FEUDALESIMO MODERNO: Italia 30% – israele 10%


I dazi imposti da Taco alias Trump, ad oggi possono essere riassunti a grandi linee come nella tabella qua sotto:

PAESE/AREAAttuale dal 1-12 agosto 2025
Brasile10%50%
Europa10%30% dal 1 agosto
Messico25%30% dal 1 agosto
Canada25%35% dal 1 agosto
Cina10%30% dal 12 agosto
Giappone10%25% dal 1 agosto
Australia10% attivonessuna modifica
UK30% attivonessuna modifica
Sud Corea10%25% dal 1 agosto
India10%nessuna modifica
Indonesia10%nessuna modifica
israele10%nessuna modifica
Pakistan10%nessuna modifica
Taiwan 10%nessuna modifica
Thailandia10%36% dal 1 agosto
Svizzera10%nessuna modifica
Vietnam10%nessuna modifica

Fonti: New York Post, Reuters, Awalara, Pwc

Vedo che Taco alias Trump mette ai suoi “alleati” il 30% come alla sua “nemica” Cina.
Io fossi nella Meloni e nella Von Der Leyen, qualche domandina me la farei.

Detto questo, sappiamo anche che a seconda di come si sveglia la mattina, Taco, potrebbe rivoluzionare tutto.
Non è la prima, la seconda e neppure centomillesima volta da quando è diventato presidente degli Usa, che cambia rotta apparentemente senza motivo.

Comunque, ragazzi, sottolineiamo: israele il 10% Italia il 30%.
Vogliamo farci due domandine?
Giorgia (Meloni) non ti senti un po’ serva della gleba? Io un pochetto si.

“AIA” CI SONO I “BRICS”: Prove tecniche di un nuovo mondo


Contro l’occupazione israeliana in Palestina, e per coordinare iniziative contro questa occupazione, dal 15.07.2025 su iniziativa del “Gruppo dell’Aia”1 è iniziata a Bogotà una conferenza alla quale partecipano anche la Cina, la Spagna e il Qatar.

L’incontro è ospitato dal presidente colombiano Gustavo Petro. Lo scopo è di mettere in atto le decisioni assunte dall’Onu per tutti i 193 paesi membri, visto che l’occidente non lo sta facendo, o meglio, lo fa con due pesi e due misure, a seconda che si tratti di Russia o di Israele.

L’incontro ha stabilito una mozione in cui si dice che: “Nessun paese può più fornire aiuto di qualsiasi tipo per mantenere l’occupazione israeliana dei territori palestinesi”.

Spagna e Belgio hanno già iniziato a sospendere le nuove licenze per l’esportazione di armi verso israele e l’Olanda ha sospeso la vendita di componenti per i caccia F-35.
Si potranno mettere in atto altre misure tra le quali vietare l’atterraggio di aerei o l’attracco di navi che portano armi ad israele.

Il blocco degli scambi commerciali con israele è in fase di valutazione; si vorrebbe vietare l’importazione dei beni dagli insediamenti israeliani. Vedremo cosa salterà fuori da questo incontro. Nel frattempo, l’Irlanda ha già annunciato che introdurrà una legislazione per bandire i prodotti importati dagli insediamenti, mentre la Francia dice che “Sta valutando” (già sappiamo che vuol dire, “al momento non mi sbilancio”).

Il Brasile ha già richiamato il suo ambasciatore da israele in segno di protesta, mentre la Germania sostiene ancora israele. Sospetto che quest’ultima paghi ancora il senso di colpa per quello che ha fatto agli ebrei dal 1920 alla fine della seconda guerra mondiale.
Praticamente quello che gli israeliani stanno facendo ora ai palestinesi.

Non posso far a meno di notare che mentre il vecchio e sempre più decadente occidente protegge chi non dovrebbe, molti paesi del BRICS,2 il nuovo mondo -anche commerciale – spinge verso altre direzioni, questo senza assolvere nessuno stato dai propri crimini (sia ad est che a ovest). In Italia si dice “Il più pulito ha la rogna”, la mia è solo una constatazione di ciò che sta avvenendo.

Da noi invece permettiamo che personaggi come Taco alias Trump, facciano il giochetto del “dividi et impera” con l’Europa. Cosa che gli riesce bene grazie al nostro governo. Eppure questa è una locuzione italiana, i nostri governanti dovrebbero conoscerla… invece…

Temo che noi “occidentali” siamo ormai una società morente. Una nuova società, che sta germogliando da anni, sta creando un nuovo mondo.
Nella postilla 2, in fondo al post, se la leggete, e riflettete, capirete il perché del mio pensiero.

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  1. Il GRUPPO DELL’AIA è stato istituito nel primi mese del 2025. Nato per garantire che nessuno Stato possa considerarsi al di sopra della legge e proteggere i più vulnerabili.
    Ne fanno parte originariamente: Sudafrica, Malesia, Namibia, Colombia, Bolivia, Cile, Senegal, Honduras e Belize.
    Il primo messaggio, a voce del ministro sudafricano Ronald Lamola, è stato che nessuno Stato, per quanto potente, è al di sopra della legge e nessun crimine deve rimanere impunito.
    Il Gruppo dell’Aia ha dichiarato e sottoscritto: “israele sta violando il diritto internazionale, citando le sentenze della Corte Internazionale di giustizia, le risoluzioni dell’ONU e i mandati di arresto emessi contro i leader israeliani; la coalizione dei nove paesi sottolinea al contempo la responsabilità e il dovere di tutti gli Stati di agire per prevenire questi crimini.” ↩︎
  2. BRICS è un acronimo utilizzato in economia internazionale che individua cinque paesi (fondatori) accomunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: condizioni di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio e abbondanti risorse naturali. ↩︎
BRICS STATI ATTUALISTATI CHE HANNO FATTO DOMANDASTATI PARTNER
BrasileArabia SauditaBielorussia
CinaAzerbaigianBolivia
RussiaBirmaniaCuba
IndiaBangladeshKazakistan
SudafricaPakistanMalaysia
EgittoSenegalNigeria
Emirati ArabiSri LankaThailandia
EtiopiaTurchiaUganda
IranVenezuelaUzbekistan
IndonesiaVietnam

Paesi che hanno manifestato interesse di aderire al brics nel 2025. Ve li suddivido per continenti, solo per farvi capire la portata.

AFRICAAMERICAASIAEUROPA
AngolaColombiaAfghanistanSerbia
Burkina FasoEl SalvadorBahrein
CamerunNicaraguaIraq
Repubblica CentrafricanaPerùKuwait
Repubblica del CongoVenezuelaLaos
Guinea EquatorialePalestina
GhanaSiria
LibiaYemen
Mali
Sudan del sud
Sudan
Tunisia
Zinbabwe

Lo vedete il nuovo mondo in arrivo?
Mentre l’occidente si autodistrugge in ipocrisie e doppie morali, altri paesi si prendono la scena.

READY, SET, LOVE


READY, SET, LOVE
Thriller, Mistero, Commedia, Romantico
Anno 2024 – 6 episodi da circa 1h e 8m
Su: Netflix

TRAMA

Negli anni 70, a causa di un virus misterioso, la popolazione maschile è stata decimata. Non solo, da quel momento in poi, la percentuale di nascite di maschi scende drasticamente. In pratica nascono solo, o quasi, femmine.

Gli uomini diventano così molto rari. Vengono dichiarati “tesori nazionali. Il governo decide di “conservare” tutti i maschi in un luogo chiamato “La fattoria”, dove vivono rinchiusi in una vita agiata, sotto la protezione del governo.

Le donne per potersi sposare con loro devono partecipare a un reality sponsorizzato dal governo e chiamato “Ready, Set, Love”.

Day (Belle Kemisara Paladesh) viene iscritta di nascosto dalla sorellina, e vince la possibilità di partecipare. Anche se lei non vorrebbe farlo, entra comunque nel reality e qui incontra il ragazzo più popolare, Son (Blue Pongtiwat Tangwancharoen).  Il loro incontro non è tra i migliori, ma qualcosa li lega, loro non sanno che hanno in comune molto più di quello che appare.

Il concorso, per potersi sposare con un uomo, prosegue attraverso le prove che man mano le partecipanti devono superare.  Day e Son mentre partecipano, inizieranno a scoprire una pericolosa cospirazione che opera sotto la superficie della fattoria e del reality.

OPINIONE PERSONALE

Appare come una commedia leggere e gradevole, un pò un miscuglio all’acqua di rose di “Squid Game” e “Ooku, le stanze proibite”, ma per chi conosce un pò di storia moderna della Thailandia può intravedere una denuncia sociale.

Rimane una commedia piacevole, romantica, leggera, ma dal mio punto di vista “parla e dice” molto di più di quello che appare.

Termina con solo sei episodi, ma l’apertura alla seconda stagione è palese, e non vedo l’ora di vederla.

CURIOSITA’

Vi accenno brevemente (molto brevemente, quindi perdonate se non scrivo tutto) un accenno della storia moderna della Thailandia.

Nel 2014 ci fu un colpo di stato militare; la costituzione è soppressa, ed entra in vigore il coprifuoco, mentre il governo viene sciolto. Ogni protesta è repressa e il comandante in capo dell’esercito si autoproclama primo ministro ad interim della Thailandia.

Inizia per la Thailandia una ferrea repressione alle opposizioni. Solo nel 2019 lo stato militare concede nuove elezioni, ma dal colpo di stato al 2019, lo stato militare introduce una nuova costituzione e nuove regole, rafforzando il potere militare (e come e chi potesse essere eletto, chiaramente tutto a favore della dittatura), infatti i 250 membri del senato eleggibili sono scelti dalla giunta militare.

Il connubio tra monarchia e militari è sempre più forte, uno supporta l’altro, uno “regala” benefici all’altro.

Ci sono state forti dimostrazioni contro il crescente connubio tra i due, con una serie di manifestazioni anti-governative, i manifestanti chiedevano una radicale riforma della monarchia e della costituzione, con pesanti tagli ai privilegi del re, e che avesse fine il connubio tra le forze armate e monarchia per avere una democrazia reale.

Il governo reagì emanando uno stato di emergenza e reprimendo le pacifiche manifestazioni. Le proteste sono proseguite, con varie ondate fino al 2021, e hanno avuto fine solo quando nel 2022 quando lo stato ha introdotto nuovamente la legge sulla lesa maestà (reato che è punito con durezza, prevede pene dai 3 ai 15 anni di carcere per ogni singolo “insulto” a un membro della casa reale).

Ora capite perché nonostante l’apparente leggerezza, io do molto valore a questo lakorn.

INTERPRETI

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J’ACCUSE


Oceano indiano e Mediterraneo.
Acque diverse, tragedie uguali.
O forse peggiori.

Io ne son venuta a conoscenza da poco, ma è da molto che accade. Non riusciamo a stare a dietro alle atrocità che commettiamo come genere umano.

I Rohingya li avete mai sentiti nominare? Eppure sono due milioni, non sono riconosciuti come popolo, gli è stata tolta la cittadinanza. Vivono in mezzo a diversi stati. Affiancarli come paragone ai kurdi è un attimo.

Questo è un J’ACCUSE ben preciso alla Birmania, al Bangla Desh ed il Pakistan, dove questa minoranza cerca di vivere, o meglio da cui ora cerca di scappare verso la Malesia, alla Thailandia e L’Indonesia che però non li vuole.

Questo è un J’ACCUSE ben preciso verso quei paesi buddisti. Buddismo che “insegna” una filosofia di vita e di accoglienza ben precisa che con quel popolo fantasma non sanno applicare.

Questo è un J’ACCUSE ben preciso ai loro capi politici, compresa Aung San Suu Kyi, capo della Birmania e premio Nobel per la Pace.

Questo è un J’ACCUSE a noi italiani, a noi europei, che in questi paesi ci andiamo per divertici, sulle loro spiagge a fare i frikkettoni, gli alternativi, e rimaniamo ciechi su quello che accade.

Sapete, anche qui ho provato a cercar di capire. Giusto sbagliato. Buoni cattivi. Come per la vicenda di Aleppo e della Siria. Io non riesco a capire, in nessun modo, anche qui tutto si confonde e si stempera uno nell’altro e i confini del giusto e sbagliano si mescolano in maniera tale che non puoi più separarli. L’unica cosa che di sbagliato mi rimane certa è questa
mohammed-e-aylan

oggi si chiama Mohammed, ieri si chiamava Aylan
ma io non vedo differenze, l’atrocità è la stessa.

Non vi scrivo io della vicenda di questo popolo ma riporto per intero qua sotto uno degli articoli (tra i tanti) che ho trovato. Molto prima della tragedia di una spiaggia e di un bambino chiamato Mohammed, qualcuno in Italia ne parlava, ma noi eravamo ciechi e sordi o forse impegnati sui morti che arrivavano sulle coste del mediterraneo, forse entrambe le cose o forse abbiamo un limite alla sopportazione del dolore.

 

Il Fatto Quotidiano – Pio d’Emilia – 22 maggio 2015
“Non c’è limite al peggio. “In Italia, in Europa… siete fortunati. Siete gente civile, umana, avete il concetto della solidarietà. Qui no. Da noi, nel Sud Est Asiatico i profughi li lasciano crepare in mare, magari dopo averli derubati delle poche cose, o dei soldi che si sono portati dietro. Alla faccia del buddismo, e dei governi che dichiarano di ispirarsi a questa religione…”. L’accusa è precisa: ai governi della Thailandia e della Birmania, paesi per oltre il 90% buddisti. E ai loro leader, compresa Aung San Suu Kyi, il premio Nobel per la Pace, che su questa vicenda è rimasta, e continua a rimanere, in colpevole silenzio.

Catherine Baxter è una volontaria francese. Lavora da anni per l’Arakan Project, una ong che lavora nel Sud-Est asiatico e che si occupa, tra altre emergenze, della tragica vicenda dei Rohingya, il cosiddetto “popolo fantasma” – la maggioranza di loro non ha una cittadinanza – che vive, tra mille, vecchie e nuove difficoltà, nel nordovest della Birmania (oltre che in altri paesi come il Bangla Desh ed il Pakistan). E che cerca disperatamente di andarsene, in uno dei paesi “musulmani” vicini (lo stesso Bangla Desh, che confina via terra, ma sopratutto Malesia e Indonesia, che però non li vogliono).

A sentire il drammatico racconto di Catherine, reduce da una missione di salvataggio in alto mare conclusasi con il sequestro della sua imbarcazione da parte della marina tailandese ed il rimpatrio forzato di una decina di profughi che lei ed il suo gruppo di volontari erano riusciti a salvare, sembra di ascoltare la storia dei “nostri” profughi. Quelli che dall’Africa e dal Medio Oriente cercano, ogni giorno, di sbarcare sulle nostre coste. Nulla di nuovo, neanche nei numeri: attualmente, spiega Catherine, sono oltre 9 mila i profughi “alla deriva” nella porzione dell’Oceano Indiano nota come il Mare delle Andamane. “Nessuno se ne cura, ai pescatori tailandesi viene ordinato di non avvicinarsi, pena multe salatissime – racconta la volontaria – e se qualche barca riesce in qualche modo ad attraccare, arriva l’esercito e li costringe a riprendere il largo, spesso senza nemmeno offrire acqua o cibo…”

Dei Rohingya, in Italia e in generale anche in Europa, ignoriamo probilmente anche l’esistenza. In Birmania del resto, paese dalle mille e da sempre inconiugabili etnie, non sono nemmeno riconosciuti ufficialmente. Eppure sono oltre due milioni, metà dei quali vivono nello stato nordoccidentale di Raktine, ai confini con il Bangla Desh. I Rohingya sono una etnia indo-ariana, discendente dei mercanti arabi che si erano spinti verso oriente, di religione musulmana. Vengono generalmente descritti come fondamentalisti, aggressivi e violenti. E molti di loro, in effetti, lo sono. O lo sono diventati. Nell’ottobre 2012 dopo uno stupro di gruppo effettuato contro una donna buddista, provocarono tre giorni di scontri spaventosi, ai quali parteciparono perfino alcuni monaci (esistono dei filmati che li ritraggono con delle mazze in mano, intenti a distruggere delle baracche). E non è l’unico caso di “intolleranza” mostrato dai monaci birmani, noti per la loro devozione, ma anche per il loro impegno sociale.

Negli ultimi tempi sono sorti movimenti nazionalreligiosi che chiedono l‘espulsione immediata di tutti i Rohingya, accusati di “riprodursi come conigli con l’intento di annientarci nel giro di qualche decennio”. Alla guida di uno di questi movimenti, c’è un Salvini in tonaca giallorossa, tale Ashin Wirathu, uno dei pochi monaci che in passato si era ripetutamente schierato a favore della giunta militare e non perdeva occasione per insultare Auns San Suu Kyi e la sua Lega Democratica. Ma non è certo questa la sede per raccontare la storia di questo popolo, di fatto apolide, e delle difficoltà che trova ad inserirsi non solo in Birmania, ma anche negli altri paesi dove è presente: Bangla Desh, Malesia, Indonesia, Thailandia. Chi è interessato, può utilizzare questo link, dove c’è un’ampia scelta di materiale sull’argomento per informarsi.

Quello che ci preme esprimere e sottolineare, anche per averla conosciuta personalmente e intervistata più volte, è lo stupore, diciamo pure la delusione per il silenzio che su questa triste vicenda ha sinora mantenuto “the Lady”, la Signora: il premio Nobel per la Pace e attualmente leader dell’opposizione in Birmania, Aung San Suu Kyi.

Ma come, ci sono oltre un milione di cittadini (anche se il governo, quattro anni fa, ha tolto formalmente la cittadinanza a tutti i Rohingya, il che tra le altre cose impedisce loro di votare) nel suo paese che vengono fatti oggetto di violenze, minacce, discriminazioni tali che preferiscono scappare, affidandosi a “scafisti” che spesso li abbandonano appena raggiunto il largo, condannandoli praticamente a morte data la scarsissima possibilità che vengano aiutati dalla marina di qualsiasi altro paese della zona (l’ordine di non soccorrerli è stato appena reiterato dai governi indonesiano e tailandese) e la donna più famosa al mondo per la difesa dei diritti umani non dice una parola?

La stampa inglese, l’unica in Europa a seguire con attenzione – anche per le vecchie relazioni coloniali – le vicende birmane e da sempre molto generosa con la Signora (suo marito, morto di crepacuore mentre lei era detenuta nel suo paese, era un apprezzato studioso britannico, Michel Aris) avanza l’ipotesi del calcolo politico. La Birmania, con il suo governo “quasi” civile (nel senso che è guidato da ex generali), è oramai entrata in una fase di lenta “democratizzazione”, e Aung San Suu Kyi è pienamente coinvolta in questo processo. Anche se non riuscirà probabilmente ad essere eletta Presidente (difficile che venga approvata in tempo la necessaria modifica costituzionale) un suo ruolo istituzionale è oramai scontato. Ed il suo partito, che negli ultimi anni ha sempre boicottato le elezioni, è destinato quasi sicuramente a vincerle.

Difficile e rischioso, in un paese ancora dagli equilibri politici e sociali delicatissimi, prendere posizione a favore di una minoranza odiata da tutti. Una tesi più che credibile, confermata da contatti diretti che ho avuto con uno dei suoi più stretti collaboratori. Se così fosse, il silenzio di Aung San Suu Kyi sarebbe ancor più grave: una donna che ha passato quello che ha passato lei, il simbolo della coerenza e del coraggio nel difendere la verità non può restare in silenzio di fronte a migliaia di uomini, donne, bambini che ogni giorno affogano nel mare, perché nessuno, nemmeno il “loro” paese, li vuole.”

MUTANDINE TATTICHE


Oddio per me strumento di difesa in questi casi è una jappo katana affilatissima per affettare il loro cetriolo in fettine dello spessore di 0,5 mm o in alternativa un lanciafiamme per abbrustolire il loro wurstel, così senza se e senza ma.
Questi son strumenti di difesa per me, ma quanto pare i thailandesi che son un popolo pacifico optano per altro, cioè un finto pene a dissuasione visiva.

In pratica non son altro che degli slip cui è stato in qualche modo agganciato, incollato o cucito un finto pene. In tal guisa si vuole scoraggiare l’aggredire fisicamente una donna (con l’incognita del magari incontri un aggressore cui piacciono gli uomini…). L’azienda garantisce la serietà del prodotto e lo pubblicizza e commercializza.

Ora io non so in Thailandia, ma qua da noi questa cosa così tanto sicura non la vedo. Non so voi, ma io continuo a pensare che come arma di dissuasione la katana sia migliore.