Voi non lo fate?
Io sì, lo faccio. Sempre.
In quasi tutti i settori, ho “una base”, quella che ritengo migliore, con cui fare un termine di raffronto.
Raffronto quanto pulisce un detersivo piuttosto che un’altro, quanto un balsamo renda i capelli più morbidi, quanto il sapore di un olio. Ad un certo punto ne scelgo uno, e quello per me sarà la base su cui confronterò tutti gli altri.
Non lo faccio solo con le cose.
Così un amore, in genere quello che ti ha devastato, lo raffronterai con tutte le storie successive, e un’amicizia, la più importante, sarà termine di paragone della tua vita.
Poi un giorno arriva una persona nella tua vita, per caso, mica l’hai cercata. Neppure nei pensieri più lontani avresti potuto pensare di conoscerla, è così lontana (apparentemente) da quello che sei che fai, ma arriva. Una manciata di ore nella tua vita e tu cominci a far di confronti in un settore in cui non lo avevi mai fatto. Lui è un uomo.
E niente. Ora il problema è quello, senza nulla togliere a nessuno, lui è un uomo. Solo questo, nessun altro scopo o intenzione celata in quello che dico, solo questa piccola e unica considerazione, lui è un uomo.
La grandezza di un uomo risiede per noi nel fatto che egli porta il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste. (Milan Kundera)
Forse dovrei definire cosa è un uomo per me, ma non lo farò, non ne ho bisogno. So che ho guardato il cielo stamattina e un sacco di cose e persone si sono ridimensionate, e di molto, anche me stessa.
Parole altrui che scivolano nell’anima come una lama incandescente in un panetto di burro. Parole crude, ma io leggo solo amore, non ho mai letto tanto amore come in quella lama incandescente.
Parole mie che sgorgano dal quarto chakra, giunte al quinto si bloccano a causa di quel nodo che a volte il cuore stesso crea, il sesto lo salto, non ho bisogno di vedere già so, e arrivano al settimo perchè da li comunico davvero.
Ci sono anime antiche, ci sono vite che apprendono in questa, chi ha ferito ieri medica oggi, chi ha curato ieri può permettersi di apprendere oggi. Siamo volpe, siamo rosa, siamo l’aviatore. Siamo foglie dello stesso ramo, si vibra alla stessa intensità seppur in maniera diversa. Quando il “vento” passa ci muoviamo tutte pur non capendo perché. Ci si richiama in ogni vita.
Non ho altre parole se non quelle di una fiaba per bambini.
“Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.”
Ci sono anime che ti accompagnano nei secoli. Legami antichi che si intrecciano fin dall’origine. Li senti, li percepisci, alcuni son tormentati, contorti e ogni volta che li incroci in qualche modo dolorosi, perché non riesci ancora a risolverli e li rimandi a una vita futura. Altri no.
Altri son legami di luce. Connessioni e patti scritti nell’amore. Alleanze d’amore. Anime che si ritrovano nel corso della vita ad un certo punto, si riconoscono, è quella sensazione a pelle, difficile da spiegare con le parole. Le riconosci. Punto.
Quando sei nelle “vicinanze” di quella persona, tutto appare più semplice, risolvibile, luce che illumina le nostre paure e i nostri lati oscuri. In qualche modo anche la parte della nostra anima in tormento si accetta.
Questi legami non sono moltissimi in una vita. Un’attrazione irresistibile mi porta verso loro.
LEI è una di loro. Lei è un legame di luce, l’ho vista e percepita la prima volta, come lei ha visto e percepito me, tra le interlinee che separano le parole scritte.
Non so dire, come quando e perché. Non so dire in quale secolo, in quale situazione e chi o cosa. Sento il legame di luce, come fosse un diapason che vibra nel cuore.
Questo sabato appena passato son riandata a trovarla alla presentazione del suo (secondo) libro a Coccaglio. Andrò ancora il 20 all’Alveare a Milano. Può sembrare che faccia promozione, ma non lo è, o meglio un pò lo è, ma è un invito a conoscerla personalmente a parte i suoi libri, vi invito a conoscere lei come persona.
Comunque i suoi libri io li letti chiaramente, e come potete vedere anche una parte della mia famiglia felina li apprezza.
Loki predilige “IoAmo”Moka ha una preferenza per “Bocca di Lupa”
PS: Grazie al Chiwaz che questo sabato mi ha accompagnato alla serata di Coccaglio e con me ha ascoltato le parole del libro di Stefania. Lo ringrazio perché lui amante degli Iron Maiden e dei Metallica ha ascoltato senza smetter di volermi bene le romanze liriche e il violino 😉
PPS: correzione da Iron Man a Iron Maiden effettuata dopo ore di figura barbina, grazie a Letture Disoccupate, senza il quale avreste continuato a prendermi in giro per la mia ignoranza in tale materia
Ci arrivo, quasi per caso, youtube mi suggerisce quel video. Rimango lì ad osservare. E li vedo. Lì in mezzo a quei sorrisi, ci sono i miei amici. Alcuni suonano altri ballano. Vi guardo. Mi si apre il cuore e le labbra si stendono leggere. Mi mancate spesso, più di quello che vorrei.
Mi mancano. Mi manca danzare con loro, mi manca attraversare la notte e arrivare al sorgere del sole mentre danzo, mi manca la condivisione di una visione del mondo, mi manca la parola amore che abbraccia non solo le relazioni, mi manca osservare il mondo con attrazione, mi manca vederlo a 360 gradi attraverso i miei e i vostri occhi.
Mi manca tutto ciò, con la consapevolezza che è una parte di me, lo è e lo sarà sempre, ma che il mio cammino ha dovuto intraprendere un nuovo sentiero.
Dicono che la strada la scegliamo “prima” di tornare. Di molti sentieri intrapresi o lasciati alle spalle, io mi chiedo quali scelte ho fatto “prima” e dove mi voglio condurre. Me lo domando anche oggi, guardandovi, chissà cosa ho scelto per non percorrere tutta la strada con voi.
Percorrevo una strada in discesa e scrivevo il mio diario cartaceo. Un grande quaderno intonso, con la copertina color panna. Iniziavo a scrivere sulla pagina bianca con la matita morbida: “Sono rimasta prigioniera di questo amore è questa la causa di quello che è accaduto dopo”.
Sentivo il rumore di un paio di auto dietro me, timorosa mi giravo, ma poi vedevo che non ero in pericolo, anzi si incagliavano nel fango, mentre io proseguivo a piedi. Pensavo che quel quaderno era la mia agenda, se la lasciavo in ufficio avrebbero potuto leggerla, e non volevo ciò.
Uno strano timore detto da una che scrive su un blog pubblico anche il colore delle mutande.
La verità e che io dico meno di quello che sembra alla fine. Uso metafore e parlo a voi, ma in verità parlo a me stessa. Attraverso voi e i vostri occhi scopro parti del mondo esterno e qualcosa di me che altrimenti non avrei modo di vedere. Però alcuni pensieri che ispirano quello che scrivo, non arrivano ai tasti, rimangono lì, impigliati dietro le parole, le virgole e gli spazi bianchi. Celati in attesa di chi riesce a vedere oltre la tastiera.
E che dovevo scrivere questo sogno, perché ci son sogni che so essere importanti e questo è uno di loro. Dovevo fissarlo e osservalo, nella forma che le lettere gli davano, a prescindere da quello che poi a voi sarebbe riuscito a trasmettere.
Il dolore di dopo è figlio del dolore di prima. Se non abbandoni il dolore nutrirai la sua prole.
Lo sai da tanto, eppure ogni tanto te ne scordi. Tu e il tuo sentiero vi siete già scelti. Quando te ne dimentichi, ti ritrovi lì, nel mezzo confusa. Volgi lo sguardo e cerchi il da farsi, cosa scegliere, dove andare, come muoversi. Tutto sembra complicato e difficile.
Poi un colore, una foglia, un refolo di vento, una risata lontana e intuisci la direzione. Probabilmente non è definitiva, più avanti troverai un’altra diramazione, un’altra decisione, ma non temi più le scelte. Ora sai che quando sbaglierai, ci sarà modo di tornare, il cammino si farà riconoscere e ti chiamerà a se.
Sospiri di sollievo, non sai ancora dove andare di preciso, né cosa ti riserva il sentiero più avanti, ma non importa la strada ora non è più nemica.
Il freddo è alle spalle, il calore ti aspetta avanti, e come sempre ha la forma degli amici che ti accompagnano nei millenni.
Ti svegli, esci, e non ti aspetti certo di trovarti di fronte una lama di luce che attraversa il cielo per toccare la terra. L’abbinamento che fai con la poesia è immediato.
La poesia di Quasimodo te la ricordi bene. Quando l’hai letta la prima volta avevi 11 anni e ti è rimasta impressa a fuoco nelle sinapsi, subito!
L’hai amata, sentita, percepita e disperatamente sperato fosse non vera. Quasi sapessi già da allora… il “viaggio” sulla terra si fa da soli, nonostante tutti i tuoi tentativi negli anni di condividere il mondo, si cammina da soli. I più fortunati, per tratti, condividono un pezzo di percorso.
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera.
Divago con la mente parlando a me stessa. Però, accadde proprio così. Questa poesia mi colpì come un pugno allo stomaco, questa è un’altra ancora di più. In tre anni di medie inferiori due poesie mi hanno segnato. Le altre son passate, si belle, ma percepite come ruscello che scorre.
Questa di Quasimodo e “La Vacca” di Esenin furono parole scritte che mi impregnarono l’anima scendendo in profondità nello stesso istante in cui le lessi. Ancora oggi mi domando se esse influenzarono la mia vita o semplicemente la sfumatura della mia anima era atta a comprenderle già da allora.
PS: Sì, in effetti, a pensarci bene, il titolo del post potrebbe essere fuorviante, ma adoro mischiare sacro e il profano 😉
PPS: giusto per farvi capire, quanto, sin da piccola fossi una tritura palle malinconica, vi metto qua sotto anche la poesia Di Esenin (scusa per poterla rileggere anche io)
La vacca
Decrepita, senza più denti,
sulle corna il volume degli anni,
la percuote l’uomo violento
lungo i campi e lungo gli stagni.
L’anima è aliena al rumore
mentre le talpe raspan nei campi,
in cuore essa medita ancora
al vitello dai piedi bianchi.
Le hanno tolto la sua creatura,
le han negato la gioia più bella.
Su un pertica oscilla alla furia
del vento la povera pelle.
Presto nei campi silvestri,
come hanno fatto al vitello,
le metteranno il capestro
e la condurranno al macello.
Le corna con un lamento
si pianteran nel terreno.
Essa sogna boschetti lucenti,
pascoli grassi e sereni.
Inciampi in una poesia di Prévert, alla fine del tuo respiro sei nell’ottobre del 2007. Ritorni in quella città che Prévert cita per un amore e tu ricordi in un flashback di emozioni e immagini.
ALICANTE
Un’arancia sulla tavola
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto tu
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita.
Le tue emozioni non sono legate a un amore, ma a te.
A quel viaggio fatto di notte, al sonno mancato, a quella mattina d’ottobre con il sole e un caldo estivo, al vento che attraversa la finestra e fa muovere le tende come ballerine seducenti.
Il mate offerto e passato tra parole in spagnolo e inglese, parole che ascoltavi silente non parlando nessuna delle due.
L’attesa della sera per la danza, il colore della città e il suo mare, sapore di sale sulle labbra, mangiar boccaditos e chiacchierare con sconosciuti. Intuirlo, si intuirlo, quello sarebbe stato un attimo di vita, una bomba ad orologeria, prima o poi sarebbe scoppiato nel futuro.
E sei lì, nel caldo, nei pensieri di allora, a quella voglia di conoscere il mondo attraverso il sapore sulle labbra, energia impastata di fare, conoscere, amare e condividere.
Ti ricordi di te, di come eri. E quella sensazione ancora sulla pelle, del tepore che scalda e del vento che accarezza, mentre rumori di stoviglie fuori della finestra fanno da sottofondo.