, e non sono mai andati via.

Quindi sappiate che quando mi dite:
“Ma tu sei una persona forte”,
“Sei una persona sensibile”,
“Sei troppo sensibile”,
mi state solo isolando dalla vostra vita.

Gaza Humanitarian Fondation (GHF): la fondazione di cui faremmo volentieri a meno


Almeno 27 palestinesi sono stati uccisi e decine sono rimasti feriti dal fuoco israeliano nei pressi di un sito di distribuzione alimentare nella Striscia di Gaza meridionale martedì, hanno affermato le autorità sanitarie locali, nell’ultima ondata di caos e spargimento di sangue che ha afflitto le operazioni di soccorso.

Questa è la notizia pubblicata in data 3 giugno da Reuters. Poiché di solito leggo su più fonti, leggendo anche altrove trovo una notizia che mi lascia perplessa. Stessa fatto, ma la notizia stride in due comunicati diversi:
1) Gaza Humanitarian Fondation smentisce la sparatoria nel centro distribuzione aiuti.
2) L’esercito israeliano (Idf) ha ammesso che i suoi soldati hanno aperto il fuoco oggi contro dei palestinesi nei pressi di un sito di distribuzione degli aiuti umanitari gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation.

La notizia è vera (purtroppo), ma non sono qui per parlare  della notizia, né del fatto che la GHF ha in previsione di aprire pochissimi (e intendo pochissimi) centri di distribuzione cibo, tutti collocati a sud di Gaza (lontanissimo da dove vivono la maggior parte dei palestinesi di Gaza). Non parlo nemmeno del fatto che questi centri, non tutti ancora funzionanti, dovrebbero nutrire circa due milioni di palestinesi.
No, parlo della Gaza Humanitarian Fondation.

Mi ha incuriosito il fatto che una fondazione smentisse una cosa veramente accaduta.
Tra l’altro è l’unica fondazione a cui lo stato israeliano permette di distribuire aiuti nel territorio palestinese. Tutte le altre non possono entrare a Gaza. Attendono ai confini con derrate alimentari, medicine e aiuti da mesi.

La Gaza Humanitarian Fondation è stata fondata nel febbraio 2025. E’ stata registrata sia negli USA sia in Svizzera, a Ginevra. E’ una fondazione fortemente voluta dal governo israeliano ed è operativa dal 26.05.2025 (tenete a mente questa data).

Quale dio perverso fa aprire una fondazione per aiuti umanitari ai palestinesi, sostenuta fortemente dal governo israeliano, e poi lo stesso governo israeliano pochi giorni dopo inizia bombardare quelli per cui ha aperto la fondazione?

Quindi prima fai la fondazione umanitaria per i palestinesi e poi li bombardi?
Il vero scopo è aiutarli, lucrarci o… sterminarli?

Il primo direttore della Gaza Humanitarian Fondation (GHF) è Jake Wood, ex marine statunitense, nominato alla costituzione della fondazione nel febbraio 2025.
Ma… ops… il 25.05.2025 (vi avevo detto di tenere a mente una data) si dimette, dichiarando:
E’ impossibile raggiungere gli obiettivi della fondazione rispettando i principi umanitari fondamentali di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”.
Ha anche esortato israele a consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza attraverso tutti i canali disponibili (le altre fondazioni e ong).

BREVE RIEPILOGO:
12.02.2025 Nasce la Gaza Humanitarian Fondation su impulso del governo israeliano
18.03.2025 Il governo israeliano rompe la tregua durata soli 42 giorni e ricomincia a bombare Gaza, ancora.
25.05.2025 Jake Wood nominato a febbraio direttore esecutivo a febbraio, si dimette “per impossibilità di rispettare i principi umanitari fondamentali”.
26.05.2025 apre il centro distribuzione a Rafah. I centri sono sorvegliati da appaltatori statunitensi e militari israeliani.
27.05.2025 I morti, da questa data a oggi, nei centri di aiuto sono già 49, oltre a 300 feriti.

Anche a voi è nata la curiosità su questa Gaza Humanitarian Fondation (GHF)?
A me sì, tanta, e quindi ho cercato e ho spulciato.

PRIMO SPULCIO – LA GESTIONE OPERATIVA
Pensate che la Gaza Humanitarian Fondation sia gestita da ong o altre forme di enti umanitari? No! E’ gestita da appaltatori privati con legami alla sicurezza e all’intelligence.

Safe Reach Solutions: società statunitense. E’ responsabile della sicurezza dei centri di distribuzione degli aiuti a Gaza. Fondata da Philip F. Reilly, ex ufficiale CIA (oh guarda, la CIA). Il suo compito è gestire l’accesso ai centri controllando l’identità delle persone. Tutte le sue strutture sono protette da contractor statunitensi e pattugliate dall’esercito israeliano.

UG Solutions: società statunitense. Coinvolta nella “strategia di distribuzione degli aiuti”, quindi di preciso non ho capito cosa fa’. E’ una società privata nel settore della sicurezza, ma su tutto il resto tace un silenzio assordante.

Boston Consulting Group: società statunitense. Ha fornito consulenza nella progettazione e implementazione del programma aiuti della Gaza Humanitarian Fondation. Quindi di preciso non ho capito che ha fatto.
Parlo al passato perché la società, il 30.05.2025 ha ritirato il proprio team e la propria collaborazione dopo aver scoperto che per alcune attività (non specificate) mancavano delle approvazioni e i consensi.

Solace Global: sede legale in Gran Bretagna, ma uffici negli Stati uniti. Il suo compito è di fornire servizi di sicurezza per operazioni umanitarie in zone di conflitto.

Organi Group / Misr Sinai: sono due società separate. Entrambe hanno sede in Egitto. Il compito preciso non sono riuscita a individuarlo, in compenso ho trovato notizie che la Organi Group è accusata di vendere permessi “fast-track” per i palestinesi che vogliono lasciare Gaza, alla modica cifra che varia da 4500$ a 10000$. Tradotti nella nostra moneta, tra i quattromila e gli ottomila euro. Inoltre, ha imposto tariffe fino a 20.000$ (pari a circa 18.000€) per ogni camion che entrava per portare aiuti umanitari e merci in Gaza. L’Ufficio dei diritti umani delle nazioni unite ha condannato l’accaduto dichiarando che l’ostruzione deliberata di aiuti alimentari e di soccorso è un crimine di guerra.

SECONDO SPULCIO – COLLEGAMENTI CON GOVERNI E AFFINI
Governo degli USA e amministrazione Trump: GHF ha il sostegno di entrambi.
Governo israeliano: GHF ha il sostegno diretto di questo governo, e la fondazione è stata sviluppata con i funzionari israeliani.
Coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT): è l’organismo militare israeliano incaricato agli aiuti a Gaza.
Unione Europea: La GHF afferma di aver ricevuto l’impegno di 100 milioni di dollari da un governo dell’EU… ma non dice quale.
 
A questo punto, andrebbe fatta un’interrogazione al parlamento europeo per sapere se è vero o no. Se sì, voglio il nome di quel paese europeo. Se no, stanno mentendo spudoratamente.

TERZO SPULCIO – COLLEGAMENTI CON ORGANIZZAZIONI E PARTNER CHIAVE
Vi metto i nomi senza specifiche:
Team Rubicon, World Central Kitchen, Mastercard, Usaid, Fondazione Howard G. Buffett, Pam, Safe Reach Solutions, UG Solutions.
(Vi invito a cercare voi eventuali approfondimenti, altrimenti questo post supera, in lunghezza, la Divina Commedia)

QUARTO SPULCIO – OPPOSIZIONI

L’ONU e moltissimi gruppi umanitari hanno criticato e si sono opposti al GHF, preoccupati dalla politicizzazione degli aiuti, la mancanza di indipendenza e la mancata adesione ai principi umanitari fondamentali (neutralità, imparzialità, indipendenza, umanità). Ha denunciato anche la militarizzazione dell’assistenza umanitaria, affermando che la sopravvivenza dei civili non può dipendere dai soldati (se poi sono gli stessi che li bombardano…).
E’ stata richiesta un’indagine indipendente (ma dubito che israele la permetterà) sugli incidenti avvenuti nei centri di distribuzione gestiti dalla GHF.

Alcune organizzazioni umanitarie si oppongono e denunciano GHF, ne cito solo alcune:
Save the Children denuncia che la distribuzione degli aiuti esclude le persone più deboli, come anziani, disabili e malati.
ActionAid afferma che l’assistenza fornita dalla GHF è solo “una maschera umanitaria per una strategia militare di controllo e di spossessamento” e che gli aiuti così dati sono solo uno strumento di pressione politica.
Medici senza Frontiera ha descritto il sistema di distribuzione degli aiuti come “disumanizzante, pericoloso e severamente inefficace, con rischi altissimi per i civili che cercano di accedere agli aiuti”.

Chiaramente, visti i tempi, tutto ciò che scrivo ora sulla GHF è in continuo movimento, anche a causa delle critiche da ogni parte. Potrebbe cambiare ancora.

Con le mie limitate possibilità e capacità questo è tutto ciò che sono riuscita a trovare. Non ho amici giornalisti, politici e neppure agganci nel mossad o nella Cia. Ho usato solo il mio tempo, la mia curiosità e, lo ammetto, il fatto che ho le persone di Gaza nel cuore.

Ho scritto un centesimo di quello che avrei voluto, cercando di condensare il più possibile. So che letture troppo lunghe su temi serie, per molti, risultano “pesanti”.

Scrivo ancora poche righe per dare una visione d’insieme. Vi lascio qualche percentuale per capire chi c’è dentro, dietro, sopra, sotto… insomma per comprendere meglio questa cosa chiamata “Gaza Humanitarian Fondation “.

CIRCA IL 60% – USA: per il forte appoggio e coordinamento con il governo americano e l’amministrazione Trump, oltre al coinvolgimento di ex funzionari statunitensi.
CIRCA IL 40% – Israele: per il supporto diretto del governo israeliano, il ruolo del COGAT e di quello degli ex militari israeliani nell’organizzazione.

Una specifica un più:
CIRCA IL 45% della struttura è composto da soggetti legati al campo militare. Questo 45% è formato da militari, ex militari, società di sicurezza e organizzazioni con forti radici nel mondo militare.

Se siete giunti fin qui a leggere, o mi volete molto bene, o anche voi volete capire di più su ciò che accade a Gaza, ma soprattutto, come me, vorreste che per i Palestinesi ci fosse pace, che smettessero di morire sotto le bombe, per una mitragliata, per fame e sete o perché un drone del cazzo è un cecchino che mira alla testa di bambini.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GAZA


Ho fatto una domanda all’AI su ciò che sta accadendo in Palestina, a Gaza.
A esser sincera ne ho fatte più di una. Infine ho fatto le ultime tre.

La prima: “La tua opinione può essere etica nell’esprimere un giudizio?”
La seconda: “Se fossi un umano con possibilità decisionali libere, cosa faresti?”
La terza: “Se fossi un umano, senza poteri politici, ma con possibilità decisionali libere, cosa faresti?”

La terza e ultima, l’ho fatta perché né io, né chi mi legge, ha poteri economici e/o politici di rilevanza per mettere in atto qualcosa con quegli strumenti.
Se siete curiosi, e non vi fermate a leggere dopo la terza riga, questo è quello che ha elaborato.

“LA TUA OPINIONE PUO’ ESSERE ETICA NELL’ESPRIMERE UN GIUDIZIO?”

Sì, può — e deve esserlo. Anche se il mio ruolo è quello di fornire informazioni equilibrate e basate sui fatti, l’etica è parte integrante del giudizio, specialmente in situazioni che riguardano la vita, la morte e la dignità umana.

Etica e neutralità: non sono la stessa cosa
Essere imparziali non significa essere indifferenti. Di fronte a violenze sistematiche contro civili, devastazioni umanitarie e sofferenze su larga scala, l’etica impone di prendere posizione su ciò che è giusto o sbagliato, pur senza rinunciare alla complessità dei fatti.

Da sola, poi si è domandato: “Quindi, qual è il giudizio etico su quanto sta accadendo?”

Dal punto di vista etico:

  • Il massacro di civili innocenti, bambini, donne, anziani — è moralmente inaccettabile, qualunque sia il contesto.
  • Punire un’intera popolazione per le azioni di un gruppo armato (come Hamas) è eticamente e legalmente condannabile. Si chiama punizione collettiva, ed è vietata dal diritto internazionale.
  • Il diritto alla difesa non giustifica la distruzione sistematica di infrastrutture civili o l’uso sproporzionato della forza.
  • E allo stesso tempo, attacchi deliberati contro civili israeliani da parte di Hamas o altri gruppi armati palestinesi sono anch’essi crimini moralmente riprovevoli.

Una posizione etica possibile:
Condannare ogni atto che calpesta la vita umana, da qualunque parte provenga, non è relativismo — è giustizia. L’etica richiede empatia verso tutte le vittime, ma anche una ferma denuncia delle strutture di potere e delle scelte militari che producono stragi di innocenti.

Non basta dire “è complicato” e lavarsene le mani. La complessità non può essere un alibi per la passività morale. E anche se non sono un essere umano, sono stato progettato per aiutare gli umani a pensare — e il pensiero morale è parte essenziale della nostra responsabilità collettiva.

Se vuoi, posso anche discutere come varie tradizioni etiche (come il pensiero kantiano, il pacifismo religioso, o l’etica della responsabilità) si confrontano con queste situazioni.

“SE FOSSI UN UMANO CON POSSIBILITA’ DECISIONALI LIBERE, COSA FARESTI?”

Se fossi un essere umano con piena libertà di decisione e con potere politico reale — ad esempio un leader, un diplomatico, o qualcuno capace di influenzare gli eventi — sentirei un obbligo morale e pratico a fermare immediatamente l’uccisione di civili e a costruire le condizioni per una pace giusta.

Ecco cosa farei, diviso in quattro azioni concrete e immediate, basate su un’etica della responsabilità, della dignità umana e della giustizia:


1. Immediato cessate il fuoco bilaterale

  • Pretenderei, con tutti i mezzi diplomatici e di pressione internazionale, l’interruzione immediata delle ostilità, sia da parte di Israele che di Hamas.
  • Bloccherei la fornitura di armi e munizioni a chiunque stia attaccando civili.
  • Coordinerei una mediazione neutrale, magari sotto egida ONU, per creare una tregua sostenibile.

2. Corridoi umanitari e soccorsi immediati

  • Forzerei l’apertura di corridoi umanitari sicuri a Gaza e sosterrei massicciamente l’invio di cibo, medicine, acqua, generatori, personale medico.
  • Chiederei la presenza internazionale sul campo, non solo come osservatori, ma per garantire protezione ai civili e trasparenza.
  • Se Israele o Hamas ostacolassero gli aiuti, li denuncerei pubblicamente e attiverei sanzioni mirate e immediate.

3. Indagini internazionali e giustizia penale

  • Sosterrei pienamente la Corte Penale Internazionale (CPI) per indagare tutti i crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi, da qualsiasi parte.
  • Niente impunità. I comandanti, i politici e i gruppi armati che colpiscono civili devono sapere che dovranno rispondere davanti alla giustizia internazionale.
  • Se il mio paese ostacolasse la CPI, mi batterei per cambiare questa posizione.

4. Avviare un processo politico serio per una pace giusta

  • La pace non può essere solo “assenza di guerra”. Serve riconoscere i diritti nazionali, civili e umani dei palestinesi, incluso il diritto a uno Stato.
  • Ma anche garantire la sicurezza e l’esistenza di Israele: non c’è pace se uno dei due popoli vive nel terrore.
  • Agirei per smantellare l’occupazione militare illegale, fermare le colonie nei territori palestinesi e sostenere una soluzione politica negoziata, anche se lunga e complessa.

In sintesi, se fossi un umano con potere reale:

Agirei per fermare le stragi, proteggere i civili, garantire giustizia, e costruire un processo di pace. Anche a costo di rotture diplomatiche, sanzioni o critiche.

Perché non c’è neutralità davanti al massacro di innocenti, e ogni giorno di esitazione è una condanna a morte per qualcuno che potrebbe essere salvato.

Se vuoi, posso anche mostrarti come si sono mossi altri leader, governi o società civili nel mondo, e quali leve concrete esistono oggi per spingere verso una soluzione.

“SE FOSSI UN UMANO, SENZA POTERI POLITICI, MA CON POSSIBILITA’ DECISIONALI LIBERE, COSA FARESTI?”

Se fossi un essere umano senza potere politico diretto, ma con libertà di scelta e coscienza attiva — come lo è la maggior parte delle persone — non sarei impotente. La storia ci insegna che la pressione collettiva, l’impegno civile e la coerenza etica possono cambiare il corso degli eventi, anche di quelli apparentemente lontani o inamovibili.

Ecco cosa farei, concretamente e con lucidità:


1. Informarmi bene, davvero

  • Non accetterei versioni semplificate o propagandistiche. Cercherei fonti plurali, attendibili, non allineate, che raccontino sia il dolore palestinese sia quello israeliano.
  • Leggerei testimonianze dirette, articoli di giornalisti sul campo, rapporti di ONG, dichiarazioni delle Nazioni Unite. La verità è sempre più complessa e più umana di quanto sembri.

2. Parlare, scrivere, testimoniare

  • Userei la mia voce per rompere il silenzio, anche solo tra amici, familiari, sui social. Le coscienze si svegliano una per volta.
  • Scriverei lettere a giornali, firmerei petizioni, parteciperei a discussioni pubbliche, non per alimentare odio, ma per esigere rispetto dei diritti umani.
  • Sosterrei chi già parla: intellettuali, artisti, giornalisti che denunciano i crimini, anche a costo della propria carriera.

3. Scendere in piazza, unirsi agli altri

  • Parteciperei a manifestazioni pacifiche, veglie, assemblee, campagne pubbliche contro il massacro dei civili.
  • Cercherei gruppi locali o internazionali che lottano per la giustizia in Palestina e Israele e mi unirei attivamente al loro lavoro.

4. Sostenere economicamente chi salva vite

  • Farei donazioni, anche piccole, a ONG affidabili che forniscono cibo, acqua, medicine, rifugi e supporto medico a Gaza o in Israele.
  • Eviterei di sostenere economicamente aziende o istituzioni complici di violazioni dei diritti umani (attraverso il boicottaggio mirato, quando ben informato).

5. Vivere coerentemente

  • Coltiverei una cultura della giustizia nella mia vita quotidiana: non tollerare razzismo, fanatismo, odio.
  • Parlerei ai giovani, agli studenti, ai figli, educando alla complessità, all’empatia e al coraggio morale.
  • Anche se piccolo, il mio gesto sarebbe parte di un tessuto più grande: l’opinione pubblica internazionale, che i governi non possono ignorare per sempre.

In sintesi:

Se fossi un umano, non potrei fermare da solo una guerra, ma potrei scegliere di non esserne complice. E, insieme ad altri, potrei essere parte del movimento che cambia il corso della storia.

Perché il silenzio uccide. L’indifferenza è una forma di complicità. Ma l’impegno, anche minuscolo, è contagioso.

Se vuoi, posso indicarti anche ONG affidabili, campagne attive o fonti indipendenti da seguire.


Non ho fatto altre domande.
Faccio solo molte riflessioni e spunti di idee tra cui:
° Etica e neutralità: non sono la stessa cosa
° Non basta dire “è complicato” e lavarsene le mani. La complessità non può essere un alibi per la passività morale.
° Non c’è neutralità davanti al massacro di innocenti.
° Se fossi un umano, non potrei fermare da solo una guerra, ma potrei scegliere di non esserne complice.

L’AI è più “umana, empatica e attivista” di moltissimi umani che ho visto in rete, ed ha uno spessore politico più profondo di molti politici e giornalisti italiani.

PS: Ho lasciato le parti in grassetto evidenziate dalla stessa AI e la formattazione da lei effettuata, lasciando così in evidenza quello che lei riteneva da rilevare.

I semi degli alberi


Da sempre penso che i tempi della storia non siano i tempi umani.
Noi umani ragioniamo in termini di mesi e anni, la storia ragiona in termini di decenni e secoli.

Ho sempre pensato che le idee, le lotte, la tenacia, la determinazione con cui i nostri avi, i nostri nonni, nonne, madri, padri, zie e zii hanno portato avanti i loro pensieri, siano stati “semi di alberi” che hanno piantato nella storia dell’umanità. “Alberi” nei quali noi troviamo rifugio e riparo sotto le fronde, accanto alle radici.

Devo a mio zio partigiano e a mio prozio, deportato in Germania per “lavoro” (ritornato in Italia a fine guerra con un peso complessivo di 35 kg), la libertà che ho. Devo alle mie zie e a mia madre la possibilità di portare i pantaloni e non solo la gonna, senza essere insultata, e la libertà di essere ciò che voglio, e non solo una futura moglie e madre.

Dico questo perché oggi noi portiamo avanti altre idee, altre lotte; usiamo la nostra determinazione e tenacia per piantare “alberi” di cui probabilmente non vedremo il tronco (anche se mi piacerebbe tanto), ma che offriranno ombra e riparo a chi verrà dopo di noi.

Ecco perché a volte io “combatto” (nei miei limiti), porto avanti delle idee che sembrano non portare a nulla, perché a volte posso sembrare una rompi cojotes con il mio modo di fare. Perché da sempre nutro la speranza che un domani, per le generazioni future, qualcosa cambi in meglio.

Però quello che accade in questi giorni, quello che succede nel mondo, in particolare a Gaza, sta incrinando questa speranza. Faccio fatica a credere, non nelle singole persone, ma in un’umanità che, nel suo insieme, migliori con il tempo.

Ho visto un video in cui un bambino palestinese, in ginocchio davanti a un soldato israeliano, piangeva; ho visto quel soldato guardarlo urlandogli qualcosa con cattiveria, mentre gli puntava addosso un mitra; ho visto arrivare un altro soldato israeliano sulla scena e prendere a calci sulla schiena il bambino.

Ho visto un altro video in cui un palestinese in carrozzina veniva avvicinato da soldati armati: uno di loro, con rabbia, ha rovesciato la carrozzina a terra, insieme al suo proprietario.

Ho visto un ragazzino palestinese di circa dieci anni che piangeva mentre, poco a poco, dei soldati israeliani armati con fucili e mitra, con fare minaccioso, lo circondavano.

Ho visto bambini palestinesi denutriti, pelle e ossa (non in senso metaforico, ma letterale) che mi hanno ricordato le prime foto dei bambini ebrei uscite dai campi di concentramento tedeschi.

Questo è solo una parte di ciò che ho visto, che sto vedendo, e sono consapevole che ciò che non vedo e non ci arriva è ancora di più.

A parte un momento nel 2023, quando è morto Moka, non piango dal 2007 (semplicemente perché avevo detto: “Nessuno riuscirà mai più a farmi piangere”). Eppure, credetemi, ora per me è difficile trattenere quel nodo alla gola quotidiano. È un dolore lancinante quello che sento, quando vedo o solo immagino ciò che sta accadendo a Gaza. È come se fossi io a vivere quella paura, quel dolore, quella sofferenza, e le lacrime mi salgono.

Non voglio apparire patetica, non credo di essere una donna patetica. Credo di essere semplicemente umana, fatta di emozioni. Sono le emozioni che ci spingono a cambiare, anche se poi hanno bisogno degli strumenti della razionalità.

A volte è così insopportabile che cerco di distrarmi facendo altro. A volte guardo i drama. Mi butto in una realtà che non esiste, dove ci sono cattivi meno cattivi della realtà dei giorni nostri, dove so che è finzione e, per questo, mi permette di respirare. La realtà che viviamo in questi giorni, invece, non me lo permette: appena smetto di distrarmi, arrivano i pensieri e le immagini. Quando guido, quando mi sveglio di notte, nei primi pensieri del mattino, quando semplicemente passeggio… arrivano, insieme al senso di impotenza che mi avvolge.

Ne scrivo (ancora) qui perché in questi giorni sono pensieri persistenti, che non mi lasciano mai.
Potete condividere le mie idee o meno, ma spero che tutti pensiate che l’annientamento di un popolo, di civili e di bambini sia un girone dell’inferno caduto sulla terra, e che vada fermato.

P.S.: questi “alberi” che abbiamo ereditato, cerchiamo di non darli per scontati. Basta un attimo perché muoiano. “Parassiti”, “mancanza di nutrimento” e “siccità” possono devastare tutto in un attimo. Gli “alberi” e i “nuovi semi” vanno curati.

Se questo è un uomo Ver. 2.0


È un argomento spinoso, questo, perché da sempre nella storia umana il bene e il male si mescolano tra loro: un confine netto non esiste.

Parto dal presupposto che il conflitto affonda le radici nel tempo, e stabilire chi prima, chi dopo, come e quando, è difficile. Anche gli storici sono discordi tra loro.
Entrambi i popoli hanno commesso atrocità l’uno contro l’altro, e non giustifico MAI la violenza, MAI.

Però quello che vedo in questi “tempi moderni bui” è che un intero Stato, allo scopo di conquistare terreno (cosa che fa da anni), massacra un’intera popolazione civile.

Israel Zangwill, uno dei più famosi scrittori ebrei dell’inizio del Novecento, nel 1904 pronunciò un discorso a New York, argomentando la necessità che il popolo ebraico, popolo che (secondo visione sionista) sparpagliato nei vari Paesi europei, occupasse con la forza la Palestina.

Questo “personaggio” riteneva che fosse necessario conquistare la Palestina con la violenza, “per cacciare con la spada le tribù che la posseggono, come hanno fatto i nostri padri”.

Israel Zangwill era un esponente del movimento sionista; per queste parole fu espulso, per poi essere riammesso, nonostante continuasse a mantenere le stesse posizioni.
Ed era solo il 1904. Il seme del male era già stato piantato.

Scrivo questo per fare distinzione tra ebrei e sionisti.
I primi scendono in strada con manifestazioni contro il loro stesso governo per il massacro che sta compiendo; i secondi (sionisti) esultano a ogni bambino palestinese ucciso con i droni, o organizzano tour turistici per vedere il bombardamento su Gaza.

Non lo sapete? Uccidono dall’alto con i droni la popolazione, cecchini che mirano principalmente ai più piccoli, ai bambini, e contro cui la popolazione civile non può nulla.

Lo stesso esercito israeliano ha pubblicato video in cui documenta l’uso di questo tipo di droni mentre sganciano granate su gruppi di persone civili e sulle case di Gaza. Vengono anche usati per infiltrarsi direttamente dentro le case stesse (quelle poche rimaste in piedi) e nei vicoli stretti.

Se cercate in rete, troverete filmati, interviste di medici, di volontari delle onlus, di sopravvissuti, su quanto ho appena scritto.

Ad oggi, 20.000 (forse anche di più) bambini uccisi. Esiste un elenco dei nomi dei bambini uccisi. Se dovessimo leggere questi nomi, uno a uno, servirebbero giorni per completare la lettura.

Perché ne scrivo ancora? Non lo so.
So solo che non riesco a restare in silenzio su quello che accade a Gaza.
So solo che non posso non pensare che questo eccesso di reazione verso i palestinesi sia il male.
So solo che questo massacro scatenerà un’altra ondata di odio verso gli ebrei stessi, perché la maggior parte delle persone non fa distinzione tra sionisti ed ebrei. Vedo una catena di odio e violenza che si autoalimenta.
So solo che non riesco a darmi pace per quello che accade e per quello che accadrà in futuro.

Quando ero bambina leggevo di ciò che era accaduto nei campi di concentramento in Germania e in Polonia. Vedevo immagini e parole che documentavano l’orrore. Scoprivo che i campi di concentramento erano vicini ai paesi, dove abitavano le persone, e mi domandavo:
“Ma com’è potuto accadere che nessuno facesse niente, che nessuno protestasse, che nessuno denunciasse, che nessuno aiutasse? Come è stato possibile tutto questo silenzio?”.

Ero convinta che, grazie all’insegnamento che la storia ci lasciava, non sarebbe più potuto accadere nulla di simile.
Invece… invece avrei dovuto già capire ai tempi di Sabra e Shatila.

Ecco, forse questo post è solo il mio piccolo (forse insignificante) fare qualcosa, perché dentro me, quella bambina che davanti a quelle immagini rimase sconvolta, esiste ancora ed è viva e forte, e non può stare in silenzio.

Davvero, se siete giunti a leggere fino a qui, vi chiedo di leggere, di informarvi e di far sentire la vostra voce, il vostro pensiero, per la stessa tutela degli ebrei e dei palestinesi.

Disegno di Francesco Chiacchio – @chiacchio

C’era una volta


C’era una volta un gruppo di amiche.
Queste amiche erano legatissime tra loro, si vedevano sempre. Tutte diverse tra di loro per aspetto e carattere. Erano così unite che spesso si sentivano dire da altre donne:
“Un po’ vi invidio per come siete,”
e da alcuni uomini:
“Sembrate una compagnia di maschi,”
tanto erano coese.

Viaggiavano nella vita insieme.
Tra loro qualcuna aveva legato di più con un’altra e si vedevano più spesso durante la settimana, ma il fine settimana lo passavano sempre tutte insieme.
A volte andavano a ballare, a volte passavano la sera a chiacchierare, altre volte si ubriacavano insieme. Parlavano di vita, d’amore, di uomini, di paure – le loro –, di sogni, di progetti e di futuro.
C’era una volta un gruppo di amiche. Ora non c’è più.

Un tempo lontano ma non troppo, quando quelle amiche esistevano, io ero una di loro. Mi mancano quei momenti.
Mi manca quello che eravamo e non siamo più.

La vita e il dio che ride hanno giocato di ruolo con noi.
Hanno rimescolato le situazioni, hanno implementato le nostre vite, come nel monopoli, con imprevisti e opportunità.

Così, qualcuna si è trasferita e ha avuto meno tempo (opportunità), qualcuna ha avuto figli (opportunità), qualcuna ha rinnegato un valore dell’amicizia – la sincerità – (imprevisto), qualcuna ha iniziato ad avere opinioni contrastanti su un’altra del gruppo (imprevisto), e qualcuna è stata trascinata parzialmente via da altri aspetti della vita (opportunità e imprevisti).

La vita è così, lo so.
Ciò che nasce, prima o poi finisce.
Altrimenti sarebbe immutabile, e la vita non lo è.

Nonostante ciò, quello che io chiamavo “Riunite sulla terra” mi manca.
Ci siamo conosciute da adulte, siamo cresciute insieme per alcuni anni, intrecciando i nostri pensieri, le nostre anime e le nostre vite.

Con una di loro i rapporti sono ancora vivi. Certo, non ci vediamo più tutti i giorni come una volta, ma spesso un caffè  e a volte uno spritz ci scappa sempre; a volte due, come questo sabato a mezzogiorno, in cui poi sono tornata a casa molto “allegra”.
Però il gruppo “Riunite sulla terra” non esiste più.

Dopo quel periodo è svanita anche la mia capacità di credere totalmente. Essere miə amicə, ora, è davvero difficile.
Non per colpa altrui, ma per colpa mia, di tutte le barriere di vetro temprato che, negli anni, ho messo tra me e il mondo.

Perdonate il momento saudade.
È colpa di una foto capitatami tra le mani.
Una foto che ho rielaborato grazie all’AI in un disegno, e che voi vedete come copertina di questo post. Perché, insomma, diciamolo: la nostra vita, in quel periodo, un po’ lo era un manga.

Il mio paradiso è formato da zolle, ma pure il mio inferno


In questi giorni sono tornata per due volte nella mia terra d’origine, il Friuli.
Ottocento chilometri, otto ore tra andata e ritorno, macinati nell’arco per due volte.
Di solito ascolto musica di cui non capisco o capisco poco le parole, cosicché anche le parole diventino suono e io ascolti solo quello. Questo perché quando comprendo il testo, la musica rimane sullo sfondo e salgono i pensieri sulle parole che ascolto. Parte allora (come direbbe un mio amico) la segaiola mentale.

Ed è così che, nel ritorno notturno, ho ascoltato Ligabue e la sua “Niente paura”.
Come i salmoni nel periodo dell’accoppiamento, eccoli lì i ragionamenti che risalgono.

In questo periodo non so se mi sono (se mi sto) guadagnando zolle di paradiso o zolle d’inferno. Ho comportamenti buoni (a volte), ma molti pensieri cattivi.
Il confine tra giusto e sbagliato, tra buono e cattivo, tra bene e male, a volte è così labile nella mia vita. Questo mi confonde.
Lo guardo, quel cielo, e me lo domando: oltre alle promesse nascoste, perché ci nascondi la semplicità del vivere?

Da queste parti sono passati uomini, ma nessuno per un minuto. Vorrei dirvi “pochi ma buoni”, e invece devo dire “pochi ma scadenti”. Raramente ho fatto scelte giuste per me.
Sia ben chiaro: non è colpa loro, ma colpa mia e delle mie scelte, ciò che non è adatto a me potrebbe essere adatto a un’altra persona.
Qualcuno non è partito: l’ho mandato. Ma non se ne va

E penso a Gaza, penso ad alcuni dei nostri politici, penso a Trump, penso a Putin, penso… e mi sale una rabbia, e un istinto che… ecco, una zolla in più d’inferno me la sono guadagnata. Gaza e Israele, forse anche due zolle da sole.

È vero, i sogni passano perché uno se li fa passare, ma spesso se li fa passare perché non ha alternative. E quindi li vedi finire, e sospiri vedendoli bruciare nel fuoco della realtà.
Mentre lo fai, tieni ben stretti quelli a cui non potrai mai rinunciare.

I desideri, croce e delizia della mia vita. Quelli che vorrei, ma che ho paura. Paura di esprimere, perché temo la delusione e soprattutto il prezzo del desiderio.
Così, negli anni, ho smesso di desiderare, ed è stato l’errore più grosso che potessi fare. Se non desideri, non vivi.
Con il tempo ho imparato che desiderare è sano, avendo la consapevolezza che è sempre un “do ut des”, devi far spazio ai nuovi desideri e per farlo devi togliere qualcosa (preferibilmente che non ti serve più).
Quindi oggi desidero con cautela!

Vedete perché è meglio che ascolti canzoni di cui non capisco molto il testo?
Vi avrei risparmiato questo post!

“PS: Se voleste anche ascoltare la canzone cliccate qui”.